La Voce di Trieste

Diritto-dovere d’informazione: perchè Il Piccolo di Trieste (gruppo Espresso) rifiuta le rettifiche obbligatorie di legge?

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Analisi – diritti civili

A Trieste sono frequenti le proteste di persone che incontrano difficoltà anomale ad ottenere dal quotidiano monopolista locale Il Piccolo rettifiche di notizie dannose che li riguardano. E si tratta di un elemento fondamentale del diritto-dovere d’informazione, perché il diniego od il declassamento  della rettifica priva il cittadino coinvolto del diritto di difendersi pubblicamente, e la collettività del diritto di conoscere le ragioni di tutti.

È, insomma, un problema di diritti civili che va affrontato come tale e con chiarezza, spezzando finalmente decenni di silenzi ed ipocrisie incancrenite.  E l’analisi necessaria non sarà qui semplice, né breve.

L’origine del problema

Ci sono due impostazioni generali di scopo dell’informazione: quella indipendente, dedicata al bene della collettività, e quella al servizio di interessi particolari. Ma la seconda è legittima soltanto quando è dichiarata, cioè immediatamente riconoscibile. Se viene invece spacciata o camuffata da  stampa indipendente diventa abuso della pubblica fede. E non è più nemmeno giornalismo, ma propaganda ingannevole.

Equivale a vendere per buoni merci o servizi avariati, ed intossica anime, coscienze, culture e politica con effetti  durevoli e spesso drammatici, per collettività e persone indottrinate o colpite da informazioni false, esagerate o tendenziose, come nel caso dei razzismi e delle diffamazioni personali.  Ma anche la stampa indipendente può ovviamente incorrere in errori e disinformazioni.

In ogni caso il rimedio possibile si articola in due ordini diversi di intervento: la rettifica quanto più rapida ed efficace delle disinformazioni sullo stesso mezzo che le ha diffuse, e le azioni giudiziarie per la punizione dei responsabili, se vi è stato dolo, e per il risarcimento dei danni.

 

Il diritto e dovere di rettifica

Il diritto-dovere di rettifica consiste nell’obbligo giuridico della testata giornalistica di pubblicare nel tempo più breve possibile e con evidenza adeguata le risposte e rettifiche inviate dai soggetti che si ritengano lesi dalle informazioni pubblicate, e questo a loro giudizio e sensibilità insindacabil. Si tratta infatti dell’esercizio del diritto soggettivo inviolabile di parità tra i cittadini ed i detentori dei mezzi d’informazione pubblica, che altrimenti ne avrebbero il dominio totale a loro arbitrio. Tanto più pericoloso nelle situazione di monopolio stampa locale o di settore.

Le azioni lesive del diritto-dovere di rettifica non sono dunque infrazioni minori o trascurabili, ma violazioni gravissime dei diritti umani e civili. Confermate tali dai casi innumerevoli di vite rovinate o spente da disinformazioni e diffamazioni.

 

La legislazione sulla stampa in Italia

La legge italiana sulla stampa (n. 47/1948) all’art. 8 obbliga i direttori responsabili delle testate a pubblicare tempestivamente e gratuitamente «le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui sono state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità» con la sola condizione che i contenuti delle dichiarazioni o rettifiche siano chiaramente riferiti, pertinenti, e non suscettibili di incriminazione penale.

Per le pubblicazioni su carta od in rete il testo dev’essere inoltre contenuto entro le 30 righe dell’originale, va pubblicato nella stessa pagina, e per i quotidiani in testa di pagina. In caso contrario provvede un decreto urgente del giudice, con sanzione amministrativa alla testata e successiva causa per danni. E vi è disciplina analoga per le trasmissioni radiotelevisive.

La legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti (n. 63/1969) stabilisce a sua volta all’art. 2 – Diritti e doveri, che «Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori». A pena, come per altre infrazioni, di sanzioni disciplinari adeguate: avvertimento. Censura, sospensione dalla profssione, radiazione dall’Albo.

