Il Comune di Trieste e la politica da scaldapanche con la testa nel sacco
Quando ti candidi e fai eleggere ad una carica pubblica, come prima cosa devi saper distinguere tra le discussioni e scelte politiche, libere come tali da responsabilità di legge, e quelle amministrative che comportano invece tue precise responsabilità civili, penali e di diritto amministrativo.
Ci sono poi due modi fondamentali di fare l’amministratore pubblico in buona fede, dunque profittatori a parte: agire con impegno responsabile verificando accuratamente, in scienza e coscienza, tutti i provvedimenti amministrativi sui quali devi decidere nell’interesse pubblico con i poteri che ti sono assegnati, astenendoti se non ne sai abbastanza; oppure usare quei poteri senza verifiche adeguate, decidendo per sentito dire o per ordine di partito, gruppo o corrente, cioè da scaldapanche politici con la testa nel sacco.
Dai tempi in cui facevo parte del Consiglio Comunale di Trieste (1982-88) come indipendente scomodissimo con una mia lista, il Movimento Trieste, agendo con il primo metodo ho potuto constatare che la gran parte dei colleghi consiglieri, ed allora eravamo in 60 con pieni poteri, praticava invece il secondo, attraverso quello che si arrabbiavano molto a sentirmi definire “voto pecorino”, cioè da gregge passivo. Una buona parte di essi, inoltre, non solo non interveniva mai nelle discussioni, ma nemmeno le ascoltava. Faceva tappezzeria politica, insomma.
Questa prassi politico-amministrativa deteriore non sembra essere cambiata molto se nella sua forma successiva ed attuale ridotta a 40 consiglieri con poteri esigui, l’assemblea comunque eletta per rappresentare al meglio la città e deciderne le sorti ha raggiunto vertici crescenti di inaffidabilità nelle decisioni: dal record nazionale della vendita illegale di un terreno al sindaco (Dipiazza) a tutta una sequenza di record locali che include persino l’esercizio anche recentissimo di competenze urbanistiche illegali sul Porto Franco.
Il 5 agosto 2013 ha approvato così anche l’azzardo assoluto del parcheggio sotterraneo “Audace” sulle rive, con una maggioranza di sinistra-destra da regime, che se n’è pure vantata a gara accusando di irresponsabilità politica i pochi consiglieri responsabilmente contrari: Movimento 5 Stelle e Sel.
Era e rimane già assai strano che il sindaco Roberto Cosolini (quello che per pubblicità si butta ora in mare vestito) e la sua giunta di centrosinistra abbiano ripescato e forzato improvvisamente, d’intesa politica col centrodestra e col solito favore del Piccolo, questo progetto di grossi costruttori privati sinora bloccato per problemi tecnici seri e gravissimi che implicano enormi responsabilità, dichiarandoli “superati” senza che ciò risulti affatto dai documenti.
La Voce aveva lanciato perciò nelle settimane scorse, sia a stampa che in rete, un allarme pubblico dettagliato e qualificato (lo si può leggere qui), e c’era anche chi aveva allertato direttamente alcuni assessori e consiglieri, spiegando loro come e perché i calcoli statici ed i presupposti tecnici dell’opera risultino inadeguati, e siano palesemente irreali le asserite garanzie per i danni conseguentemente prevedibili a palazzi storici e strade delle rive.
I consiglieri del Comune, quali responsabili personali della decisione amministrativa finale, avevano dunque più che mai il dovere di verificare direttamente la documentazione di progetto e la delibera prima di votarli. E bastava un minimo di buona volontà e diligenza per accorgersi che gli atti proposti nascondevano e nascondono una serie di trappole evidenti e pericolosissime, sia tecniche che economiche, per la città, per il lavoro del porto, per la stessa amministrazione comunale e per qualsiasi consigliere li votasse.
