La Voce di Trieste

Villi Bossi. Scultore

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Correva l’anno 2009, ma solo oggi lo riesce raccontare. Un uomo, 52 anni. Una malattia lo inseguiva e lo intrappolava da troppi, costanti, ripetuti, dolorosi interventi.

Viveva in mezzo alla campagna, ma aveva scelto di ritornare, dove vive tutt’ora, nella sua città natìa: Trieste.

Quante domande, quante paure… rifletteva: “Di nuovo garze. Di nuovo punti. Nuove cicatrici, anche nel cuore e nell’animo. Sono alla mia dodicesima asportazione, in questa lotta contro la malattia.

Dodici. Sarà un numero importante? Anche i mesi dell’anno sono dodici. Sarà la fine di un ciclo? Un ciclo della vita. La rinascita…??? Ho cinquantadue anni, ancora per qualche giorno e ho bisogno di correre. Correre avanti. Indietro. Sul posto. L’importante è correre. Ma non me lo permettono. Voglio uscire.”

Esce. Ha bisogno di camminare. Ha bisogno degli odori. Dei  colori. Delle forme. Libero. Solo. “Piazza Unità d’ Italia. Ogni volta che ti ritocco mi doni un’emozione nuova. Sei immensa e mi fai sentire libero. Libero o abbandonato?”

Con la coda dell’occhio nota un cartello su palazzo Costanzi: Villi Bossi. Scultore

L’ha già sentito. Dove? Di sculture non ci capisce. Si sente ignorante. Ma sente la voglia di entrare. Non ha soldi. Il vuoto nelle tasche e nel portafoglio. Si vergogna. Il pulsare è troppo forte, assomiglia a quel pulsare che lo fa prendere tele e colori. Prende coraggio. Si avvicina. “Ingresso libero. Sono fortunato!!”

Chiunque riderebbe di lui davanti a questa affermazione. La felicità è tale che prova emozione e disagio nel varcare quella soglia. Una signorina all’entrata che legge e… gli sorride. Un signore di spalle.

Si concentra. Non sa guardare le sculture. Le trova semplici e particolari. Nell’arte, nella scrittura, in tutto ciò che è creatività questi due ingredienti messi assieme hanno la sua attenzione, trova geniale riuscire a integrarli. Ma continua a capirci poco.

Come spesso gli accade nell’ultimo periodo cerca di non interpretare ma di fare come i bambini, limitandosi al mi piace e al non mi piace. Che sensazione di libertà!! Due opere lo colpiscono. Gli piacciono. Si avvicina. Vorrebbe toccarle, ma esita. Il cuore batte lento ma profondo, ridondante. Un’ etichetta ai piedi dell’opera.

“Il ciclo della vita“ -“La rinascita”

L’emozione è forte. Cerca di nasconderla. Fissa gli occhi sulle foto, vede il volto del Villibossi. Decide di accertarsi che nessuno abbia notato la sua emozione. Si volta per controllare.

E’ lì. Villibossi è lì.

Di tutto ciò che lo circonda non ci capisce ma di ciò che sta pulsando in lui sì. Lo riconosce, ed è grazie a lui. Vorrebbe abbracciarlo. Mantiene la maschera virile del decoro e dell’autocontrollo. Finge rapidamente di aver terminato il giro per non attendere neppure un istante in più per stringergli la mano. Con un filo di voce gli dice “posso farle i miei complimenti?” e a quel punto un mondo nuovo si apre.

Il  mento dell’artista si solleva, i suoi occhi incrociano quelli dell’uomo e ritrova lo stesso proprio sguardo di quando termina un dipinto e alla persona che lo fa vedere chiede umilmente e semplicemente “ ti è piaciuto?”.

Ecco perché pulsava! Queste opere sono creature di un animo semplice…il più nobile. Resta paralizzato. Le sue maschere stanno per crollare. Dimentica tutto, anche l’intervento.

Villibossi inizia a raccontargli, ”è bellissimo ascoltarlo”. Gli  spiega il perché delle forme. Oora inizia a capirci e tutto gli sembra ancora più bello. Ha voglia di lasciarsi andare. Inizia a far domande, e a confidargli quali sono le opere che più gli sono piaciute. Gli chiede il perché di quei intagli quadrati e quei cubi attorno..

Intanto sento quanto assomigliano ai suoi intagli.

Villibossi spiega: “ vede, inizialmente io la vita la rappresentavo in questo modo, e la quotidianità la facevo emergere dalla vita con delle forme rotondeggianti. Poi, con gli anni passati, ho capito che ciò che intacca la vita, insomma: il quotidiano, è squadrato, come quei cubi… come quelle forme..”

Quanto si sente d’accordo !!! Senza vergogna chiede indicando un’opera “Ma se è così, perché quei cubi intagliati sono messi sulla sommità di quell’opera quasi cadessero dal cielo?”

Con tono di voce pacato e un sorriso contenuto gli spiega, con le parole che ad oggi, rimbombano ancora nella sua testa: “non cadono dal cielo: se ne vanno verso il cielo… evaporano..”

I quadrati, i cubi pesanti della quotidianità, escono dalla sostanza, lasciano anche dei “buchi” ma poi … evaporano.

Non serve aggiungere altro, solo ed esclusivamente che dal quel giorno… ”per caso” quell’uomo non ha più dovuto subire quel tipo di interventi.

© 20 Luglio 2011

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