Corruzione anche a Trieste come nel Sud
Quest’analisi non era ancora stata pubblicata qui in rete, ma soltanto a stampa sul n. 14 della Voce (27.10.2012 pag. 12). Ed il titolo non vuole offendere l’Italia meridionale, ma segnalare che condividiamo lo stato di vittime degli stessi malaffari. Dei quali l’articolo fa denuncia pubblica con notizie di reato precise, includendo anche alcuni dei fatti connessi già segnalati separatamente a sedi antimafia.
Mentre la Procura di Trieste avrebbe dovuto procedere per le notizie di reato di sua competenza, rimettendo alla Procura di Bologna ex art. 11 c.p.p. le indagini sulle parti che coinvolgono sedi giudiziarie triestine. Dopo 10 mesi potevamo dunque ormai chiedere se vi abbia provveduto, ed in caso contrario ritenere che non fosse ancora a conoscenza dell’articolo di denuncia.
Ma ci ha appena fornito la prova documentale che ne era venuta in possesso sin da allora, se non d’iniziativa propria sicuramente quale allegato ad una querela temeraria specifica presentata contro di me (come direttore e giornalista) dalla multinazionale Gas Natural in persona di Javier Hernandez Sinde, suo presidente per l’Italia dopo incarichi di vertice in Turchia, Messico e Sudamerica. Querela della quale sinora non sapevamo nulla.
L’allora Procuratore capo Michele dalla Costa risulta averla affidata al Pm Federico Frezza, che aveva chiuso le indagini già il 17 dicembre 2012 disponendo notifica dell’apposito avviso. Rimasto invece nei cassetti per sette mesi. Forse anche perché il 29 dicembre avevo presentato io una denuncia-querela (leggi qui) contro Gas Natural che minacciava cause per danni a tutti gli oppositori del rigassificatore, dal Governo sino agli ambientalisti.
Il Pm Frezza mi ha comunque notificato l’avviso solo il 23 luglio 2013, dopo avere assunto la funzione provvisoria di Procuratore capo, dopo l’archiviazione della mia querela (ora la faremo riaprire per fondatezza confermata dalla querela di Gas Natural) e dopo le nostre recenti denunce in rete e giudiziarie su altri suoi comportamenti, per le quali dovrebbe astenersi dal trattare personalmente procedimenti nei miei confronti.
Lo sblocco del procedimento viene infatti a coincidere nel tempo (assieme ad una querela temeraria del sindaco Cosolini, leggi qui) con le note campagne di attacco intimidatorio contro i tutti i difensori a vario titolo dello status internazionale di Trieste e/o del suo Porto franco, condotte in anomala sinergìa di fatto tra ambienti politici, il quotidiano Il Piccolo, lo stesso pm Frezza, il presidente della Sezìone Penale Gullotta ed organizzazioni giudiziarie e forensi locali.
L’impianto accusatorio del Pm Frezza su querela di Gas Natural ipotizza ora il reato di diffamazione aggravata per le seguenti frasi sul rigassificatore, estrapolate dall’articolo come fossero una citazione letterale completa. Ed invece sono opera di ritaglio e montaggio come evidenziamo noi qui con le parentesi: «[…] è […] legittimo supporre che […] l’investimento e l’attesa […] possa essere in realtà sostenuta da garanzie non palesi di potentati politici od economici locali. E quest’ulteriore ipotesi di corruzioni può essere smentita solo da indagini accurate delle autorità centrali.». Per le frasi originali complete v. qui sotto ad 4.
Il Pm si appiglia così al termine “corruzioni”, ma omette di riferirlo alla definizione esatta (v. qui sotto al punto 2, ultimo capoverso) con cui lo stesso articolo estende il termine oltre quelle di rilievo penale. Sulle quali lo stesso Pm avrebbe dovuto inoltre aprire un procedimento d’indagine a carico di Gas Natural e dei suoi fiancheggiatori, in parallelo a quello per la querela nei miei confronti.
Attendiamo perciò di sapere se e quando l’abbia fatto. Anche perché, come abbiamo annunciato proprio il 23 luglio sulla Voce n. 29, sono in corso nuove manovre coperte fra Roma, Trieste e Bruxelles per imporci quel rigassificatore.