Sul piano tecnico, infatti, la scelta dichiarata dei sistemi di consolidamento del sottosuolo con cementi risulta riferita, anche nella presentazione pubblica del progetto, ad esperienze milanesi su ghiaie con falda a 10-15 m di profondità, mentre qui siamo su limi e riporti di macerie arenacee in riva al mare, e perciò anche con una spinta di galleggiamento fortissima sulla struttura a cassa del parcheggio.
I calcoli principali della cassa cementizia così supersollecitata risultavano inoltre redatti su carta intestata di professionista non abilitato, e non firmati assieme a documenti di progetto d’altri professionisti. Che la giunta ha perciò chiamato a firmare di corsa, a pena di invalidità, poco prima del voto in consiglio, con implicazioni che ora esigono anche verifiche ulteriori.
Così come andava e va verificato il fatto che allo stato del progetto l’opera risulta ridurre per un lungo periodo, e non garantire per il futuro, che quel tratto delle rive conservi una portata stradale adeguata al traffico commerciale pesante per gli usi di lavoro del porto, che rischia così di compromettere con danni permanenti e rilevantissimi. Ed in particolare per il Porto Franco Nord, di cui quegli stessi politici pretendono di imporre la dismissione illecita per consegnarlo a grosse speculazioni edilizie ed immobiliari.
Mentre il piano economico ufficiale degli investitori promette stalli a rotazione per sostituire nell’asserito interesse pubblico quelli di superficie, ma appare evidente che alla fine potrebbe reggere solo sulle loro vendite. Rivelandosi così nient’altro che un’ulteriore operazione speculativa privata appoggiata da politici a peso e danno di beni pubblici (su alcune delle precedenti hanno schivato i processi solo con la prescrizione).
Per far approvare quest’opera il sindaco ed i suoi sostenitori di sinistra-destra hanno sostenuto persino che darà lavoro ad imprese triestine in crisi, anche se in realtà non vi risultano vincoli o garanzie possibili che il concessionario privato non si avvalga invece delle solite reti precostituite di forniture e subappalti da tutt’Italia.
Ma già dalla lettura della delibera l’evidenza più immediata è che rimane illusoria la garanzia formale dell’impresa concessionaria privata di ripristinare a proprie spese palazzi storici e vie danneggiati (per quanto detto sopra, quasi sicuramente) dai lavori del parcheggio sotterraneo su suoli così instabili.
I danni potrebbero infatti comportare spese per milioni o decine di milioni di euro, totalmente estranee e sproporzionate al piano economico già dubbio dell’opera. Alle quali l’impresa potrebbe o dovrebbe quindi sottrarsi col fallimento, lasciandole interamente riversate sugli enti pubblici che hanno autorizzato l’opera nonostante le evidenze dei rischi tecnici ed economici.
Cioè principalmente sul Comune, il quale dovrebbe rivalersene sui propri amministratori che hanno approvato definitivamente il progetto azzardato proposto da Sindaco e giunta: i consiglieri comunali che avendo votato a favore dovranno anche rispondere delle conseguenze in solido, con i propri beni e senza possibili esimenti politiche o di imperizia.
Il che non è solo affar loro, ma d’ovvio interesse pubblico, e conferma che un Consiglio comunale con questi livelli di pigrizia ed irresponsabilità amministrative non è solo inutile e dannoso, ma anche pericolosissimo per le decisioni cruciali urgenti con le quali si deve affrontare una crisi economica che è già tragedia di sopravvivenza per metà della popolazione.
Le sole contromisure difensive efficaci sono perciò chiedere ed accelerare con ogni mezzo legittimo le dimissioni prima possibile di quest’amministrazione comunale, e non eleggerne mai più altre simili, rifiutando fermamente il voto a tutte le fazioni politiche corresponsabili del disastro attuale.
Per impedire che Trieste continui ad affondare abbiamo bisogno urgentissimo di amministratori pubblici impegnati e capaci di discutere e decidere seriamente, non di tappezzerie politiche. E nell’intervallo può dare onestamente maggiori garanzie un bravo Commissario prefettizio.
© 10 Agosto 2013