La Voce di Trieste

Chi ruba a Trieste il vero lavoro possibile

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Né i forestieri, né altri porti: i veri ladri sono i politici locali di destra e sinistra che stanno per svendere alla speculazione edilizia improduttiva i nostri 70 ettari di zona franca internazionale riattivabile del Porto Vecchio, con la complicità ottusa ed irresponsabile di sindacati, industriali superstiti, istituzioni e media: occorre impedirglielo!

É davvero strano che mentre le disgrazie della crisi economica globale ed europea stanno facendo sprofondare visibilmente anche Trieste in una disoccupazione sempre più nera e disperata, dei giovani e non, i nostri politici continuino a propinarci anche qui le solite chiacchiere di maniera per tenerci buoni. Con la complicità od inerzia, sinora, del quotidiano locale “indipendente”, dei sindacati, degli industriali superstiti, delle istituzioni e delle “organizzazioni della società civile” così pronte ad attivarsi su problemi minori.
Fingendo tutti di ignorare o dimenticare che la disoccupazione è il problema principale, e che Trieste, tra tutte le realtà italiane in crisi, ha la fortuna e possibilità di avere una risorsa lavorativa unica in Europa, attualissima ed immediatamente spendibile sul mercato internazionale per creare rapidamente non centinaia o migliaia, ma decine di migliaia di posti di lavoro ad ogni livello.
Sono i nostri 70 ettari inutilizzati di zona franca portuale internazionale per il magazzinaggio e la trasformazione produttiva di merci, con chilometri di banchine su fondali di 15 metri, enormi cubature di magazzini vuoti da riusare o sostituire, un proprio grande scalo ferroviario di collegamento diretto con chilometri di binari ed un regime di franchigia non solo eccezionale, ma intoccabile perché vincolato a Trattati internazionali precedenti e prevalenti anche rispetto alle limitazioni della legislazione comunitaria europea.
Proprio mentre le zone franche portuali ed industriali stanno avendo nel Mediterraneo e nel mondo un nuovo sviluppo continuo e straordinario, anche dove non possiedono che una parte minima delle prerogative e della nostra, per non dire della posizione strategica.
Ma qual’è e dove sta questo nostro tesoro di zona franca inutilizzata, si chiederanno molti di coloro che non hanno letto quanto ne abbiamo scritto sui nostri numeri precedenti: è l’intera area del nostro cosiddetto Porto Vecchio, che una banda trasversale di delinquenti ed irresponsabili politici locali racconta essere nient’altro che uno spazio qualsiasi abbandonato e degradato da valorizzare come per altre aree dismesse di porti qualsiasi, “restituendolo alla città”.
Cioé svendendolo, dopo averlo disattivato apposta da decenni, alla  grande e media speculazione edilizia.
Che è anche, in fondo, la meno colpevole, perché si limita ad approfittare di un’occasione offerta da amministratori pubblici che rubano essi alla gente ed alla città il bene produttivo primario che hanno invece il dovere morale e giuridico di difendere e sviluppare.
Sul perché alcuni di questi politici lo stanno facendo, ed altri tollerando, non occorre avere, nell’Italia di oggi, molta fantasia.
Il recente “scandalo Dipiazza” sollevato dalle nostre inchieste ha confermato, documenti alla mano, quanto era evidente almeno da vent’anni: e cioè che sotto una crosta di perbenismo autoincensante la nostra città è finita in mano ad una squallida camorra politica bottegaia. Dove dalla destra alla sinistra si fa fatica a distinguere i corrotti dagli incapaci mentre i pochi meritevoli finiscono isolati, e persino ricattati e perseguitati, come nei sistemi di mafia.
Con due varianti: che mentre le mafie vere producono lavoro illegale, questo surrogato nostrano ci ruba quello legittimo, e non elimina gli oppositori fisicamente, ma escludendoli dal lavoro e dai media.
Per cui, da decenni, chi di noi in qualsiasi campo dissente da costoro ha l’alternativa tra emigrare ? abbiamo così gente nostra valorosa in mezzo mondo ? o rimanere da “cancellato”, subendo in silenzio la spocchia svergognata di parassiti politici, di destra e di sinistra. Politici che mentre migliaia di cittadini comuni affondano in una povertà senza speranze si esibiscono in coro sui media vantando patriottismi fasulli e cifre irreali di benessere statistico, e continuando a raccontarci che le cause dei nostri problemi non sono loro, ma la concorrenza del Friuli, della Slovenia e degli altri porti, gli immigrati, e comunque le disgrazie storiche del passato, come tali irrimediabili.
