“Carnage”, ci si aspettava di più
L’ultimo film di Roman Polanski
Carnage graffia, ma non affonda davvero le unghie. Questa è l’impressione che si ha all’uscita dal cinema, dopo aver visto l’adattamento cinematografico dell’opera teatrale Il dio del massacro (http://www.adelphi.it/libro/9788845926235) di Yasmina Reza, ad opera di Roman Polanski. Intendiamoci: il film è bello, e tanto più considerevole se si pensa che riesce ad avvincere per 80 minuti con soli quattro personaggi e un’unica ambientazione. Ma pure non ci si leva l’idea che il risultato avrebbe potuto essere molto più disturbante e incisivo.
Un ragazzino di 11 anni, durante una lite al parco, colpisce un coetaneo spaccandogli due denti. I genitori del ragazzino aggredito invitano i genitori dell’altro nel proprio appartamento, per risolvere la questione “in modo civile”. L’incontro è come tanti, fatto di imbarazzi, di tensioni malamente celate dalle frasi di circostanza. Ma ben presto la situazione degenera: le buone maniere lasciano il posto a un crescendo di reciproche accuse, e la lite dei figli diventa il detonatore di frustrazioni e incomprensioni interne alle coppie. Parole grosse, pianti, urla, gesti inconsulti: il mito del perbenismo si rivela così come una maschera dell’ipocrisia borghese figlia del suo stesso esasperato individualismo.
I personaggi sono volutamente stereotipati: Penelope (una Jodie Foster piuttosto isterica) è la donna idealista, convinta della necessità di una pacifica convivenza, ma nervosa e frustrata. Suo marito Michael (John C. Reilly) è un rappresentante di articoli per la casa; inizialmente si mostra bonario e affabile, ma in realtà è cinico e superficiale, e parla per frasi fatte. Kate Winslet invece interpreta Nancy, operatrice finanziaria dal vomito facile, la cui eccessiva formalità crolla dopo qualche bicchiere di whisky; mentre Christoph Waltz è suo marito Alan, avvocato di successo, una vera macchietta con le sue ironie affilate e il suo telefonino che interrompe in continuazione i discorsi. I dialoghi sono serrati e non lasciano respiro; da notare la dinamica dello scontro che passa da coppia contro coppia, a uomini contro donne, a tutti contro tutti, in un vortice inarrestabile: l’unico punto su cui infine si trovano d’accordo è che quello è stato il giorno più brutto della loro vita.
La morale è esplicita e poco accomodante, come sottolinea la scena finale in cui si intravedono i due ragazzi che parlano con complicità nello stesso parco in cui si erano picchiati: il loro mondo è più genuino e sincero di quello degli adulti, dominato da egoismo e desiderio di prevaricazione.
Da rimarcare la notevole prova attoriale dei quattro interpreti, soprattutto delle due donne, nonché la regia ben calibrata di Polanski, che segue i personaggi nel progressivo disfacimento del loro volto sociale. Ma se la satira avesse poi virato decisa verso il dramma, l’effetto del film sarebbe stato certamente diverso, e meno digeribile. Con la sua messa in scena caustica e surreale, Carnage fa riflettere e spesso anche ridere, ma è un ridere frutto dell’esagerazione grottesca di atteggiamenti e comportamenti che in sé non fanno ridere affatto. La risata esorcizza quanto di noi è riconoscibile in quei personaggi, e aiuta a mandare giù il boccone amaro di un’ipocrisia connaturata alla nostra “società civile”.
Il film è in programmazione a Trieste al cinema Giotto (www.triestecinema.it)
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© 1 Ottobre 2011