TRIESTE: COSA NASCONDONO I POLITICI CHE ASSALTANO IL PORTO ? AGGIORNIAMO LE DOMANDE ANTICORRUZIONE E ANTIMAFIA
di PAOLO G. PAROVEL
La nostra città, costituita dalle Nazioni Unite in Free Territory of Trieste con il Trattato di pace di Parigi del 1947, ha Porto Franco internazionale con regime speciale stabilito dall’Allegato VIII del Trattato, che le autorità italiane amministratrici del Free Territory dal 1954 hanno l’obbligo internazionale di mantenere, anche a prescindere da questioni di sovranità.
Ma le autorità italiane violano pure quest’obbligo, danneggiando gravemente sia Trieste che la Comunità internazionale, a cominciare dai Paesi che in forza del Trattato di pace hanno diritto di bandiera nel porto di Trieste (Svizzera, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Ungheria) e di controllare la gestione del Porto Franco internazionale (Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Russia ed altri Stati successori dell’URSS, Slovenia, Croazia ed altri Stati successori della Jugoslavia, Italia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Svizzera, Austria Ungheria).
Della violazione approfitta inoltre una consociazione trasversale anomala di politici locali, ora capitanata dal PD di Cosolini e Serracchiani ma estesa a personaggi particolari del centrodestra, che tenta di imporre la sdemanializzazione e l’urbanizzazione speculativa privata dell’area internazionale vincolata del Porto Franco Nord, dopo averlo tenuto apposta in abbandono per anni.
E lo fa con metodi sempre più aggressivi, ingannevoli ed omertosi, che in prossimità della scadenza a gennaio del mandato attuale della Presidente dell’APT Marina Monassi sono diventati sul Piccolo (gruppo Espresso) quasi quotidiani, a piene pagine e con una ferocia così straordinaria che dovrebbe già di per sé risvegliare l’attenzione delle autorità anticorruzione ed antimafia, ma anche del ministro italiano cui il Porto Franco è affidato, Maurizio Lupi.
Il motivo è semplice: la speculazione è illecita perché violerebbe radicalmente il vincolo internazionale di porto franco e le stesse leggi italiane. Ma per violarli è necessario poter condizionare la magistratura locale, violare le prerogative dell’Autorità Portuale, occuparne la presidenza e bloccare chi si opponga nella società civile: cittadini, organizzazioni, giornalisti come noi.
L’operazione edilizia ed immobiliare illegale vale circa 1,5 miliardi di euro, e questo nel sistema italiano esige già di per sé attentissime verifiche anticorruzione ed antimafia ordinarie. Ma pone anche interrogativi anticorruzione ed antimafia specifici.
La Voce, oltre a denunciarli alle sedi inquirenti, li pubblica da tempo chiedendone risposta ai politici ed alle istituzioni coinvolti. Che invece tacciono ed accelerano l’operazione con arroganze ed impunità maggiori che nei territori delle mafie classiche.
A Trieste infatti si perpetua da decenni una mafia ormai storica locale, formata da congreghe trasversali e solidali di politica e malaffari, protette e coperte da settori speciali dello Stato italiano in cambio di fedeltà nazionalista assoluta, anche se ormai fuori tempo. Non è un caso, insomma, se tutte le inchieste anticorruzione ed antimafia italiane non toccano mai efficacemente Trieste.
Quegli intoccabili locali si permettono così violazioni di legge altrove impossibili: dall’acquisto e rivendita personali di un terreno comunale da parte del sindaco (Dipiazza) con la copertura trasversale di funzionari, partiti, magistratura e sindaco successore (Cosolini), sino alla violazione organizzata degli obblighi internazionali del Governo italiano sul Porto Franco di Trieste.
L’urbanizzazione speculativa del Porto Franco Nord è stata tentata già nel 2003 con la presidenza dell’Autorità Portuale di Maurizo Maresca e la partecipazione di uomini dei clan di Angelo Balducci e di Luigi Bisignani, ma venne bloccata da ricorsi al TAR degli operatori portuali.