Come perciò vi spiegheremo meglio tra breve, mentre nel processo potremo dimostrare anche la legittimità e coerenza di tutto quanto affermato nell’articolo così “incriminato”, che nel frattempo vi proponiamo qui integralmente, con qualche aggiornamento minimo. Al quale vanno ovviamente aggiunti gli sviluppi più recenti di tutte le corruzioni ed i malaffari che stiamo analizzando e denunciando continuamente.
1. Le corruzioni imperanti e l’invito del Governo
Il 22 ottobre 2012 a Roma gli allora ministri italiani dell’Interno, Rosa Cancellieri, della Giustizia, Paola Severino e della Pubblica Amministrazione, Filippo Patroni Griffi – tre tecnici competenti, non politici – hanno presentato il rapporto nazionale (“libro bianco”) sulla corruzione. In sintesi: nelle graduatorie internazionali di demerito l’Italia risulta al 69° posto, assieme al Ghana ed alla Macedonia, con costi sociali ed economici altissimi; la corruzione non è prerogativa del Sud e delle mafie, ma appesta l’intero Paese sino al Nord, e cresce a fronte di un calo preoccupante e significativo delle denunce da parte delle vittime, in un circolo diabolico che il Governo invitava perciò i cittadini a spezzare.
Per parte nostra abbiamo dunque accolto immediatamente l’invito del Governo sul numero immediatamente successivo della Voce con l’inchiesta che state leggendo. E che a differenza dalle nostre precedenti inchieste e denunce pubbliche, è anche una denuncia e richiesta diretta d’intervento alle Autorità di Governo, precisa e documentata con richiamo di prove tali da reggere, prima ancora delle possibili querele, il vaglio investigativo ministeriale e giudiziario centrale.
Di che cosa? Dell’emersione ormai palese a Trieste di un potente “sistema” parassitico di corruzione locale tra politica e malaffari, dotato di agganci nazionali e coperto sinora da impunità ambientali maggiori di quelle che possono avere altrove le mafie.
Contro le quali infatti nelle città del Meridione della penisola magistrati, forze dell’ordine ed alcuni politici e colleghi giornalisti combattono rischiando vita e carriera, mentre i cittadini scendono coraggiosamente in piazza. A Trieste invece il “sistema” locale ha copertura attiva e passiva quasi totale sia delle istituzioni che dei rappresentanti della società civile e dell’informazione.
Ed è questa copertura che consente al “sistema” di aggredire qui la legalità e la pubblica fede con l’arroganza di un’impunità abituale che genera ed amplifica il degrado. Assumendo la massima evidenza nel tentativo di nascondere dietro scenografie di benessere ingannevoli la città reale, che agonizza da anni per un’emorragia di lavoro inarrestata.
2. L’evidenza del lavoro perduto
Ridotta a soli 200mila abitanti inclusi pensionati, minori, studenti e casalinghe, Trieste ha ormai 12 mila disoccupati ufficiali più quelli non registrati, ed ha perduto 5mila posti di lavoro negli ultimi due anni e mezzo con chiusure d’aziende grandi e piccole a valanga, cui stanno per aggiungersi altri 2 mila disoccupati in arrivo tra Sertubi, Ferriera, attività indotte ed altre imprese. Per un totale dunque di 15-20mila disoccupati, che con le famiglie significano una massa di 45-60mila persone avviate a miseria ed emarginazione.
Ma a fronte di questa massa crescente di sofferenza umana, tragica ed esplosiva, quasi tutti i politici locali le dedicano solo dichiarazioni di circostanza, impegnandosi invece freneticamente per svendere a tutti i costi la risorsa pubblica primaria di nuovo lavoro possibile per la città, il Porto Franco Nord, a speculazioni edilizie private che sono sotto denuncia penale notoria e perfettamente documentata dal gennaio 2012.
È un comportamento politico non solo intollerabile, ma anche così vistosamente anormale che le conseguenti ipotesi logiche di corruzione, oltre che di incapacità, montano spontaneamente e da tempo anche nell’opinione pubblica. E richiedono una seria verifica, nell’interesse pubblico e con il coraggio della verità e della massima chiarezza possibile.