 

Il codice deontologico del giornalismo italiano

Questi dispositivi di legge sono ulteriormente perfezionati dal codice deontologico generale  della professione, che ha anch’esso valore normativo con le medesime sanzioni disciplinari: la Carta dei doveri del giornalista approvata nel 1993 dall’Ordine e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Ed è bene che i cittadini la conoscano (leggi qui) per poter valutare meglio la correttezza dei media e far valere i propri diritti nei confronti dei troppi colleghi giornalisti ed editori che la vìolano.

Sul diritto-dovere di rettifica la Carta stabilisce infatti: «[…] Il giornalista corregge tempestivamente e accuratamente i suoi errori o le inesattezze, in conformità col dovere di rettifica nei modi stabiliti dalla legge, e favorisce la possibilità di replica. […] Il giornalista rispetta il diritto inviolabile del cittadino alla rettifica delle notizie inesatte o ritenute ingiustamente lesive. Rettifica quindi con tempestività e appropriato rilievo, anche in assenza di specifica richiesta, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate, soprattutto quando l’errore possa ledere o danneggiare singole persone, enti, categorie, associazioni o comunità. Il giornalista non deve dare notizia di accuse che possano danneggiare la reputazione o la dignità di una persona senza garantire opportunità di replica all’accusato. Nel caso in cui ciò sia impossibile (perché il diretto interessato risulta irreperibile o non intende replicare), ne informa il pubblico. […]»

 

La buona pratica giornalistica

In esecuzione di questi principi normativi la buona pratica giornalistica tende perciò a privilegiare l’aspetto sostanziale e morale del diritto alla rettifica, pubblicandola subito correttamente, volentieri e  senza censure, senza cavillare indecorosamente su imperfezioni formali e premurandosi di contattare  i richiedenti per eventuali modifiche.

Si considera cioè la pubblicazione liberale e corretta di rettifiche o risposte come un pregio e vanto del giornale, e non  come una lesione della sua credibilità. Ed è così che si costruisce un rapporto giornalistico onesto e leale con i lettori a prescindere dalle differenze di opinione, e nella tolleranza reciproca degli errori rimediabili.

 

Le rettifiche sulla stampa quotidiana a Trieste

A Trieste la stampa quotidiana in italiano dopo la soppressione politica dell’indipendente Corriere di Trieste (1945-1960) soffre di un regime di monopolio detenuto da un giornale ‘di sistema’, Il Piccolo, ed affiancato ma non scalfito dal quotidiano settoriale minore in lingua slovena Primorski dnevnik.

Sulle rettifiche il Primorski dnevnik mostra comportamenti corretti come la gran parte della stampa quotidiana d’Italia e di Slovenia. Con un’ultima violazione macroscopica nelle lontane elezioni amministrative del 1988, quando l’allora direttore Bogo Samsa sabotò la rielezione di chi scrive rifiutandosi di pubblicare una rettifica ordinata dal giudice, e subendone condanna.

Il Piccolo tende invece a mostrarsi per lo più restìo alle rettifiche, rifiutandole o pubblicandole in forme diverse dal dettato di legge: non in testa alla stessa pagina e col rilievo e la titolazione dovuti, ma relegate abitualmente come lettere tra le “segnalazioni” dei lettori. Dove risultano perciò declassate e molto meno efficaci, possono non comparire sull’edizione in rete e non sono comunque più rettifiche ai sensi di legge. Il giornale mostra inoltre di accettare quelle effettuate o richieste per mezzo di un avvocato, che comportano per il cittadino comune spese scoraggianti.

Ad esempio recente di questo sistema indebitamente riduttivo degli effetti delle rettifiche si veda quella a firma dell’imprenditrice dalmata Jagoda Mise (assistita dall’avv. Enzio Volli) che il Piccolo ha pubblicato così il 2 dicembre tra le ‘segnalazioni’ a pagina 41. Benché riguardasse la metà pagina 8, in testa di cronaca d’attualità, che il quotidiano aveva clamorosamente dedicato il 30 novembre alla signora, accreditando con pesanti insinuazioni diffamatorie nei suoi confronti le difese di un potente industriale veneto.