È stata perciò ritentata dai politici nel 2010 con presidente dell’APT Claudio Boniciolli (PD), sindaco Roberto Dipiazza (PdL) e con i discussi costruttori Maltauro e Rizzani de Eccher.
Ma si è interrotta con la nuova ed attuale presidente Marina Monassi, che ha invece difeso e rilanciato il porto franco.
È appunto per questo che i politici pro-speculazione illegale ed il quotidiano, tutti ora di osservanza PD, aggrediscono Monassi con ferocia disinformativa abnorme per ottenerne la sostituzione con persona loro, e per sabotare anche l’esito la sua gara di concessione delle aree del Porto Franco Nord ad attività portuali e produttive.
Una gara di concessione che è riuscita solo in parte proprio per quei sabotaggi: si veda la denuncia penale documentata che abbiamo pubblicato dopo averla presentata contro il sindaco Cosolini, la presidente regionale Serracchiani ed altri personaggi locali che hanno contribuito a quella che era ed è una vera e propria campagna di dissuasione sisematica per allontanare dal Porto Franco Nord gli imprenditori italiani e di altri Paesi, inclusa la Philip Morris.
Ma il loro sabotaggio, dal quale sono emersi anche nuovi interrogativi antimafia, è riuscito solo in parte, perché Monassi ha ottenuto egualmente richieste di concessione per metà delle aree, si sviluppano trattative con imprenditori per le altre e questo bloccherebbe per sempre la speculazione urbana illegale.
Immediatamente dopo la conclusione della gara è scattata anche un’operazione assai strana: qualcuno ha inserito sul sito dell’Autorità Portuale il lancio stampa di un articoletto di commento della Voce tra i comunicati dell’ente invece che nella rassegna stampa, e sul Piccolo si è immediatamente scatenato l’apposito coro indignato dei gerarchi PD locali: Serracchiani. Cosolini, Russo, Rosato, Čok, Belci.
Prima si sono dichiarati offesi minacciando querele, e poi hanno chiesto le dimissioni o il commissariamento di Monassi sostenendo falsamente che l’Autorità Portuale abbia fatto proprio uno scritto del Movimento Trieste Libera, mentre era della Voce di Trieste. E tralasciando furbescamente il fatto principale: se cioè le affermazioni sul loro conto nell’articolo della Voce fossero vere o false. E siccome erano vere, Cosolini mi ha anche sparato un’ennesima sua querela assurda, sperando forse di spaventarmi e farmi tacere.
Lo scopo di questi intrighi e delle loro aggressioni in crescendo è evidente a qualsiasi osservatore non suggestionato: solo eliminando Monassi potrebbero gestire essi le domande di concessione accolte, ora in definizione, respingendole e rilanciando la speculazione edilizia ed immobiliare illecita; e pensano che solo facendo tacere la Voce potrebbero evitare altre denunce che potrebbero smuovere finalmente l’apparato anticorruzione ed antimafia centrale.
Che è invece già in moto da tempo (e forse gli assaltatori del porto lo sanno come e meglio di noi, data la fretta frenetica che hanno di impadronirsi della presidenza del porto a costo di scoprirsi con arroganza così imprudente) proprio perché i loro eccessi di aggressività propagandistica hanno aggravato gli interrogativi anticorruzione ed antimafia, anche per ovvia comparazione con la realtà economica concreta di Trieste.
Perché l’intensificazione della campagna di pressione, che attraverso il controllo politico PD di Comune, Provincia, Regione e quotidiano locale monopolista simula una volontà corale delle istituzioni e dell’opinione pubblica triestine per l’operazione speculativa, continua a giustificarla con la promessa di nuove attività secondarie e terziarie: alberghiere, di ristorazione, fieristiche, ricreative, museali abitative e simili.
