La Voce di Trieste

Se Roma soffoca il porto di Trieste il danno è europeo ed internazionale

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Analisi

La notizia è che mentre il porto di Trieste continua ad affondare, il Governo sloveno ha approvato nella seduta del 16 giugno il piano statale di sviluppo del porto adiacente di Koper-Capodistria nel ruolo logistico di connessione più breve, sicura ed ambientalmente sostenibile tra il Medio ed estremo Oriente e la Mitteleuropa (in particolare Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia Germania meridionale, Polonia).

Come nasce e lavora il porto di Koper-Capodistria

Koper-Capodistria, unico porto commerciale della Repubblica di Slovenia, svolge da alcuni decenni parte dei ruoli storici europei dell’adiacente porto di Trieste, che Roma tiene invece in condizioni di sottosviluppo per favorire i porti della penisola italiana. Paralizzando in particolare il regime di Porto franco internazionale di Trieste ed i diritti d’uso delle banchine da parte dei Paesi del retroterra.

La creazione di un porto alternativo sloveno era stata resa infatti necessaria dal diniego italiano di spazi nel porto di Trieste per l’Austria e la Slovenia che li chiedevano legittimamente dopo la seconda guerra mondiale. Il porto di Koper-Capodistria ha avuto perciò una crescita veloce e costante, è collegato con il sistema stradale e ferroviario europeo ed ha sia linee dirette che collegamenti ‘feeder’ dei maggiori armatori mondiali.

Il suo nuovo piano di sviluppo, appoggiato anche dalla Bei-Banca europea degli investimenti, consente ora l’aumento delle superfici portuali terrestri e di banchina dagli attuali 280 a 404 ettari e del movimento merci a circa 35 milioni di tonnellate l’anno dalle 15,4 del 2010, con preferenza per quelle più redditizie e non dannose per l’ambiente. Richiede l’ammodernamento ed incremento dei collegamenti ferroviari e prevede la sistemazione delle aree urbane adiacenti, con nuove strutture di servizio nautico, sportive e ricreative, incluso uno stadio per l’atletica.

Il progetto, costato tre milioni di euro, concreta infatti dopo cinque anni di gestazione una mediazione approfondita tra le necessità del porto, le normative di legge e le esigenze espresse dalla comunità locale. Lascia tuttavìa aperti problemi di compatibilità con lo sviluppo turistico-balneare della località affacciata di Ankaran-Ancarano.

 

L’attività italiana di blocco e dirottamento portuale

Nelle procedure per l’ampliamento del porto sloveno è pure intervenuta come Paese confinante l’Italia, che ha tentato di frenarlo per motivi di concorrenza sostenendo di poterne subire possibili danni ambientali, senza però riuscire a dimostrarli.

Contemporaneamente Roma continua a deprimere lo sviluppo del porto di Trieste e dei suoi collegamenti ferroviari, forza con vari espedienti l’eliminazione del Porto Franco Nord (portovecchio) dopo averlo svuotato allontanando gli investitori internazionali tuttora disponibili, e tenta di dirottare sul Friuli, attrezzando il piccolo porto di Monfalcone, l’asse di traffico naturale europeo di Trieste e Koper-Capodistria attraverso la Slovenia.

Si tratta di un’operazione di blocco, svuotamento e dirottamento portuale italiana che paralizza quest’asse per colpire e condizionare interessi economico-strategici rilevanti sia dell’Unione Europea, sia dei Paesi europei ed extraeuropei che sono contitolari dei diritti d’uso del Porto franco internazionale di Trieste.

È infatti evidente che i due porti adiacenti triestino e capodistriano formano in realtà un polo portuale europeo d’interesse internazionale geograficamente unico, che in base all’articolo 1 dell’Accordo di promozione economica collegato al Trattato del 10.11.1975 ha anche diritto a condividere, in apposite aree limitate da ridefinire, il regime extradoganale di porto franco reso inviolabile dal Trattato di Parigi del 1947 e dagli specifici strumenti internazionali successivi.

