La Voce di Trieste

I politici italiani vendono l’evasione fiscale (altrui) come Totò la fontana di Trevi

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Osservatorio – politica italiana

Seguire e discutere la confusione permanente della dirigenza politica italiana sulla manovra economica che dovrebbe salvare il Paese dal fallimento è divenuto esercizio quasi inutile.

Perché le loro scelte impoveriranno sicuramente la popolazione con misure di maggiore o minore gravità ed ingiustizia ma, come in ogni situazione debitoria, per i creditori le prove di onestà e di volontà del debitore di pagare al meglio possibile contano prima e più che i termini di pagamento.

Ed invece questa classe politica nazionale complessivamente così inetta, avida e corrotta (erede degenere di quella seria e spartana che fondò la Repubblica e risollevò l’Italia dopo la seconda guerra mondiale) non solo, come abbiamo già scritto, non ha nemmeno idea della struttura e della situazione economica reali del Paese, né dei rimedi accettabili ed efficaci, ma si sta anche esibendo in un tentativo di truffa che ha lasciato i creditori ancora più allibiti.

Al cinema si può infatti ridere di Totò che tenta di vendere al turista americano la Fontana di Trevi. Ma nella realtà le cose non vanno così. E si rimane agghiacciati, tantopiù all’estero, dal tentativo spudorato del governo Berlusconi di spacciare improvvisamente ai mercati internazionali come fondi esigibili a breve, addirittura sotto rigori di galera e pubblicità totale dei redditi, quei recuperi dell’enorme evasione fiscale italiana che non lo sono mai stati, e per motivi ben noti.

Nei Paesi normali, dove governi normalmente competenti e rigorosi spendono quote oneste delle entrate fiscali per garantire buoni servizi pubblici ed assistenze sociali adeguate facendo star meglio tutti, l’evasione si limita per lo più ad alcune specie di furbi e ladri che è relativamente semplice indagare e punire. Anche perché si bada a formare norme fiscali senza scappatoie, ed a provvedere gli appositi organi inquirenti e giudicanti di personale, mezzi e libertà sufficienti per il loro loro lavoro.

In Italia invece, e non per caso, gli organi d’indagine e giustizia fiscale vengono tenuti in condizioni croniche di debolezza materiale e pressioni politiche, mentre l’evasione è enorme perché composta da un intreccio particolare di più generi e livelli radicalmente differenti, che perciò richiedono anche valutazioni ed interventi molto diversi da quelli validi per altri Paesi europei.

C’è anzitutto l’evasione degli italiani ricchi, che si divide in due categorie principali. La prima è quella dei supermiliardari, perciò supeprotetti, disinvolti come il Berlusconi. Che oltre ad usare i soldi per impadronirsi del governo, con suoi staff finanziari privati ha esercitato impunemente una quantità abnorme e notoria di corruzioni personali e pubbliche, incluse evasioni e fondi neri con reti di società coperte in paradisi fiscali. Le nuove norme significherebbero dunque dover mettere in cella per primo lui, e buttar via la chiave.

L’altra categoria è quella di una quantità di ricchi e benestanti che vogliono pagare meno o niente tasse per principio, o perché andrebbe ad incider loro su barche, ville, auto, svaghi e vizi di lusso. È così che con vari trucchi, legali o illegali, incredibilmente solo il 2% degli italiani dichiara redditi annuali superiori ai 75mila euro, mentre il numero delle proprietà di lusso censite od individuabili nel Paese è enormemente superiore. Per rintracciare questi evasori a computer e farli pagare il dovuto bastano quindi un programmino banale che incroci dati disponibili da sempre, e la volontà di farlo (tant’è vero che ora il governo promette anche di mandare all’incasso i saldi non pagati del condono 2002, ma non dice perché non l’ha mai fatto prima).

