La Voce di Trieste

Notte “Favolosa”, merce da sogno

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«La via era una delle più animate della città; per tutto il giorno era stata piena di gente. Ma ora, all’imbrunire, la folla cresceva da un minuto all’altro; e quando si accesero le luci a gas, due fitte, compatte fiumane di passanti s’incrociavano davanti al caffè. Non mi ero mai sentito in uno stato d’animo come quello di questa sera; e assaporai la nuova emozione che mi aveva colto davanti all’oceano di quelle teste in movimento. A poco a poco persi di vista ciò che avveniva nel locale in cui mi trovavo, e mi abbandonai completamente alla contemplazione della scena di fuori» (Edgar Allan Poe, l’uomo della folla).

 

Teste che oscillano su e giù, dondolandosi e specchiandosi in vetrine piene di oggetti del desiderio: questo era il vero “spettacolo” della serata. Non le ballerine danzanti, la musica, i giochi di luci sul palazzo della Prefettura, le passerelle, che pochi si sono accorti essere soltanto un enorme spot pubblicitario. L’oggetto (il grande oggetto) in vendita? La lussuosa nave da crociera “Costa Favolosa”, costata ben 510 milioni di euro, che attende ansiosamente d’essere riempita da fiumane di clienti.

Una “notte di festa” che vale la civetta del quotidiano cittadino. Il grande evento diventa luogo di ritrovo per la cittadinanza; eppure, di occasioni d’incontro, in questo periodo ce ne sono molte: basti pensare all’inaugurazione della Biennale diffusa, o al festival cinematografico internazionale “Maremetraggio”, passati entrambi in secondo piano sui media locali rispetto alla “Favolosa” (solo sul quotidiano locale di oggi le sono state dedicate due intere pagine più un occhiello con grande foto in prima pagina; mentre sulla Biennale diffusa solo mezza pagina – idem per “Maremetraggio”).

 

L’atmosfera che ha circondato l’evento era quanto di più fiabesco possibile: una ballerina capace di volare sospesa nell’aria, un lungo spettacolo di fuochi d’artificio e, soprattutto, negozi aperti anche la notte (ben inteso: fino all’inizio del grande “evento”; poi hanno, con puntualità svizzera, chiuso, per dare maggior risalto allo spot principale). La “Favolosa” (a conti fatti, come abbiamo visto, una semplice merce) viene quindi affiancata da moltissimi altri feticci-merce, di minori dimensioni, esibiti quali oggetti da sogno nelle vetrine che – trasparenti – danno l’impressione di poter afferrare l’agognato oggetto, di poterne facilmente godere. Su di esse adesivi e cartelli riportano ovunque la dicitura “SALDI”, ma sembrano urlare in modo smodato, lungo la strada assordante, “COMPRA” (la fila davanti agli sportelli Bankomat si fa, con il passare del tempo, sempre più lunga).

Entrare nel negozio è un’azione spontanea, immediata, quasi “naturale”; viene così messo in luce il rapporto tra sfrenatezza e disciplina: i passanti del racconto di Poe «si comportano come se, adattati ad automi, non potessero più esprimersi che in modo automatico» (Walter Benjamin, Angelus Novus); così è passeggiando davanti alle vetrine: arriva il comando (“SALDI”) e non si può che entrare, è la legge della massa-flusso la quale – come una corrente marina – trasporta le singole gocce d’acqua a suo piacimento; il singolo, già perduta la propria identità nell’acquisto di merci sempre-uguali, pare non avere scampo. Si è “liberi” di comprare ciò che si vuole, ma il fornitore e la merce sono gli stessi ovunque. “Liberi” un po’ come quel telespettatore che crede di vedere ciò che vuole poiché ha in mano il telecomando, mentre la sua libertà è limitata alla scelta di un determinato palinsesto, che differisce dall’altro soltanto nel nome.

Dentro i negozi la merce viene venduta a fiotti, fuori la spazzatura si accumula e sommerge i cassonetti: ma nessuno si permetta di collegare i due aspetti, soprattutto in giorni così difficili per una grossa città come Napoli, immersa fino al collo dal pattume.

«La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonie d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. […] Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. […] Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo» (Italo Calvino, le città invisibili).

Essere sommerso dai rifiuti, forse è questa la fine più consona dell’automa consumistico chiamato – a torto – “uomo”.

© 4 Luglio 2011

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