La Voce di Trieste

Le provocazioni contro gli Indignati a Roma nella testimonianza ed analisi di Claudia Cernigoi

Osservatorio – Inchiesta sul campo

Ero a Roma il 15 ottobre, e vorrei raccontare i fatti come li ho visti io. Chiedo scusa in anticipo se sarò dietrologica e inizio con questa premessa: a me i riots, le violenze fini a se stesse, il teppismo, non piacciono, non li considero politicamente validi né eticamente accettabili, quindi sono in disaccordo con quanti, a sinistra, sostengono che questa violenza “nasce dal basso” perché la “gente è stufa”. La società si cambia con dei discorsi politici, non con il teppismo. Punto.

Quello che ho visto a Roma il 15 ottobre

Torniamo a Roma, 15 ottobre, giornata degli indignati. Primo pensiero: intelligente da parte delle autorità preposte all’ordine pubblico dare l’uso di una piazza alla quale si accede da una strada ancora pavimentata a sanpietrini?

Secondo punto. Non ho visto tutto il corteo e le relative violenze (data la vastità dell’insieme sarebbe stato difficile) però posso dire alcune cose. Gli “incappucciati” non erano “centinaia”, checché ne dicano gli organi di stampa (“Liberazione” compresa). Le prime serrande a cui è stato dato fuoco non erano né di banche né di multinazionali, ma di un innocuo negozio di articoli per animali. Sprangare auto, anche se di lusso, non serve a niente, e ciò per quanto riguarda la prima parte della manifestazione.

 

Preciso che poi io ho vissuto gli scontri in via Manzoni, all’altezza più o meno di via Tasso. Avendo visto del fumo nero in lontananza, ho raggiunto quasi l’inizio del corteo ed ho visto che era stato dato fuoco ad un’auto nei pressi di un edificio del Ministero della Difesa. A distanza di pochi minuti, un gruppetto (circa una decina) di incappucciati si è accanito contro la filiale di una banca, sfasciando con notevole perizia le vetrine ed il bancomat. Nel frattempo altri cinque o sei elementi si dedicavano ad appiccare (in maniera scientifica, devo dire) fuoco ad alcune automobili, dall’una e dall’altra parte della strada, poi hanno piazzato cassonetti in mezzo alla strada e dato loro fuoco. Il tutto in maniera repentina e molto coordinata.

Devo precisare che in questa mezz’ora di fuoco e scoppi vari, dovuti forse a petardi, forse a fumogeni, forse ad altro, non s’è vista ombra di polizia o altre forze dell’ordine, ma sono stati i manifestanti a cercare di cacciare fuori dal corteo i “neri” dando loro dei “fascisti”? e che la barricata di fuoco non era rivolta ad assenti o quantomeno invisibili forze dell’ordine, ma (ritengo) al resto dei manifestanti, che evidentemente dovevano essere lasciati indietro in quanto non “funzionali” all’operazione in corso.

E qualcuno si è posto il problema che un auto può anche esplodere, che accanto ad un suv dato alle fiamme ha preso fuoco anche un’utilitaria e che il fuoco si è esteso anche ad un albero del viale, attaccato ad un palazzo di appartamenti? Che in situazioni simili ci può anche scappare il morto?

Della battaglia a piazza San Giovanni e zone limitrofe posso dire poco, non l’ho vista di persona tranne nelle ultime parti, con lo scambio di pietre e lacrimogeni ed i caroselli dei blindati. Trovo aberrante il comportamento di chi è stato preposto a gestire l’ordine pubblico (se avesse dovuto gestire il disordine pubblico meriterebbe invece un plauso, perché questo è riuscito benissimo), ed a questo punto voglio fare un’analisi politica (anche dietrologica) del tutto.

I black bloc: entità misteriosa che entra in scena al momento opportuno per (mi si scusi la caduta di stile) rompere i coglioni ai movimenti, trasformando in guerriglia urbana una manifestazione del tutto legittima. Giovani, giovanissimi (ma erano giovani a Genova 10 anni fa e sono giovani ancora oggi? Allora non sono gli stessi…), tutti maschi, accompagnati da uno o due uomini maturi. Preparatissimi nell’arte del sabotaggio (il modo di incendiare le auto per fare il maggior danno possibile è da manuale), del fare le barricate, lanciare di tutto: come se avessero fatto dei corsi per imparare a farlo, come se lo facessero per mestiere. E qui entra la dietrologia: perché continuare a riconoscere la buona fede di “incazzati” a certe persone e non pensare invece che siano dei commandos addestrati apposta per certe situazioni?