Che a Trieste e dintorni dopo il 1918 ed il 1954 ci siamo presi in questo modo soltanto colossali fregature e spoliazioni economiche coperte da sventolìi di bandiere per gli ingenui, lo sa chiunque sappia oggi guardare in faccia la realtà nuda e cruda.
Ma, comunque la pensiate, non è più questo il problema immediato.
Perché il vero problema immediato, dal quale non ci dobbiamo lasciar distrarre, è che quei delinquenti ed irresponsabili politici stanno appunto svendendo alla speculazione edilizia, per il guadagno di pochi privilegiati, l’unica nostra grande risorsa di lavoro nuovo e abbondante per tutti che ci è rimasta: quella appunto del Porto Vecchio.
Il tentativo di svendere il Porto Vecchio a scopi diversi da quelli del Porto Franco Internazionale cui è vincolato è illegale perché vìola strumenti specifici di diritto internazionale ed interno, e con essi i relativi diritti ed interessi legittimi che fanno capo ai cittadini originari dell’ex Territorio Libero di Trieste, odierni cittadini qui della Repubblica italiana ed oltreconfine di quelle di Slovenia e Croazia.
E sono appunto quei diritti alla gestione ed al funzionamento del Porto Franco Internazionale di Trieste che nella nuova Europa sovrannazionale possono finalmente risollevare, come prima del 1914, la nostra città assieme ad un’intera regione costiera transconfinaria.
Occorre capire bene che è proprio su quest’ultima, mostruosa ed intollerabile spoliazione non di eserciti del passato, ma di un’armata Brancaleone venale ed inetta di politicanti locali, che si gioca, in questi mesi o mai più, il destino economico del presente e del futuro di Trieste.
Cioè nostro e dei nostri figli. Il nostro pane.
E che per difenderlo dobbiamo fare, nell’immediato e nel concreto, tre prime cose elementari: bloccare la firma della concessione illegale del Porto Vecchio alla speculazione edilizia privata; impedire o far revocare la nomina alla presidenza dell’Autorità Portuale, oltre che di incompetenti, di chiunque sia favorevole a quella svendita ed all’affossamento del Porto Franco Internazionale; esigere la nomina a quella carica di un esperto di fama internazionale, con uno staff adeguato e col mandato preciso di cominciare ad offrire subito sul mercato globale gli spazi liberi di zona franca (magazzinaggio, trasformazione e produzione extradoganali) del nostro Porto Vecchio.
Il fatto che non ci si possa, evidentemente, fidare più di nessuno dei politici locali, né delle organizzazioni loro collegate, richiede però la mobilitazione indipendente dei cittadini. Non con le solite firme, petizioni e lamentazioni a vuoto o liste elettorali velleitarie, ma con una concreta azione legale collettiva, una cosiddetta class-action, di coloro (residenti ed emigrati) che ne hanno diritto ed interesse legittimo qui in Italia, e se possibile anche d’oltreconfine.
I quali tutti agendo collettivamente non ne avrebbero nemmeno rischi e spese.
Se poi politici nuovi o pentiti di qualsiasi colore, sindacati, imprenditori indipendenti, media, e quant’altri oggi latitano o nuocciono, volessero associarsi a quest’azione sacrosanta, sarebbero ovviamente tutti benvenuti.
E forse si potrebbero riguadagnare qualcosa della stima dei cittadini ed elettori che hanno giustamente perduto.
In ogni caso, ormai il destino di questa città è in scadenza brevissima
e sta direttamente nelle mani, nell’intelligenza e nella capacità dei suoi cittadini di unirsi e collaborare come tali, coraggiosamente, personalmente e subito a queste azioni e progetti nuovi, al di sopra delle parti e delle vecchie divisioni.
In passato non è stato possibile. Ma nell’Europa Unita del 2010, finalmente, lo è. Come stanno già dimostrando da sei mesi l’esistenza libera ed il lavoro di questo stesso giornale nostro e vostro.

Se siete pronti anche voi scriveteci, ed incominciamo ad organizzarci assieme seriamente, fuori politica, onestamente, parlando chiaro senza discriminazioni e discussioni su altro, e per nessun altro interesse che quelli veri, concreti e legittimi di Trieste.

© 6 Novembre 2010

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