Le risposte o rettifiche che il Piccolo invece rifiuta, in genere senza nemmeno motivazione o interpello, riguardano di solito la smentita di informazioni che supportano campagne stampa particolari del giornale. Che per evitare la pubblicazione obbligatoria usa sollevare ogni genere di cavilli più o meno fondati e resistere in giudizio davanti al Tribunale locale, costringendo il richiedente a spese notevoli ed ottenendo vittorie spesso sorprendenti.

Si tratta inoltre di atteggiamenti insoliti per il giornalismo italiano della medesima categoria, ed il fatto che si mostrino qui costanti negli anni, attraverso direzioni e proprietà professionalmente e politicamente disomogenee della testata, rafforza l’ipotesi investigativa che siano generati da una ‘centrale’ decisoria stabile e riservata, di natura e con scopi non giornalistici né editoriali.

 

Le campagne del revanscismo di confine

Se ne sono avuti riscontri particolarmente convincenti dalla seconda metà degli anni ’90 con le campagne revansciste dell’operazione cosiddetta “Gladio 2” sviluppate verso la Slovenia e la Croazia (leggi qui il dossier), attraverso i media italiani su due linee propagandistico-disinformative convergenti, postfascista e postcomunista, con fulcro particolare nel Piccolo di Trieste. E con manipolazioni abnormi dello strumentale processo romano cosiddetto ‘delle foibe’ contro l’ex ufficiale partigiano croato Oskar Piskulic, difeso infine vittoriosamente dall’avvocato goriziano Livio Bernot, del quale diremo ancora più sotto.

Il Piccolo giunse ad attribuire tra virgolette ad un teste-chiave una dichiarazione inesistente di colpevolezza dell’imputato, e ne rifiutò poi rettifiche. Ottenendo dal Tribunale di Trieste che la pubblicazione fosse subordinata a prova di reciprocità della legislazione croata. Mentre il principio di reciprocità si applica ai diritti del cittadino, e non a quelli fondamentali della persona.

All’epoca inoltre chi scrive e la brillante collega (poi europarlamentare) Mojca Dr?ar-Murko sviluppavano per la redazione esteri del maggiore quotidiano della Slovenia, Delo, una linea di analisi seguita dagli osservatori internazionali su quel genere di turbative anomale delle relazioni italo-sloveno-croate, denunciando anche l’esistenza dell’apposita struttura coperta  “Gladio 2”, e pubblicando anche un mio libro.

Il Piccolo ci  attaccò, col concorso dell’allora sottosegretario agli Esteri Piero Fassino,  accusandoci di scrivere falsità e turbare noi i buoni rapporti, ma senza sapere o voler precisare quali, quando e come. E rifiutò di pubblicare doverosamente la nostra risposta-rettifica,  nuovamente prevalendo in Tribunale.

 

Il caso Bernot, fra trame e servizi

In Italia i poteri ufficiali ed ufficiosi sottopongono spesso a campagne di delegittimazione personaggi che li disturbano, e tra questi l’avvocato goriziano Livio Bernot per sue attività difensive clamorose ed indipendenti (leggi qui il dossier di sintesi 1972-2010, che contiene una quantità di spunti investigativi inediti, locali e nazionali). Ad iniziare dalla difesa vittoriosa degli innocenti primi imputati della strage di Peteano, che portò  alla scoperta in Italia delle trame nere, di depistaggi di Stato e di devianze istituzionali abnormi. Ed in particolare dell’intreccio di reti illegali cosiddette “Gladio” che settori dei servizi italiani avevano creato e confuso con la “Stay behind” legittima, imputando poi alla CIA malefatte proprie (leggi qui).

