Silenzi anomali sulle mafie a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia
Mentre aumentano sia i traffici criminali che i rischi concreti di riciclaggio, il SIULP ha lanciato l’allarme da oltre un anno
Nel novembre del 2010 agli innumerevoli meriti di Libera si è aggiunta la pubblicazione di un testo di analisi fondamentale ed innovativo per i media sulla presenza delle mafie, la criminalità organizzata, nel Friuli-Venezia Giulia, scritto da Roberto Declich, segretario regionale del sindacato di Polizia SIULP.
Si trattava di un allarme tecnico molto chiaro, che noi riprendemmo perciò sul nostro settimanale di battaglia d’allora ma è rimato inascoltato sulla stampa d’informazione dominante, secondo la quale nella Regione, ed in particolare a Trieste, questo genere di cose pare non accade.
Mentre nel concreto si è avuta nella regione tutta una serie di nuove operazioni antimafia, a cominciare da un altro sequestro, già un mese dopo, di beni appartenenti alla famiglia mafiosa dei Graziano. Della quale si sono trovate tracce consistenti anche nella sovrastruttura finanziaria estera delle operazioni a Trieste, in Slovenia ed altrove di un noto faccendiere locale con precedenti per truffa e collegamenti italiani internazionali molto particolari.
Uno studioso ed osservatore non triestino di queste cose ci ha fatto osservare di recente che proprio a Trieste c’è la discrepanza più vistosa tra l’entità delle operazioni antimafia concrete (inclusi sequestri di ingenti quantitativi di droga, che dovrebbero almeno far notizia e le evidenze del traffico di rifiuti tossici) ed un silenzio indifferente quasi completo della stampa e delle istituzioni locali sull’argomento.
Il che è un sintomo ben noto agli analisti del settore, ed assolutamente inquietante. Sul quale occorre dunque incominciare a riflettere attivamente e presto, anche perché il degrado sempre più accelerato dell’economia triestina è terreno perfetto per le attività della criminalità organizzata, ed in particolare per quelle particolarmente insidiose ed invasive del riciclaggio nei settori “puliti” edilizio, immobiliare, commerciale ed industriale. Dove, in effetti, le operazioni locali grandi e piccole evidentemente sospette già non mancano.
La riflessione perciò necessaria può incominciare proprio da una rilettura attenta, poco più di un anno dopo, di quest’analisi autorevole e molto chiara proposta dal sindacato di Polizia. E sui motivi per cui sembra sia rimasta del tutto inascoltata.(pgp)
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Sembra particolarmente utile, in questo momento storico e nel nostro territorio, sviluppare un ragionamento in merito all’attenzione che si è voluta generare nell’opinione pubblica sul tema della microcriminalità, specialmente nell’ambito dei reati legati al fenomeno dell’immigrazione clandestina, e quindi valutare se tale attenzione viene rivolta anche ad altre manifestazioni delittuose, di pari se non di maggiore importanza per la tenuta del tessuto connettivo della nostra società.
Negli ultimi anni abbiamo registrato direttive ministeriali volte ad incentivare la repressione della criminalità diffusa e creazione di sezioni investigative specializzate; la sicurezza nelle città è stata posta al centro del dibattito pubblico, spesso con un’enfasi del tutto sproporzionata alla realtà dei fatti.
Nella regione Friuli Venezia Giulia è stata approvata una legge che intende dare risposte concrete a tale supposta “domanda di sicurezza”. Essa prevedeva finanziamenti cospicui, successivamente ridimensionati, agli enti locali, ed anche lo sdoganamento di forme di “autotutela” di organizzazioni di cittadini, meglio noti come “volontari della sicurezza”, volgarmente indicati come “ronde”.
Tuttavia l’impegno sul fronte della sicurezza “percepita”, a mio avviso, non è stato accompagnato da pari zelo quando si è trattato di porre al centro dell’attenzione collettiva il concreto pericolo di infiltrazioni della criminalità, anche di stampo mafioso, nell’economia dei territori più avanzati del Paese.
Tale sottovalutazione, oltre che mediatica, si è manifestata anche con provvedimenti legislativi spesso ambigui: legge sul falso in bilancio, “scudo fiscale” e, non ultima, la paventata legge sulle intercettazioni.
Sarebbe dunque opportuno chiedersi se anche nella nostra regione si possono percepire dei segnali della presenza di organizzazioni criminali, anche mafiose, che pongono a rischio l’integrità dell’apparato produttivo, se esiste l’eventualità di infiltrazioni di capitali illeciti, anche in considerazione della gravissima crisi economica contingente ed, infine, se sia opportuno porre queste tematiche all’attenzione della pubblica opinione.
