Le incognite inosservate della politica ungherese
Anche se Trieste di trova ancora confinata nel ruolo psicologico ed economico artificioso di appendice estrema e condizionata della sola realtà italiana, l’osmosi col suo vasto retroterra naturale mitteleuropeo sta procedendo spontaneamente di per sé. E le sorti della nostra città e del suo porto franco internazionale dipenderanno sempre più dalle correnti di traffico, culturali e politiche del vasto mondo danubiano.
Al centro strategico della regione troviamo dall’anno scorso il governo ungherese di destra guidato da Viktor Orbán, che con la propria maggioranza parlamentare del 68% e l’appoggio esterno della destra estrema ha potuto modificare la Costituzione con norme contestate come antidemocratiche.
Ed entrando perciò in conflitto polemico con le strutture e l’idea stessa dell’Unione Europea, cui l’Ungheria pure appartiene, rischia di compromettere le necessità euroatlantiche di stabilizzazione del Sud Est Europa.
Problemi sottovalutati
L’attenzione e buona parte delle analisi politiche internazionali si sono concentrate sinora sulla crisi economica del Paese e sugli aspetti neo-autoritari più evidenti del governo, ed aspirante regime, di Orbán, che si sta inoltre servendo delle censure politiche ed economiche esterne per consolidare la propria base elettorale più nazionalista ed antieuropea.
Sembrano invece sottovalutate o sfuggite alle analisi non riservate alcune linee ed attività di destabilizzazione internazionale molto più pericolose, per natura e portata, cui è connessa da lungo tempo anche l’attività delle centrali politiche del nazionalismo (cosa diversa dal patriottismo) ungherese. Che con Orbán si trovano ora di fatto al governo di questo Paese-chiave per gli equilibri dell’intero Sud Est Europa.
E sono anche all’origine dell’operazione più pericolosa e sorprendentemente sottovalutata di quel governo.
L’operazione più pericolosa
Si tratta della legge di restituzione unilaterale della cittadinanza ungherese, su semplice richiesta, ai 3,5 milioni di màgiari rimasti nei territori ceduti nel 1920 ai Paesi confinanti: Romanìa, Serbia, Ucraina, Slovacchia, Slovenia, Austria.
Una violazione dunque clamorosa della loro sovranità, del diritto internazionale e dei trattati, che può innescare processi di destabilizzzione dell’intera regione,e costituire precedente per una miriade di situazioni internazionali analoghe, a cominciare dalla Palestina.
La legge è stata inoltre ricalcata esattamente su quella italiana recente (n. 124/2006) verso Slovenia e Croazia, discussa ed approvata dal Parlamento di Roma quasi segretamente, a livello di Commissioni: senza perciò discussione in aula, in concorso tra destra e sinistra, e col pretesto di dare soddisfazione ‘morale’ alle piccole minoranze italiane nei due paesi, ma con più ampi propositi destabilizzanti dichiarati anche a verbale della discussione. Tanto che l’allora Presidente della Repubblica Ciampi, allertato, la promulgò solo dopo lunghe esitazioni.
I retroscena internazionali ed italiani
La storia di queste attività di destabilizzazione nasce e si sviluppa in realtà all’interno delle destre revansciste europee che durante la guerra fredda venivano alimentate, coordinate e controllate dalle democrazie liberali dell’Occidente in funzione strategica anticomunista. E dopo la liquidazione del blocco sovietico non vennero inertizzate ma abbandonate fuori controllo.
Lasciandole così libere di riorganizzarsi anche in funzione revanscista ed antidemocratica, facendo perno sulle masse di profughi e fuorusciti della seconda guerra mondiale e loro discendenti, sull’ospitalità politica di regimi autoritari in vari continenti, e su fazioni interne e linee di debolezza di alcuni Paesi democratici. Il tutto in un intreccio di reti ormai ben noto anche a livello di analisi non riservate.
Una di quelle linee di debolezza è stata coltivata gradualmente nei tessuti molli della politica italiana, organizzando e rilanciando parallelamente alla crisi dissolutiva della Jugoslavia una politica di rivendicazioni verso la Slovenia e la Croazia indipendenti.
Avviata attraverso ambienti dei servizi italiani riattivando le organizzazioni del nazionalismo di confine già al tempo dell’irredentista dichiarato ammiraglio Fulvio Martini, quest’operazione (nota perciò agli analisti col nome convenzionale di “Gladio 2”) è iniziata sviluppando sui media italiani un’intensa e martellante campagna propagandistica unilaterale per delegittimare la Resistenza slovena e croata, su cui si fondavano i diritti di sovranità dei due Paesi sui territori adriatici orientali tolti all’Italia dal Trattato di pace di Parigi del 1947.
Questa campagna è stata infine consolidata agganciandovi la sinistra ex-comunista, e trasformata rapidamente in politica ufficiale di Stato. Anche con una serie di opzioni politico-militari destabilizzanti per l’area ex jugoslava, che sono state perciò ripetutamente bloccate su intervento diretto di Washington.
Ma vi sono state anche innestate due operazioni particolari a favore delle attività dell’estrema destra europea: nel 2005-2006 il varo quasi inosservato della legge di restituzione unilaterale della cittadinanza italiana agli abitanti dei territori ceduti, in modo che il precedente potesse venire sfruttato per prima e già allora dalla destra ungherese; ed un coordnamento internazionale delle organizzazioni dei milioni di profughi europei della deconda guerra mondiale, dal Baltico al Mar Nero, con agganci russi, centralità operativa formale presso un’organizzazione estremista dei profughi istriani a Trieste e massa di manovra centrale fornita dalle organizzazioni dei profughi e della destra tedeschi.
Si tratta di attività che vengono seguite ormai da una trentina d’anni con buona attenzione nelle sedi d’analisi opportune, ma non sono per questo meno preoccupanti, soprattutto che vi si è innestata operativamente la destra di governo ungherese, che ha più anime politiche, anche estreme.
Una controtendenza rilevante
È stata tuttavìa apprezzata nel 2011 anche una controtendenza rilevante del governo Orbán alla riaggregazione di relazioni economiche dirette con i territori ex austroungarici, che potrebbe favorire anche la rivitalizzazione di Trieste ed il suo porto.
Le ragioni dell’iniziativa di Budapest sono molto semplici: quell’antica unità plurinazionale di popoli e Paesi era fondata in realtà sulla loro gravitazione geoeconomica comune, che la frammentazione politica seguìta alla prima guerra mondiale ha spezzato isolandoli rovinosamente. E lasciando particolarmente isolato il suo nucleo centrale ungherese, così come il loro terminale marittimo di Trieste.
Un primo passo, simbolico e concreto, di questo ritrovarsi nella nuova Europa è consistito nell’ iniziativa ungherese di un Congresso delle Camere di Commercio fondate durante la Monarchia austroungarica, che vi hanno partecipato con entusiamo attivo d’idee, richieste e progetti.
E contemporaneamente Budapest sta sviluppando nuovi accordi di cooperazione economica e libero scambio tra i Paesi dell’area frammentata invece dal conflitto dissolutivo della Jugoslavia.
Ci si trova dunque di fronte ad un Paese indubbiamente baricentrico per la Mitteleuropa, che sta però oscillando fra tensioni ed aspirazioni diverse, nella necessità di ricostruirsi nella regione un ruolo forte riconosciuto e con un profilo economico e politico attivo. Le incognite della sua discussa condizione attuale rimangono però preoccupanti.
© 23 Marzo 2012