Nel 1992 Bernot era inoltre entrato in conflitto giudiziario diretto col Piccolo e due suoi cronisti del goriziano per difendere la famiglia di un insegnante, il prof. Alberto Raso, che si era suicidato dopo che una loro feroce campagna stampa su notizie asseritamente trapelate dalla Procura inquirente lo aveva ingiustamente coinvolto in presunti scandali sessuali con minori, e senza una doverosa rettifica riabilitativa adeguata.

Ma anche questa vicenda finì con una sorprendente archiviazione a Trieste della querela con richiesta di risarcimento morale e materiale presentata dai famigliari (R.G.n.r 1426/92) contro il direttore ed i due cronisti del quotidiano, che da allora sembrò divenire sempre più ostile all’avv. Bernot, come dal dossier più sopra richiamato.

 

Un nuovo episodio anomalo recentissimo

Sino ad un nuovo episodio anomalo recentissimo. Il 17 ottobre scorso Il Piccolo ha pubblicato sia in cronaca di Trieste che di Gorizia, con marcata evidenza e foto, a sigla di uno dei due cronisti del 1992, la notizia in sé banale che la Procura di Trieste aveva rinviato a giudizio l’avv. Bernot con udienza al 12 gennaio prossimo davanti al giudice di pace  per uno scontro verbale asseritamente ingiurioso con una collega.

Il  quotidiano offriva abbondanza di dettagli sui contenuti del decreto di citazione a giudizio che affermava già depositato, nomi dei testimoni inclusi, integrando il tutto con dichiarazioni del presidente dell’Ordine degli avvocati di Gorizia su future azioni disciplinari. Senza però chiedere e pubblicare doverosamente, né allora né poi, una dichiarazione difensiva allo stesso Bernot, che ha appreso così dal giornale dell’asserito atto di citazione a giudizio.

Quando l’atto gli è stato infine notificato quasi l’11 novembre, quasi un mese dopo l’articolo, ne è inoltre emerso che il PM l’aveva firmato e depositato in cancelleria soltanto il 17 ottobre, cioè dopo che al mattino il Piccolo ne aveva già pubblicata la notizia. Rispetto alla quale l’udienza risulta fissata tuttavìa senza ammissione dei testi, ed al 17 gennaio.

Mentre il quotidiano risulta avere omesso la pubblicazione doverosa della  breve, normale e rituale risposta-rettifica difensiva di legge inviatagli dallo stesso avv. Bernot (leggi qui) il 25 ottobre e ricevuta dal direttore responsabile il giorno 28.

Ed è omettendo di pubblicare la rettifica che il giornale ha trasformato definitivamente un’apparente notizia ordinaria di cronaca in un’indebita aggressione pubblica alla reputazione personale e professionale dell’interessato. A prescindere dalla sussistenza o meno dei fatti narrati nell’articolo ed ora sotto accertamento giudiziale.

 

Conclusioni

Vi è dunque a Trieste una casistica anche recente che segnala un’annosa, inquietante gestione editoriale del quotidiano monopolista Il Piccolo a violazione, in varia misura, del diritto-dovere fondamentale di risposta e rettifica. E non si tratta di quisquilie, ma di una forma di distorsione ed inquinamento grave ed intollerabile dell’informazione  locale, con ovvi riflessi su quella nazionale ed estera che vi attinga notizie.

I disagi e le preoccupazioni espressi sinora in merito da numerosi cittadini appaiono perciò fondati a tutt’oggi su fatti, e noi abbiamo provveduto qui a pubblicarli doverosamente proponendone delle chiavi analitiche.

Imporre ora il rispetto specifico della legalità alla linea editoriale del quotidiano spetta  anzitutto al Gruppo L’Espresso, proprietario-editore del giornale ed al Garante per l’Informazione, nonché all’Ordine ed al sindacato (FNSI) dei giornalisti. E se non lo faranno tempestivamente dovremo insistere nelle forme appropriate.

 

Paolo G. Parovel

© 5 Dicembre 2011

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