Le domande dovrebbero sorgere spontanee anche a fronte delle affermazioni del Ministro Maroni che, giunto in regione nel mese di luglio 2010, affermava che «In Friuli Venezia Giulia gli 80 beni sequestrati alla criminalità organizzata in un anno è mezzo hanno un valore di circa 15 milioni di euro». Lo stesso Maroni che, a margine della firma del 42° protocollo per la sicurezza sottoscritto dal ministro dell’Interno in altrettanti territori italiani, ci tranquillizzava invece sul fronte criminalità diffusa aggiungendo che: «In Friuli Venezia Giulia si è registrata una flessione dei reati dell’11% nel primo trimestre 2010 rispetto al 2009».
L’attenzione verso i pericoli sopra indicati si è riscontrata anche con il “Protocollo di legalità” sottoscritto il 12 maggio del 2009 dai Prefetti della regione, dai Prefetti di Venezia e Treviso e dal Presidente della Regione Tondo, nominato Commissario per l’emergenza della mobilità della A.4, al fine di prevenire tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nei lavori per la realizzazione della terza corsia.
D’altra parte nel corso del 2010 abbiamo registrato anche nella nostra regione, alcuni arresti di personaggi legati alla criminalità organizzata, a partire da Antonio Cortese che, secondo il boss pentito di ‘ndrangheta Antonino Lo Giudice, non solo eseguiva materialmente gli attentati per conto della cosca, tra cui quello alla Procura generale ed all’abitazione del Procuratore generale Di Landro, ma si occupava anche di reperire le armi per il gruppo criminale.
E se nel caso di Cortese si è trattato di un ‘ndranghetista di passaggio fermato al confine italo – sloveno, nel caso di Vittorio Maiorano, arrestato nell’ambito dell’operazione di smantellamento di due famiglie mafiose rivali della Sacra Corona Unita, si è trattato di un personaggio che gestiva una trattoria a Cervignano del Friuli, praticamente di fronte alla locale stazione dei Carabinieri.
Altre tre custodie cautelari sono state eseguite nei confronti di individui residenti nel pordenonese, nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Compendium”; operazione che ha portato all’arresto di 41 persone in tutta Italia, tutti esponenti della cosca mafiosa degli Emmanuello di Gela, indagati per associazione mafiosa finalizzata al controllo illecito degli appalti e dei subappalti, intermediazione abusiva di manodopera, traffico di stupefacenti, ricettazione, estorsione, danneggiamenti, riciclaggio di denaro sporco, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni.
Sempre nella provincia di Pordenone nel luglio del 2009 sono stati posti sotto sequestro tutti i beni, mobili ed immobili, riconducibili la società “Edilizia friulana Nord srl”, intestata ad un imprenditore palermitano che fonti di stampa indicano come socio di esponenti mafiosi della famiglia della Noce e di quella di Palermo Centro. Il provvedimento era stato emesso dal Tribunale di Palermo, nell’ambito di un procedimento di prevenzione antimafia, su proposta del Direttore della Dia e del Questore di Palermo.
La crisi economica sta mettendo alle corde la parte sana del sistema produttivo anche nella nostra regione, e contestualmente ingenti capitali di provenienza illecita necessitano di essere “ripuliti”; questi due fattori rendono estremamente delicato il momento storico che stiamo vivendo. In questo contesto il ruolo di reparti investigativi specializzati, per quanto riguarda la Polizia di Stato la Sezione Criminalità Organizzata, andrebbe valorizzato sia sul piano del contrasto alle mafie “tradizionali”, sia per quanto riguarda le consolidate competenze maturate nelle indagini sulle organizzazioni criminali transnazionali.
L’attenzione su fenomeni criminali realmente presenti sul nostro territorio dovrebbe essere incentivata senza strumentalizzazioni di sorta e senza sottovalutazioni. Concludo ricordando le affermazioni del figlio di uno ‘ndranghetista, proveniente dalla cittadina calabrese di Cirò e residente in un comune dell’hinterland milanese, il quale, intervistato dal programma televisivo Report, dopo aver assicurato che nel proprio comune di residenza non vi era alcun problema di criminalità e soprattutto nessun insediamento di mafie, effettuata una pausa di riflessione, aggiungeva immediatamente che, in effetti, l’unico problema era legato alla presenza di cittadini immigrati che minavano la tranquilla routine del luogo. Sarebbe molto triste dover constatare la verità
© 18 Febbraio 2012