I promotori dell’operazione promettono cioè nuove attività in settori dove quelle già esistenti a Trieste sono in crisi profonda, e non riescono più ad occupare né i propri stessi spazi, né gli altri grandi spazi liberi che la crisi economica in cui sprofonda rapidamente la città lasciati sempre più vuoti.
Lo sviluppo di attività secondarie e terziarie nuove si può innestare perciò soltanto al servizio dello sviluppo di attività primarie che generino ricchezza, ma queste sono soltanto le attività portuali ed industriali di Porto Franco per le quali il Porto Franco Nord esiste ed è attrezzato, le sole che possono giustificare anche gli investimenti necessari per il riassetto delle aree, delle infrastrutture e degli edifici lasciati da decenni in abbandono per giustificare invece l’urbanizzazione speculativa. E le attività portuali ed industriali che sono convenienti in regime di Porto Franco non potranno certo venire sviluppate in quell’area dopo averlo abolito.
Questi paradossi logici, economici e pratici dell’operazione rendono dunque evidente che dietro le propagande il suo obiettivo reale primario è soltanto la privatizzazione dell’area demaniale produttiva del Porto Franco per rivenderla, intera o frammentata, a privati che possano immobilizzarvi a tempo indeterminato i capitali rilevantissimi necessari, e che possano investirne poi altri, ed ancor maggiori, in attività in perdita.
Ma siccome gli investitori di capitali leciti non investono in perdita, un’operazione del genere risulterebbe perfetta soltanto per investirvi ora e nel tempo una massa enorme di capitali di riciclaggio. Che altrove troverebbero ostacoli politici ed istituzionali, mentre a Trieste oltre agli spazi appetibili trovano una classe dirigente locale disposta, da decenni, a ridurre e mantenere una città portuale di rango internazionale in condizioni di marginalità, decadenza e degrado tali da non potersi nemmeno difendere.
Al punto che fra i propagandisti attivi dell’urbanizzazione speculativa non solo illegale, ma anche economicamente suicida ed a rischio palese di mafia troviamo, oltre ai vertici politici PD della città, della Provincia e della regione persino il presidente locale di Assindustria, il capo della CGIL ed il presidente di Italia Nostra, che dovrebbero difendere rispettivamente l’industria, il lavoro ed i pregi della città e del suo porto.
Sembra inoltre evidente che se già il tentativo di un’operazione illegale del genere riesce ad ottenere nella classe dirigente attuale di Trieste appoggi trasversali così forti, estesi e disposti a violare il diritto internazionale ed interno per imporla ad ogni costo, qualora l’operazione riuscisse i proprietari dei capitali di riciclaggio che vi venissero investiti potrebbero anche divenire facilmente i padroni di fatto della città e del porto, molto più di quanto lo siano forse già adesso.
Poiché non è questo il destino che vogliamo per la nostra città e la nostra gente, ed abbiamo il diritto ed il dovere di combattere per difenderle contro chiunque abbia o favorisca progetti del genere, aggiorniamo e ripubblichiamo qui sulla Voce i nostri dieci interrogativi anticorruzione ed antimafia sull’urbanizzazione del Porto Franco Nord, che Il Piccolo e gli altri media “di sistema” continuano invece, significativamente, a coprire da anni.
Eccoli:
1) A Trieste esiste notoriamente un “partito trasversale del cemento e degli appalti”, che conta anche sull’urbanizzazione del Porto Franco Nord: perché nessun politico ne parla, e le denunce ed indagini in merito finiscono, dal 1987, sempre archiviate o prescritte?
2) Perché nessuno rileva che buona parte degli incarichi progettuali per l’urbanizzazione del Porto Franco Nord risultano essere stati affidati, in particolare dai concessionari Maltauro e Rizzani de Eccher, alla compagna dell’allora sindaco Roberto Dipiazza, sostenitore dell’operazione?
