Diffamazioni stampa. Impuniti i direttori delle radiotelevisioni?
L’argomento è attualissimo causa dei nuovi provvedimenti di legge in discussione al Parlamento italiano a seguito del noto caso del direttore de Il Giornale nuovo, Sallusti.
Quando un reato di diffamazione viene commesso col mezzo della stampa, intendendosi oggi tale la pubblicazione su carta, in rete e radiotelevisiva, la legge italiana tutela sia le persone offese che i collaboratori della testata chiamando in causa per le responsabilità penali e civili anche il direttore responsabile. È esattamente lui l’incaricato dall’editore di controllare – appunto – sotto propria responsabilità, quanto si pubblica.
Per le emittenti radiotelevisive le norme sono state aggiornate nel 1990 con legge apposita, e riconfermate dalla Corte di Cassazione, attraverso l’estensione di quelle stesse responsabilità e pene al concessionario pubblico o privato delle frequenze utilizzate per la trasmissione, ed alla persona da lui delegata a controllarla, cioè alle funzioni di direttore responsabile.
È accaduto ora che il noto industriale veneto Thomas Panto sia stato indagato a Trieste in un procedimento per diffamazione aggravata da parte dell’emittente radiotelevisiva Antenna Tre Nord Est, poiché dalle indagini di Polizia Giudiziaria (DIGOS) è risultato essere contemporaneamente il legale rappresentante della società concessionaria delle frequenze e il proprietario, editore nonché direttore responsabile della testata. Come tale gli si imputava perciò di avere omesso i controlli doverosi che avrebbero dovuto impedire il reato.
Con recentissima sentenza n. 300/2012 il Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) di Trieste Laura Barresi ha dichiarato invece il non luogo a procedere nei confronti del Panto «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato».
Ha sostenuto questa tesi affermando che «Al di là della [natura] diffamatoria delle parole espresse dal conduttore nel corso della trasmissione televisiva andata in onda dalla frequenze di Antenna Tre Nord Est, devesi rilevare che il prevenuto rivestiva il ruolo di direttore responsabile. Come rilevato dalla Suprema Corte (Mass. II 23 aprile 2008 n. 34717) la responsabilità per fatto omissivo non può essere attribuita che ai soggetti specificatamente individuati dalla legge (art. 30 comma 1 legge 223 del 1990 ) senza che possa essere concessa un’interpretazione estensiva o analogica. Ne consegue che tra i soggetti destinatari della norma non vi è il direttore della emittente televisiva che non è il concessionario, né risulta sia stato delegato al controllo della trasmissione».
La sentenza è allarmante per cittadini e giornalisti, poiché esonererebbe dalle responsabilità di legge i direttori responsabili delle emittenti radiotelevisive, a differenza di quelli della carta stampata e delle testate in rete, determinando pure disparità anticostituzionali.
Ma appare immediatamente, e sorprendentemente, viziata sia da inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale e di norme connesse, sia da contraddittorietà ed illogicità della motivazione, come risulta dal suo stesso testo oltre che da altri atti del procedimento che vi sono indicati.
Come prima cosa, si osserva infatti che la norma richiamata dal GUP (art. 30, comma 1, Disposizioni penali della legge 223/1990 di Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato) non riguarda la diffamazione, ma le trasmissioni oscene.
La norma sui reati di diffamazione è invece il diverso e non richiamato comma 4, che estende appunto al concessionario ed al delegato al controllo delle trasmissioni le responsabilità della legge ordinaria sulla stampa.
Il GUP sembra dunque avere invertito illogicamente significato e scopo della norma, e della stessa sentenza di Cassazione che richiama in merito, interpretandole come riduttive invece che estensive di quelle responsabilità.
Altrettanto illogicamente sembra non avere tenuto conto del fatto che in ogni caso la persona delegata ai controlli sul pubblicato (a stampa, in rete o radiotelevisione) esiste per obbligo di legge, ed è appunto il direttore responsabile, designato con atto formale che dev’essere depositato presso il Tribunale in apposito registro quale condizione per poter pubblicare.
Il direttore responsabile è perciò sempre identificabile, ed in questo caso incontestatamente identificato nell’imputato Thomas Panto. Che inoltre agiva come direttore su mandato a sé stesso quale concessionario ed editore, assommando su di sé tutte le responsabilità penali e civili conseguenti.
In buona sostanza, e con evidente paradosso plurimo, il GUP avrebbe dunque affermato in sentenza che l’imputato, quale direttore responsabile di un’emittente radiotelevisiva, non è perseguibile come tale, perché non sarebbe lui la persona incaricata dal concessionario (e qui da sé stesso), di controllare le trasmissioni.
Il direttore di un’emittente radiotelevisiva potrebbe dunque continuare ad esercitare sulla testata i ruoli e poteri di legge del direttore responsabile rimanendo esonerato dalle responsabilità civili e penali di legge che ne conseguono.
Tentando di scaricarle quindi di fatto e per intero – come rischia ora di accadere nel caso specifico – sui soli giornalisti (dirigenti subordinati, redattori, conduttori) e ospiti delle singole trasmissioni. A rischio di danni perciò gravissimi sia per costoro che per le parti lese.
Il procedimento penale in questione coinvolge oltre all’industriale Panto anche un politico triestino noto, e sta mostrando altre anomalie di conduzione a vario livello, sulle quali ritorneremo.
Ma ci è sembrato urgentissimo segnalare qui per prima cosa all’opinione pubblica, ai colleghi dell’Ordine e del Sindacato dei Giornalisti (FNSI) ed al Tribunale stesso la struttura e le implicazioni di questa sentenza pericolosamente anomala, che come tale richiede solleciti interventi correttivi. [Jud.]
© 28 Novembre 2012