La propone perciò La Voce di Trieste, ed io me ne assumo personalmente ed esclusivamente tutte le responsabilità, morali e legali, di giornalista e di direttore e titolare editoriale della testata. Nella convinzione condivisa che situazione di sofferenza delle parti più deboli della popolazione non consenta più mezze misure.
Riassumeremo dunque analiticamente gli indizi più clamorosi di corruzione, continuando a considerare tale non solo quella dolosa delle compensazioni illecite in denaro od altri benefici, ma anche quella colposa delle complicità dannose per inettitudine, incapacità ed irresponsabilità. Secondo il principio di diritto morale e penale per cui non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (art. 40 c.p.). E tutte le informazioni qui utilizzate sono già da tempo pubblicate o trasmesse e documentate alle Autorità competenti.
3. La truffa sul Porto Franco Nord
Incominciamo proprio con la tentata truffa speculativa sul Porto Franco Nord di Trieste, perché è il caso di corruzione maggiore, e più evidente e scandaloso, dell’intera storia di Trieste: per natura dell’azione ingannevole, aggressività, entità dei beni e dei danni pubblici minacciati, trasversalità ed estensione di coinvolgimenti e coperture politici, istituzionali e mediatici. Il tutto ad ingiusto vantaggio di pochi ed a massacro delle imprese e del lavoro portuali.
Il Porto Franco internazionale di Trieste è bene produttivo pubblico commerciale ed industriale in regime straordinario di esenzione fiscale stabilito e vincolato dal Trattato di Parigi del 1947, affidato in gestione per accordi successivi al Governo italiano con l’obbligo di conservarlo integro ed attivo al libero servizio di tutte le nazioni.
Il Porto Franco Nord ne è un’articolazione funzionale primaria, costituita da una struttura extradoganale autonoma di Punto Franco (detto anche ‘vecchio’), di 70 ettari completa di banchine e moli con fondali da 15 metri, enormi magazzini ed altri edifici anche di pregio architettonico, spazi industriali ed un grande scalo ferroviario che gli consente di operare soltanto su rotaia, senza Tir ed autostrade.
Ma è perciò anche una vasta area costiera di pregio appetita dalla speculazione edilizia ed immobiliare privata, che ha avviato dagli anni ’90 una complessa manovra di appropriazione illecita giunta al dunque, cioè allo scontro terminale fra predatori e difensori della legalità e del lavoro portuale.
La manovra risulta condotta da una ‘cupola’ locale capace di manovrare trasversalmente la politica, i media e le istituzioni triestini, ed attuata per svuotamento e degrado graduali e deliberati dell’area allontanandone e sabotandone le attività produttive, rifiutando l’insediamento di attività nuove e cessando le manutenzioni degli edifici e delle infrastrutture.
La maggiore impresa rimasta nell’area a tutt’oggi è l’Adriaterminal, che movimenta circa un milione di tonnellate l’anno di merci varie. e non può venir cacciata perché titolare di concessione ancora per alcuni anni. Ed è stata perciò sabotata tagliandole i binari di collegamento ferroviario con lo scalo e la stazione adiacenti, in modo da costringerla ad andarsene od a lavorare solo su camion senza accessi autostradali.
Nella seconda metà degli anni ‘90 il Governo italiano aveva predisposto il finanziamento di una piattaforma logistica richiesta dagli operatori nel Porto Franco Nord con collegamento autostradale aggiuntivo a quello ferroviario, e su iniziativa dell’allora direttrice del porto Marina Monassi stava per emanare regolamento di piena attuazione del Porto Franco previsto dalla legge sui porti del 1994. Ma la ‘cupola’ ha bloccato tutto, licenziato Monassi e dirottato il progetto di piattaforma sul Porto Franco Sud cosiddetto ‘nuovo’ lasciandola però irrealizzata a tutt’oggi, cioè da quasi vent’anni.