3) Perché nell’ottobre 2008 il sindaco Dipiazza ha turbato a favore di Maltauro e Rizzani de Eccher (Portocittà) la gara di concessione del Porto Franco Nord minacciando pubblicamente ritorsioni se avesse vinto la gara il progetto degli spedizionieri per il riuso portuale legittimo dell’area, e non è stato perseguito?
4) Perché nel novembre 2010 l’allora presidente dell’Autorità Portuale, Claudio Boniciolli (PD), ha firmato la concessione a Maltauro e Rizzani de Eccher senza che l’allora prefetto Giacchetti fornisse le informazioni antimafia, che sono obbligatorie e risultavano in parte reperibili anche in rete?
5) Perché i politici e la stampa locali evitano ora di mettere in relazione le vicende di quella concessione con i fatti eclatanti dell’arresto di Enrico Maltauro quale reo confesso per le tangenti Expo di Milano, e dell’interdizione a Rizzani de Eccher dell’appalto delle terza corsia dell’ A4, decretata il 4 luglio dal Prefetto di Udine su richiesta della DIA – direzione investigativa antimafia, annullata dallo stesso TAR di Trieste che sentenzia contro il Porto Franco, e riproposta dal Prefetto?
6) Perché i politici e la stampa locali hanno nascosto che Vittorio Sgarbi, quando l’hanno chiamato qui a “sfondare” illegalmente la cinta del Porto Franco Nord (con la partecipazione pubblica entusiastica del Prefetto Giacchetti e della altre autorità) era indagato per mafia come sindaco del Comune di Salemi fatto eleggere dal boss Pino Giammarinaro (già latitante non lontano da Trieste) e che il pretesto della “Biennale diffusa” era ingannevole perché non aveva nulla a che fare con la Biennale di Venezia?
7) Perché il deputato Ettore Rosato non fornisce i chiarimenti ufficiali che gli abbiamo richiesto da mesi sulle notizie in rete che lo affermano collegato, secondo indagini ed intercettazioni della e rapporti della Guardia di Finanza, ad un grande gruppo edilizio e finanziario indagato e processato per legami di ‘ndrangheta?
8) A metà aprile La Voce di Trieste ed il Movimento Trieste Libera hanno denunciato rischi immediati di ‘ndrangheta in appoggio alla speculazione sul Porto Franco Nord; perché da quel momento sono stati sottoposti ad attacchi politico-mediatici violentissimi, esterni ed persino interni, per delegittimare le loro indagini e dichiarazioni su intrecci fra politici e mafie anche sugli appalti a Trieste?
9) Perché i politici e la stampa di sistema, con il testa Il Piccolo diretto da Paolo Possamai, che danno l’assalto al porto tentando con diffamazioni e pretesti incredibili di sostituire la Presidente dell’Autorità Portuale con qualcuno che, come dichiarano loro stessi, urbanizzi il Porto Franco Nord, nascondono ai triestini ed allo stesso Governo italiano questi fatti ed interrogativi antimafia, che sono ben più gravi delle accuse (pure false) che fanno loro a Monassi?
10) Perché tutte le denunce formali documentate che abbiamo presentato dal 2010 alle Procure di Trieste, di Roma e di Bologna, e pure pubblicato, risultano rimaste senza seguito, mentre le autorità giudiziarie di Trieste hanno addirittura organizzato un convegno del Ministero della Giustizia, invece che in Tribunale, nel Porto Franco Nord allora illecitamente aperto sotto le gestione Maltauro – Rizzani De Eccher?
Questi fatti ed interrogativi sono, come ognuno può constatare, già motivazioni concretissime per chiedere le dimissioni e la sostituzione immediate non della Presidente dell’Autorità Portuale, ma dei Cosolini, Serracchiani, Russo, Rosato, Belci, e di tutti i corresponsabili nelle amministrazioni pubbliche e nelle istituzioni di una Trieste dove troppe facciate di normalità nascondono ormai evidentemente ben altro.
© 5 Dicembre 2014