La Voce di Trieste

Decrescita: la terza via secondo Latouche

di

L’economista francese tiene una conferenza all’Università di Trieste

 

 

«Siamo arrivati all’incrocio di due strade: una porta alla scomparsa delle specie, l’altra alla disperazione. Speriamo che l’uomo faccia la scelta giusta». Così Woody Allen, «il più grande filosofo del nostro tempo» per Serge Latouche – docente di scienze economiche all’Università di Parigi, anche se «in momenti come questi c’è bisogno di essere un po’ filosofi» – che con questa citazione apre la conferenza tenuta all’Università di Trieste la mattina del 9 marzo. Tema: “la decrescita è la soluzione alla crisi?”

È tramite la frase del comico newyorkese che Latouche legge il presente: «la prima strada è quella percorsa prima dell’inizio della crisi», quella di una società «che si è lasciata fagocitare da un’economia il cui unico fine è la crescita per la crescita». Una società in cui bisogna «consumare a tutti i costi», dove consumare – etimologicamente il termine significa anche “ridurre a nulla” – ha significato «distruggere l’ambiente, le risorse non rinnovabili», e la produzione di enormi quantità di rifiuti. Una società di crescita che ha portato e porta alla «scomparsa delle specie, di cui l’uomo sarà vittima».

«Fortunatamente – ironizza nemmeno troppo Latouche – dal 2007, con lo scoppio della crisi, abbiamo adottato la seconda strada», la strada di una «società di crescita senza crescita» la quale, se è pur vero che vede diminuire l’inquinamento (si consuma meno petrolio), «porta alla disperazione»: senza crescita aumenta infatti la disoccupazione, non ci sono le risorse per finanziare le università, la sanità, la cultura, e tutto ciò che dà qualità alla vita nell’attuale sistema. La crisi sembrava dovesse portare ad una moralizzazione del capitalismo, alla cancellazione dei paradisi fiscali, ad un maggiore controllo delle banche, ma non è stato così: al G20 di Londra invece di agire in questa direzione, è stato salvato il sistema finanziario. Così, laddove «i governi non sono capaci, per salvare l’istruzione, la salute, la cultura, di trovare due soldi», sono stati spesi «23 mila miliardi di dollari – un terzo del prodotto mondiale – per salvare i responsabili della crisi», facendo pagare il prezzo alla popolazione.

Se queste sono le due strade, quale scegliere? «C’è una terza via – suggerisce Latouche –, un piccolo sentiero… il sentiero della decrescita». La crisi infatti apre la possibilità di costruire una società di decrescita serena, una società «d’abbondanza frugale».

Invece le risposte che destra e sinistra hanno dato alla crisi vanno in direzione antitetica: i primi «hanno adottato la soluzione di una società di crescita senza crescita», caratterizzata dall’«austerità». Austerità che distrugge il potere d’acquisto (vengono infatti ridotti salari e pensioni) e che acuisce la crisi, portando a una società dei consumi dove però i poveri non possono consumare e dove il sistema continua a favorire i settori più inquinanti. D’altra parte c’è la proposta della sinistra: il «rilancio», l’investire per favorire la ripresa dei consumi, ovvero la vecchia ricetta keynesiana che «poteva andare bene negli anni ’30 ma non oggi, quando il pianeta non può più sopportare una crescita».

Di fronte a questi programmi di destra e sinistra come risponde il sostenitore della decrescita? Seguendo le “8R”: Rivalutare, Ricontestualizzare, Ristrutturare, Rilocalizzare, Ridistribuire, Ridurre, Ritualizzare, Riciclare. Una ricetta che prevede cooperazione, piuttosto che concorrenza; sostenendo l’economia locale, tramite il consumo di prodotti del luogo; un’equa distribuzione dei beni che assicuri condizioni di vita dignitose per tutti; la diminuzione della produzione, degli orari di lavoro, per guardare all’ecologia e combattere i ritmi frenetici ai quali l’uomo contemporaneo è ormai abituato. Quindi una riduzione drastica del tempo di lavoro, «per lavorare tutti e lavorare meglio».

«Il nostro presidente (Nicolas Sarkozy, ndr) si è fatto eleggere con un programma che diceva “lavorare di più per guadagnare di più”: ciò è una truffa incredibile». La legge della domanda e dell’offerta infatti implica che se aumenta l’offerta del lavoro ma la domanda resta invariata, la conseguenza è il crollo del prezzo del lavoro, ovvero il salario: «lavorare di più significa quindi guadagnare di meno». Inoltre per poter «sviluppare le attività relazionali, attività che creano gioia di vivere», si deve disporre del tempo libero. E tutto ciò si può avere soltanto producendo – e consumando – meno.

Non a caso, infatti, Prodotto Interno Lordo e felicità non vanno proprio a braccetto: un gruppo economista chiamato “new economic foundation” ha calcolato un indice della felicità; dal loro lavoro emerge che, mentre sono gli Stati Uniti quelli con il PIL più alto, i paesi dove c’è più felicità sono – in ordine – il Costarica, la Repubblica Domenicana e la Giamaica; l’Italia si ferma al 69° posto, mentre i ricchi USA al 114°.

«La nostra proposta – quella di un’abbondanza frugale – può sembrare paradossale. Se si ritiene l’espressione un ossimoro è perché siamo tossico-dipendenti della società dei consumi», la quale non è una società d’abbondanza ma di scarsità, laddove il consumo è il risultato della frustrazione: «colui che lavora dodici ore al giorno, che è divorziato, che si trova in una situazione di malcontento, è il primo ad andare al supermercato per comprare qualunque cosa. Invece chi si sente bene, chi ha buoni rapporti con amici e familiari e ha abbastanza tempo libero per ascoltarsi un bel concerto o scrivere un saggio filosofico non ha bisogno di andare al supermercato. Il tasso di frustrazione è sempre – in una società di crescita – superiore al tasso di crescita».

Bisogna contrapporre alla società della crescita, dove la globalizzazione ha omologato tutto e tutti,  singole soluzioni provenienti dai fabbisogni locali. Soluzioni unite, però, da una filosofia comune, quella Zen: «la felicità si trova solo se si sanno limitare i proprî bisogni e i proprî privilegi».

Solo così è possibile dare un senso alla propria esistenza. Una posizione, quella di Latouche, che ritroviamo specchiata nelle parole di Pier Paolo Pasolini: «i beni superflui rendono superflua la vita». Avere di meno, per essere di più.

 

Serge Latouche è presente alla quarta edizione della Festa della decrescita felice in programma giovedì 10 e sabato 12 marzo.

© 10 Marzo 2011

Galleria fotografica

La locandina

Sfoglia online l’edizione cartacea

Accedi | Designed by Picchio Productions
Copyright © 2012 La Voce di Trieste. Tutti i diritti riservati
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Trieste - n.1232, 18.1.2011
Pubblicato dall'Associazione Culturale ALI "Associazione Libera Informazione" TRIESTE C.F. 90130590327 - P.I. 01198220327
Direttore Responsabile: Paolo G. Parovel
34121 Trieste, Piazza della Borsa 7 c/o Trieste Libera
La riproduzione di ogni articolo è consentita solo riportando la dicitura "Tratto da La Voce di Trieste"