Contemporaneamente ha avviato col quotidiano monopolista locale Il Piccolo un’insinuante e poi violenta campagna di falso propagandistico che spaccia tuttora il Porto Franco Nord per un “porto vecchio” od “antico scalo” abbandonato e degradato spontaneamente perché superato ed inutilizzabile. E quindi da “recuperare” o “restituire” alla città (cui invece non è mai appartenuto) urbanizzandolo per consentirvi le grosse operazioni edilizie ed immobiliari private, infine riassunte nel progetto “Portocittà”.
Il problema di quest’operazione speculativa era e rimane il fatto che le manovre politiche di svuotamento delle strutture portuali e le campagne stampa ingannevoli possono imbrogliare e coinvolgere parte dell’opinione pubblica, ma non possono intaccare le garanzie giuridiche internazionali, interne e comunitarie inviolabili di destinazione esclusiva dell’area all’uso e lavoro di porto franco in proprietà pubblica demaniale, concretate materialmente dalla barriera doganale anticontrabbando vigilata che deve recintare qualsiasi zona franca extradoganale.
La ‘cupola’ ha allora organizzato lo sfondamento di fatto della barriera doganale con la complicità bene coordinata dell’amministrazione comunale, che ha solo competenza urbanistica subordinata alle esigenze ed ai vincoli del Porto Franco, di due successivi presidenti dell’Autorità Portuale di Trieste (APT), Maresca e Boniciolli, e di due successivi prefetti e Commissari del Governo presso la Regione, Balsamo e Giacchetti, che in realtà non avevano il potere di modificare od aprire i Punti Franchi.
In sostanza, e con tutta una serie di espedienti formali, il Comune d’intesa con quei due presidenti dell’APT ha deliberato illegittimamente l’urbanizzazione dell’area senza tenere conto del vincolo di portofranco, ed i presidenti hanno organizzato ed assegnato in due tentativi le relative concessioni perciò illegittime. Il tutto sotto bombardamento disinformativo crescente del Piccolo e con bene organizzate solidarietà trasversali politiche, dalla destra alla sinistra e nelle istituzioni locali.
Nel frattempo si sono fatti aprire con pretesti e pressioni alcuni pezzi marginali di portofranco con i provvedimenti commissariali illegittimi del prefetto Balsamo, e quando il secondo tentativo di concessione (con Boniciolli) è andato a buon fine, mobilitando lo spregiudicato Vittorio Sgarbi (contemporaneamente sindaco del Comune di Salemi indagato per mafia) con una finta filiale della Biennale di Venezia, hanno ottenuto dal prefetto Giacchetti addirittura due decreti commissariali illegittimi di apertura della parte centrale dell’area, e con accessi stradali liberi.
Il primo tentativo di concessioni era stato organizzato nel 2004 dal Maresca assegnandole ad una quindicina di soggetti diversi, presentatori di progetti che includevano anche un campo da golf a nove buche. Ma gli operatori portuali avevano fatto saltare il tutto con opportune cause al TAR. Ma il secondo round presidente Boniciolli, è stato organizzato meglio, prevedendo un appalto di concessione unico ad un solo assegnatario, il quale avrebbe poi potuto realizzare l’urbanizzazione speculativa distribuire privatamente lui subconcessioni, consulenze, forniture, lavori edili, mediazioni immobiliari e quant’altro. Per un giro totale previsto di 1,5 miliardi di euro, che di fatto avrebbe reso padrone della città chiunque ne controllasse direttamente od indirettamentre la gestione, ed i suoi amici.
Nel frattempo si era tentato di forzare il Porto Franco prima coinvolgendovi le Generali, impegnate invece da anni nel trasferimento a Mogliano Veneto delle proprie direzioni di Milano, Trieste e Venezia, e poi organizzando con propagande da stadio una candidatura impossibile di quell’area all’Expo 2008, sulla quale politici e consulenti amici lucrarono comunque un bel po’ di viaggi e di soldi pubblici e privati.