Tanto evidente che continuano anche a ripresentarsi ? ed a venire respinti in silenzio ? investitori internazionali interessati a sviluppare di nuovo queste possibilità, incluso il riutilizzo portuale produttivo immediato degli spazi extradoganali di porto franco che l’Italia tiene invece vuoti ed inerti, ad iniziare dal cosiddetto ‘portovecchio’. Cioè dai 70 preziosi ettari extradoganali del Porto Franco Nord di Trieste, perfettamente attrezzati con banchine su fondali di 15 metri, magazzini e scalo ferroviario.

 

Le attività di pressione e disinformazione

Esattamente per questi motivi cosiddetti ‘poteri forti’ italiani stanno impegnando da anni tutte le loro forze di riferimento locali, consapevoli o meno, in attività sempre più intense di pressione e disinformazione articolate in tre direzioni.

La prima è locale: convincere la confusa opinione pubblica triestina a dimenticare lo strumento di lavoro del Porto Franco internazionale e ad accettare sia l’eliminazione funzionale del Porto Franco Nord consegnandolo alla speculazione immobiliare, sia lo spostamento dei traffici di Trieste sul Friuli attraverso Monfalcone (col cosiddetto progetto Unicredit di un ‘superporto’).

La seconda direzione è verso la Slovenia, per convincerne i governi sinora poco avveduti a non puntare sulle collaborazioni portuali con Trieste, a dimenticare i diritti di condivisione del regime di Porto franco triestino ed a non attivarli in sede bilaterale, europea ed internazionale.

La terza è appunto internazionale: fare in modo che gli osservatori europei ed extraeuropei non si accorgano nemmeno di questa operazione italiana pericolosa verso est (su altre leggi qui il dossier Gladio 2) o la sottovalutino senza coglierne le conseguenze strategiche sui traffici e le politiche del Sudest europeo.

 

Risvegli d’attenzione internazionale

Ma qualche settimana fa il ministro degli esteri italiano Franco Frattini ? personalità già singolare degli intrecci politici nazionali più o meno palesi ? si è disturbato a venire a Trieste per dichiarare e ribadire solennemente sulla sua parola, e con l’appoggio disinformativo insisitito del solito quotidiano locale, che il regime di Porto Franco internazionale di Trieste può essere modificato o soppresso dalle autorità locali, comunale e portuale.

È un’enormità giuridica così enorme e palese che ha risvegliato finalmente sul tema qualcuno di quegli osservatori esteri, incuriosendoli sul come e perché un ministro degli esteri italiano, anche se dell’impresentabile Berlusconi, possa sprecarsi e screditarsi a sostenerla con tanto zelo, ed in questa città così marginale.

La curiosità interlocutoria di quegli osservatori è aumentata poi con la constatazione che Frattini l’aveva fatto per contrastare l’unica campagna stampa che ormai da un anno ricorda l’inviolabilità del regime internazionale del Porto franco e denuncia gli abusi in merito delle autorità locali: la nostra (leggi qui le nostre analisi ed inchieste precedenti).

È stata infatti notata la sproporzione materiale evidente di forze e ruoli tra il ministro degli esteri italiano e noi giornalisti triestini, anche se grazie alla rete siamo letti direttamente con attenzione, su alcuni temi d’analisi, pure molto lontano da Trieste ed autorevolmente.

Ma proprio questa sproporzione ha confermato ? grazie, Frattini ? che sul piano degli interessi internazionali noi stiamo dicendo una verità così importante e pericolosa per gli intrighi politico-economici dei ‘poteri forti’ italiani, che deve venir qui a tentar di coprirla il ministro degli esteri in persona.

Sembra dunque che alcuni osservatori internazionali si stiano risvegliando sulla questione del porto europeo bloccato di Trieste. Per sbloccarlo occorre però che si svegli qui anche l’opinione pubblica triestina. Magari assieme ai nuovi amministratori volonterosi, di maggioranza ed opposizione, del Comune di Trieste.

Paolo G. Parovel

© 18 Giugno 2011

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