C’è poi l’evasione di mafia, che in Italia con le attività illecite e le forme di lavoro nero connesse accumula e sottrae, direttamente e riciclandole, quantità gigantesche di denaro avvalendosi anche di profonde collusioni spontanee o forzose con ambienti politici, imprenditoriali ed istituzionali. Ma combatterla non è procedura ordinaria: è una guerra durissima sul campo, dal Sud al Nord del Paese, con tecniche, mezzi e personale speciali. Che invece vengono significativamente limitati, ed appena toccano le intese di vertice tra mafie e politica finiscono bloccati. Con la burocrazia o nel sangue.

La politica italiana consente quindi a questi filoni principali e connessi dell’evasione ricca di sottrarre impuniti enormi risorse fiscali allo Stato. E questa sottrazione costringe ad alimentarlo sottoponendo il lavoro lavoro autonomo o dipendente dei cittadini normali ad una tassazione eccessiva (oltre il 50%) perché non compensata da servizi pubblici proporzionali. Si proteggono cioè per corruzione (e non per ideologia) i più ricchi e criminali attuando una rapina politica indiretta nei confronti dei più poveri ed esposti.

Ed è questa pratica corrotta a determinare una quantità numericamente enorme di evasioni fiscali individuali degli svantaggiati: sono le evasioni povere di lavoratori autonomi e dipendenti che non riescono obiettivamente a sopravvivere se non ricorrono al lavoro nero principale o secondario per sottrarsi in qualche misura al carico fiscale sproporzionato. Ma continuano ad alimentare con i loro redditi magri e numerosi almeno il circuito di consumo dell’economia nazionale, mentre le categorie privilegiate degli evasori ricchi spostano i loro fondi neri per lo più all’estero.

In Italia quindi l’evasione ricca è un fenomeno di criminalità, individuale, associativa od organizzata, mentre quella povera è in realtà un fenomeno di degrado sociale diffuso, determinato dall’altra. Ed il fatto che sia divenuto costume culturale difficilmente reversibile non modifica, ma conferma la natura, permanenza e gravità dello stesso rapporto causale, praticamente ininterrotto negli attuali 150 anni di storia del Paese.

In questa situazione consolidata, e dopo aver portato l’Italia sull’orlo del fallimento, il governo incapace dell’impresentabile Berlusconi ha avuto dunque l’idea demenziale e fraudolenta, condivisa in parte dalle opposizioni, di poter continuare a tollerare l’evasione ricca di magnati (come lui), privilegiati e mafie, evitando addirittura una tassa speciale sui redditi elevati, per fare invece cassa aggredendo in false vesti moraliste l’evasione povera con miriadi di sanzioni, pignoramenti e sequestri minori. E tentando di spacciarli ai mercati esteri come previsione di bilancio attiva credibile della manovra finanziaria d’emergenza.

Oltre che un’ingiustizia scandalosa ed una tentata frode spudorata, questa è una follìa irresponsabile perché minaccia di aggravare drammaticamente l’instabilità economica e sociale del Paese, già in profonda crisi di lavoro, trasformando anche le fasce del lavoro nero povero in nuove sacche di miseria e protesta, ancora più esplosive e manipolabili sia da estremisti politici che della criminalità organizzata.

Peggio ancora se avvenisse con le vantate aggiunte demagogiche della pubblicazione in rete dei redditi di tutti i cittadini, che è vietata dalla legge perché esporrebbe i benestanti a ladri ed estorsori e i deboli agli avvoltoi, e della delega di accertamenti fiscali dallo Stato a Comuni e Regioni, che in Italia scatenerebbe un’orgia incontrollabile di abusi locali.

Tutte cose ovvie con un minimo di buon senso, diranno i nostri lettori. Mica tanto, dato che si leggono assai poco, o troppo poco chiare, nelle analisi italiane correnti di vario prestigio. Mentre si trovano puntualmente in quelle straniere accurate. Ed anche questo significa qualcosa sullo stato dell’informazione, della democrazia e della razionalità politica in questo Paese.

 

Paolo G. Parovel

© 6 Settembre 2011

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