Gli operatori portuali vittoriosi sulla truffa al primo round hanno provato a bloccarla anche al secondo, concorrendo all’appalto con un progetto di riutilizzo produttivo integrale dell’area per le attività legittime di Porto Franco, in contrapposizione al concorrente per l’urbanizzazione illegittima che appariva favorito, anche perché già introdotto in cospicui lavori nell’area dal Maresca: le grosse e per altro discusse imprese Maltauro (con precedenti per tangenti a Trieste) e Rizzani De Eccher, attraverso un’apposita società battezzata significativamente Portocittà.
Ed a quel punto, di fronte alla presentazione di un concorrente per attività legittime in opposizione al favorito per quelle illegittime organizzate con la complicità del Comune, l’allora sindaco Dipiazza ha concretato in veste ufficiale col Piccolo quella che di fatto era una turbativa aggravata d’asta, con minaccia pluriaggravata, accusando pubblicamente gli operatori portuali di essere dei sabotatori e dichiarando che se avessero vinto loro lui come sindaco avrebbe modificato la viabilità per impedire ai camion di entrare nel Porto Franco. Cioè avrebbe impedito loro di lavorare.
Una città normale si sarebbe scandalizzata, e la magistratura l’avrebbe incriminato. Qui invece non solo nessuno ha battuto ciglio, ma l’appalto di concessione è stato assegnato a Portocittà, bocciando paradossalmente il progetto degli operatori portuali perché non conforme al progetto di urbanizzazione illegittima.
Se poi andiamo ad esaminare l’atto di concessione, scopriremo che non fa menzione dcl regime di Porto Franco, che come le parti sapevano preclude le attività concesse, e che è stata anche rilasciata senza che il Prefetto fornisse le informazioni antimafia obbligatorie (ed ambedue le imprese risultavano coinvolte in problemi con la mafia in Sicilia che forse era bene conoscere).
All’epoca il centrodestra che governava il Comune col Dipiazza ed il centrosinistra all’opposizione che appoggiavano entusiasticamente queste operazioni illegittime erano sostanzialmente controllati da quattro politici: a destra i parlamentari Menia ed Antonione, poi convolati ad altri lidi, ed a sinistra il segretario Pd Cosolini col parlamentare Pd Rosato, sponsors di Boniciolli.
Ed il seguito è cronaca corrente, che la Voce ha seguito con attenzione analitica puntuale: Cosolini è diventato sindaco, ed è passato anche in testa alla cordata dell’urbanizzazione illecita al posto del Dipiazza, in fraterna collaborazione con gli altri tre e col Piccolo. Tentando anzi tutti assieme di forzare il regime di porto franco con una violenza politica e disinformativa, ed un’arroganza persino verso il Governo, sempre maggiori, ed ancora più strane degli entusiasmi originari.
Perché nel frattempo sono venuti meno tutti i presupposti di successo dell’operazione fraudolenta: l’assenza di opposizioni, che si sono invece rinforzate, e di indagini giornalistiche e denunce penali che sono invece arrivate; l’evidenza conseguente dell’illegittimità della concessione a Portocittà; il venir meno, nella crisi globale e nazionale, anche del mercato per le speculazioni edilizie ed immobiliari previste. La concessione, insomma è ormai una scatola vuota che nessuno sa comunque come riempire.
Mentre la disoccupazione in città aumenta drammaticamente, e la politica di promozione del Porto Franco avviata dall’attuale presidente APT Marina Monassi sta già fruttando interessamenti di investitori che potrebbero creare anche abbastanza rapidamente una quantità notevolissima di posti di lavoro. E l’inspiegata insistenza opposta dei Cosolini, Menia, Rosato, Antonione e loro seguaci ne diventa sabotaggio. Chiudendo il cerchio dell’evidenza di un meccanismo di corruzione della politica e dell’informazione locali, intesa nel senso ampio che abbiamo chiarito all’inizio di quest’articolo. E rendendo perciò indispensabili accertamenti dell’Autorità di Governo.
Anche perché le analisi della possibile composizione della ‘cupola’ locale retrostante a queste operazioni disegna da tempo, e con elementi già rimessi man mano alle sedi di competenza, una delle reti italiane classiche di malaffari, piduismi pseudomassonici ed attività di spezzoni fuori controllo di settori dei servizi. E ne sono emersi pure collegamenti specifici con le reti nazionali di manipolazione dei grandi appalti e dell’amministrazione pubblica riferite da recenti indagini giudiziarie ai noti Angelo Balducci e Luigi Bisignani.