 

Considerazioni politiche

Al di là del fatto che siano o no mercenari del riot, quello che trovo più di tutto pericoloso in questa situazione è il discorso politico che ne esce fuori. Il grosso difetto (che fa sì che poi accadono di queste cose) del movimento degli indignati è che è un movimento non apolitico ma antipolitico. Non vogliono i partiti, dicono, né le forze politiche organizzate. Bisogna ribellarsi e basta.

Ovvio che a questo punto, mancando i discorsi politici (perché chi fa i discorsi politici è in genere una forza politica, altrimenti si parla per slogan e si fa solo demagogia qualunquista che non serve a cambiare il sistema politico), rifiutando i discorsi politici, si accetta come “naturale” l’esasperazione di chi non ne può più e si mette a spaccare vetrine. E qui casca l’asino: perché il sistema politico si cambia con discorsi politici, perché rifiutando la politica si accetta la logica di chi spacca vetrine e di conseguenza si dà ragione al potere costituito, quello delle banche che strozzano i più poveri, del capitale che sfrutta la forza lavoro finché gli conviene, dei governi vergognosi che non tutelano i cittadini ma pensano solo agli interessi dei loro componenti.

Perché tra una spranga e un blindato fisicamente comunque vince il blindato, che oltretutto in questo caso (voglia o non voglia ) rappresenta la legalità, mentre se si fa il ragionamento politico che se i soldi ci sono bisogna andarli a prenderli dove ci sono e ridistribuire la ricchezza, se vengono fatti intervenire i blindati, allora è il blindato che non rappresenta più la legalità, perché impedisce di esprimere un diritto costituzionalmente riconosciuto, la divulgazione del proprio pensiero politico.

Per questo penso che solo ritrovando la dignità della politica, dei discorsi politici, rivendicando il nostro diritto ad “essere partito”, non necessariamente un partito unico, ma diversi partiti che hanno dei programmi politici ed in base a questi agiscono, si possono cambiare le cose. Indignarsi è giusto e sacrosanto, ma non basta, bisogna agire, ed agire politicamente e non violentemente. Questa credo sia oggi la sfida della sinistra dopo la manifestazione di Roma.

 

Una nuova ‘Operazione Chaos’ ?

La presenza ed identità dei provocatori organizzati per delegittimare la manifestazione era prevedibile e prevista con largo anticipo. Ne avevo scritto io stessa settimane prima su http://www.nuovaalabarda.org .

All’inizio del mese di settembre abbiamo sentito il ministro dell’Interno Maroni esprimersi in questi termini relativamente alla situazione in Val Susa: “Ho sentito che il sindacato di polizia Sap dice che questi hanno intenzione di uccidere: io temo sia così, perché quando si prendono le bombe carta, le molotov, i massi da lanciare addosso a poliziotti e carabinieri si ha intenzione di uccidere”. D’altra parte Maroni è in un certo senso un recidivo, perché già un anno fa, in occasione di disordini a Napoli durante “l’emergenza monnezza” (25/10/10) aveva così dichiarato: “I violenti cercano il morto”.

Torniamo ai giorni nostri e vediamo che il settimanale “Panorama del 22/9/11”, a sua volta rincara la dose: “Sabato 15 ottobre a Roma si teme una guerriglia, una «rivolta urbana» con incidenti di piazza che puntano a far cadere il governo. È questa la segnalazione dei servizi di intelligence inviata alle autorità di pubblica sicurezza e a quelle politiche, di maggioranza e opposizione, verificata da Panorama. Quel giorno è in programma lo sciopero del pubblico impiego e della scuola proclamato dalla Cgil, con manifestazione contro la manovra”.

Fin qui l’allarmismo istituzionale amplificato dai media (istituzionali anch’essi?). Ma poi abbiamo un altro problema, un articolo di Massimo Fini, apparso sul “Fatto quotidiano” il 7 settembre scorso. Dice Fini (Massimo) dopo l’esternazione di Berlusconi che questo è “un paese di merda” (cito!) si sarebbe aspettato “che gli italiani scendessero in strada, non per il solito e inutile sciopero politico alla Camusso, ma per dirigersi, con bastoni, con randelli, con mazze da baseball, con forconi verso la villa di Arcore o Palazzo Grazioli o qualsiasi altro bordello abitato dall\’energumeno, per cercare di sfondare i cordoni di polizia e l’esercito di guardie private da cui è difeso, e dirgli il fatto suo. Invece la cosa è passata come se nulla fosse. Encefalogramma piatto”.

