Al Teatro dei Fabbri “Il nostro martello è in mano a mia figlia”
Appuntamento “thriller” al Teatro dei Fabbri di Trieste, nell’ambito della rassegna di teatro contemporaneo AiFabbri2 della Contrada, il 26 e 27 gennaio, alle 20.30, con la nuova produzione Contrada dopo il suo debutto l’estate scorsa al rinomato Campania Teatro Festival 2023: Il nostro martello è in mano a mia figlia del drammaturgo contemporaneo Brian Watkins, testo tradotto da Enrico Luttmann e messo in scena da Federica Carruba Toscano e Arianna Cremona, per la regia di Martina Glenda. Al centro di questo psicodramma familiare che si tinge di thriller si dipana una vicenda che mescola il rito alla violenza, in un viaggio espiatorio. Sarah e Hannah sono due giovani sorelle che si trovano a prendersi cura della bisognosa madre malata dopo che il padre le ha lasciate. La madre, per sopravvivere, si appiglia ai ricordi di tempi migliori che si materializzano nel camioncino del marito e in Vicky, una pecora che l’uomo le aveva regalato e che ora lei tratta non come capo di bestiame ma come animale domestico. Sarah ed Hannah sono molto diverse. L’una assennata e premurosa, l’altra irrequieta ed indipendente. Vivono però la stessa oppressione rispetto alla situazione che le circonda. Entrambe sognano di lasciare la piccola cittadina tra le praterie che le tiene prigioniere. Il dramma familiare presto sfocia nell’orrore, evolvendosi in un susseguirsi di azioni violente dalle quali è impossibile tornare indietro. Durante la cena di compleanno della madre, una goccia fa traboccare il vaso della sopportazione nei confronti della donna e l’indifesa pecora Vicky diventa vittima di una serie di brutalità. Il testo concede l’opportunità di affrontare temi intramontabili quali la difficoltà dei rapporti familiari e l’incidenza di questi sul destino di un individuo. Tutto quello che si fa appare condizionato e quando lo si fa sembra che qualcuno l’abbia già fatto prima, che ce l’abbia insegnato senza insegnarcelo. Si sviluppa un’analisi sulla ciclicità dei ruoli familiari che vengono tramandati involontariamente di generazione in generazione quasi come patrimonio genetico. Da questi non si esimono le colpe dei padri che condannano inevitabilmente i figli. Nel tentativo di spezzare questa catena, nel testo, si ricorre a un atto estremo e irreparabile. La violenza con cui si decide di affrontare la situazione è un tema più desueto e inquietante. Così inquietante perché più vicino alla nostra natura di quanto effettivamente si voglia ammettere. Per quanto la civilizzazione cerchi di progredire, la brutalità non abbandona l’uomo e si riattiva con impeto e facilità sorprendente. Ancora più interessante è questa violenza di mano femminile. Culturalmente si è meno inclini ad attendersi violenza da una donna, perchè culturalmente si ritiene che una donna sia meno incline ad esprimersi con violenza. Questo non vuol dire che le manchi un tratto naturalmente aggressivo. La rappresentazione teatrale non lascia nulla al caso, le scene di Sara Palmieri, le musiche, i dialoghi, l’illuminazione: tutto riconduce lo spettatore ad una sorta di dimensione purgatoriale in cui si vive il “momento di non ritorno” dal quale non c’è scampo, attraverso scene che si ripetono, la luce che da l’impressione di vivere un momento senza fine, mentre la musica richiama la natura, la terra e brani evocativi che rende palpabile la connessione dei personaggi con la terra, quella degli antenati, quella da cui fuggire e con cui riconciliarsi.
© 19 Gennaio 2024