Se poi i singoli protagonisti di questa vicenda, come delle altre qui riassunte, siano consapevoli o meno di ciò che stanno facendo, questo può modificare la loro posizione di responsabilità civile, penale ed erariale, ma non l’entità dei danni che stanno causando alla nostra città.
4. La vicenda parallela del rigassificatore a Zaule
Contemporaneamente all’assalto speculativo edilizio al settore Nord del Portofranco è arrivata un’aggressione al settore Sud, sotto forma della pretesa della multinazionale Gas Natural di piazzarvi un rigassificatore pericoloso ed insostenibile sia per la città che per le attività portuali.
Nulla di strano, tuttavìa, se non fosse che dopo la scoperta che i progetti erano falsati e dopo la manifestazione di contrarietà della stragrande maggioranza di Trieste, provincia, e territori sloveni finitimi, Gas Natural è rimasta qui egualmente a spendere soldi ed energìe in una propaganda che appare insensata.
Ed è quindi legittimo supporre che non lo siano, cioè che l’investimento e l’attesa paziente come quella dell’avvoltoio sull’animale in difficoltà, qual’è economicamente Trieste, possa essere in realtà sostenuta da garanzie non palesi di potentati politici od economici locali. E quest’ulteriore ipotesi di corruzioni può essere smentita solo da indagini accurate delle autorità centrali.
5. Malagiustizia e malasanità
Anche perché quelle giudiziarie locali mostrano non poche anomalìe di comportamento. Possiamo citare il caso agghiacciante (denunciato alla Procura di Bologna) pubblicato senza nomi sul primo numero della Voce, e non ne mancano altri che delineano in sostanza reti di favore a potentati. Per non dire della riluttanza apparente della Procura a procedere nei confronti dell’ex sindaco Dipiazza e complici di tutte le forze politiche, e funzionari, nell’acquisto illecito da sindaco di un terreno comunale che ha poi rivenduto a potenti costruttori con cui era in rapporti: un caso senza precedenti in Italia, denunciato con tutte le prove documentali dal 2009, e nuovamente nel 2010.
Ma il caso più vasto ed impressionante di malagiustizia a Trieste è quello, indagato, documentato e denunciato sinora solo dalla Voce, degli abusi nel settore delle Amministrazioni di sostegno, dove si intreccia con ambienti di malasanità psichiatrica ed altri in danno a soggetti deboli anziani, ma anche giovani. Con una prassi istituzionale perversa in cui si continuano a coprire gli errori ed abusi con altri, imprigionando letteralmente le vittime in meccanismi kafkiani.
Estesi anche al settore dei minori, dove hanno addirittura attuato e giustificato qui a Trieste la sottrazione a genitori normali di una neonata che viene trascinata in istituti ed affidi ormai da sei anni invece di restituirla, nonostante una sentenza favorevole di Cassazione, e con danni vitali spaventosi alla piccola ed ai genitori. Un sequestro di minore in piena regola, ma istituzionale.
E non si può non ricordare che Procura e Tribunale di Trieste hanno avallato anche l’occupazione illegittima del Porto Franco Nord, tenendovi un convegno ufficiale due mesi dopo aver ricevuto denuncia dell’apertura fraudolenta dell’area.
6. La dittatura della disinformazione
Sul tutto grava poi una sorta di dittatura della disinformazione, attiva e passiva, applicata da chi controlla il quotidiano Il Piccolo a vicende come quella del Porto Franco e ad altre prodezze di potentati locali intoccabili. Ma per questo almeno ci siamo noi della Voce, e come vedete sappiamo anche dire le cose con la chiarezza necessaria e doverosa.
Rimettendole a questo punto all’attenzione diretta, come detto in premessa, dei tre ministeri, della Giustizia, dell’Interno e della Pubblica Amministrazione che hanno presentato l’anno scorso il dossier del Governo sulla spaventosa corruzione che appesta ed affossa il Paese. Buon lavoro, anche a Trieste.
© 18 Agosto 2013