Ora, Fini, nonostante scriva sul Fatto quotidiano, è un uomo di destra. di estrema destra, quella “nuova” destra che fa riferimento ad Alain de Benoist (si vedano i riferimenti di Fini e del Movimento Zero, il partito che ha fondato). Si legga il suo “Manifesto dell’antimodernità” a questo link: http://www.massimofini.it/ultime/manifesto-dell-antimodernita, dove appaiono anche i nomi dei firmatari, dallo stesso de Benoist a personaggi del calibro di Paolo Signorelli (oggi deceduto, l’ideologo di Terza posizione), di Alberto Mariantoni (che scrive da Ginevra dove risiede dal 1970, quando fu indagato per il tentato golpe di Borghese), del veronese Franco Nerozzi (che patteggiò una condanna per un\’accusa di traffici di mercenari in vista di un tentativo di golpe alle Comore), dei missini di antica data Tomaso Staiti di Cuddia e Filippo Misserville, e tutta una serie di militanti di quella destra nota come “comunitarista”, che gravita intorno a riviste come “Aurora”, “Rinascita nazionale”, “Eurasia”; ed alcuni triestini, tra i quali Lorenzo Salimbeni (attivista della “Riva destra” di Azione giovani ed oggi membro del direttivo della Lega nazionale e di Generazione Europa assieme a Marco Bagozzi, altro firmatario).

Con buona pace dei proclami di Massimo Fini. l’ultima cosa di cui sentiamo il bisogno oggi è di qualcuno che cavalchi il cavallo della protesta per fare ciò che Maroni dice di “temere”. La nostra opinione è che sarebbe opportuno rispondere per le rime a personaggi del calibro di Fini, che dopo essersi creata un’immagine “alternativa”, quella di uno che le canta a tutti e pensa ad un nuovo modo di fare politica, alla fine tira fuori battute che sembrano uscire da quel vecchissimo copione spesso replicato in Italia che ha il titolo di “strategia della tensione” e che tanti morti ha causato, sia tra i manifestanti che tra le forze dell’ordine che tra ignari cittadini. Ed a questo proposito ripeschiamo un po’ di documentazione “datata”.

Cominciamo con le dichiarazioni che il compianto (in quanto ci ha lasciato senza vuotare il sacco) presidente emerito Francesco Cossiga ha rilasciato a “Il Giorno” in data 23/10/08 (in un momento in cui si stavano svolgendo scontri di piazza): “Lasciarli fare. Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!”. Fin qui uno che di ordine pubblico se ne intendeva, se ricordiamo cosa accadeva negli anni 70 in Italia.

Ma tanto per restare in argomento, leggiamo cosa scrive Emmanuel Amara a proposito del “Club di Berna” che si era formato all’inizio degli anni 70, tra capi di polizia dei paesi europei aderenti al Mercato Comune (ma era presente anche un rappresentante del governo della Romania) e un esponente dell’FBI. Il presidente “onorario” era il nostro Umberto Federico D’Amato.

Questo “Club” aveva lo scopo di bloccare i terroristi, e per questo aveva deciso di organizzare un’infiltrazione su vasta scala all’interno dei gruppi inserendovi infiltrati che diventassero “gli elementi più coraggiosi e più spietati”; insomma la consegna era non introdurre “confidenti o informatori ma veri e propri terroristi completamente liberi di agire”.

Alla fine l’infiltrazione servirà più che non per bloccare il terrorismo per screditare le organizzazioni di estrema sinistra. Così una direttiva dei servizi segreti americani del 1970: “allo scopo di garantire nei paesi amici la stabilità (è necessario) penetrare l’insorgenza con servizi segreti […] con il compito di formare gruppi di azioni tra gli elementi più radicali […] nei casi in cui l’infiltrazione nel gruppo guida non sia stata efficacemente attuata si possono ottenere effetti utilizzando le organizzazioni di estrema sinistra”.

Questo piano di infiltrazione nell’estrema sinistra venne denominato “Chaos”, e visto tutto quello che è accaduto dopo, possiamo ritenere che abbia ottenuto l’effetto desiderato. Anche come modello.

Claudia Cernigoi

© 16 Ottobre 2011

Galleria fotografica

La locandina

Sfoglia online l’edizione cartacea

Accedi | Designed by Picchio Productions
Copyright © 2012 La Voce di Trieste. Tutti i diritti riservati
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Trieste - n.1232, 18.1.2011
Pubblicato dall'Associazione Culturale ALI "Associazione Libera Informazione" TRIESTE C.F. 90130590327 - P.I. 01198220327
Direttore Responsabile: Paolo G. Parovel
34121 Trieste, Piazza della Borsa 7 c/o Trieste Libera
La riproduzione di ogni articolo è consentita solo riportando la dicitura "Tratto da La Voce di Trieste"