La Voce di Trieste

FALLIMENTO DELLE COOP TRIESTE: PD E COMPLICI METTONO A RISCHIO 110.000 SOCI E NE DERUBANO 17.000

 
FALLIMENTO DELLE COOP TRIESTE: PD E COMPLICI METTONO A RISCHIO 110.000 SOCI E NE DERUBANO 17.000
 
Chiediamo le dimissioni del sindaco Cosolini e della presidente della Regione Serracchiani
 
La pubblicazione, il 18 ottobre, della notizia che la Procura di Trieste ha chiesto il fallimento delle Cooperative Operaie di Trieste Istria e Friuli, chiudendone la cassa e disponendone l’amministrazione giudiziaria, ha gettato nel panico gli oltre 600 dipendenti (più di quelli della Ferriera) e i 17.000 lavoratori, pensionati e famiglie che avevano affidato alle COOP i loro risparmi per un totale di 103 milioni di euro, pensando di averli messi al sicuro meglio che in banca od altrove. E adesso si trovano invece con un pugno di mosche in un periodo di crisi economica devastante per la città.
 
Ed ora noi vi diremo una volta di più anche quello che il Piccolo e gli altri media di sistema non vogliono o non possono scrivere. Perché devono coprire la parte più vergognosa dello scandalo: quella dei politici, partiti e sindacati, ad iniziare da PD e CGIL, che ora fanno i sorpresi strillando indignazione virtuosa come non ne sapessero nulla sino a ieri.
 
Mentre sono in realtà i primi responsabili del crack, perché le COOP le gestivano loro con moltiplicazioni e spartizioni di poltrone che costituivano parte integrante del malaffare e delle corruzioni del “sistema” politico italiano locale.
 
Sapevano quindi tutto benissimo da anni, ma non sono intervenuti nemmeno dopo che noi della Voce abbiamo denunciato tutto nel 2012. Quei politici, e dirigenti di sindacato, devono essere perciò messi per primi sotto inchiesta e sospesi immediatamente da tutte le loro poltrone.
 
I RISCHI PER DIPENDENTI, RISPARMIATORI E SOCI
 
Diciamo subito che è possibile ed anzi probabile che alla fine dello scandalo quasi tutti i posti di lavoro e i punti vendita vengano in qualche modo salvati con l’intervento di imprese affini o concorrenti.
 
Per i risparmi ci sono invece poche speranze, perché il debito è enorme, e le risorse patrimoniali per sanarlo sono esigue, anche perché quelle immobiliari sarebbero state già sottratte con cessioni fittizie.
 
Ma il rischio investe anche tutti i 110.000 soci, di cui 80.000 triestini (più di 1/3 della popolazione della città), che potrebbero essere chiamati a rispondere del debito con i propri beni, perché si tratta di una società di persone che sotto forma di cooperativa di consumo qual’era in origine, e con una rete societaria derivata, ha esercitato, e pure male, sotto copertura politica e nella forma agevolata di prestito sociale cooperativo quella che era in realtà un attività finanziaria non autorizzata (ed estranea al principio della cooperazione) di raccolta del risparmio, collocandolo presso banche per utilizzarlo in attività tipiche di banca d’affari ed operazioni immobiliari.
 
UNA GREPPIA DEL PD E DI ALTRI POLITICI
 
Ma la colpa non è soltanto di una dirigenza societaria incapace ed irresponsabile, come ora si vorrebbe far credere. La verità è che le COOP locali sono, da decenni, l’ultimo grande feudo e “magnadora” (greppia) di rendite e clientele per il sistema dei partiti italiani a Trieste, in particolare per il PD, e per il loro sistema di corruzione e malaffare protetto e sostanzialmente impunito che abbiamo avuto sinora il coraggio e la libertà di denunciare solo noi della Voce, l’unico giornale d’inchiesta triestino.
 
Anche questo scandalo delle COOP esploso ufficialmente adesso noi l’avevamo denunciato nei suoi termini esatti e con la previsione del crack già due anni fa, nel settembre 2012, a stampa in prima pagina e locandina, oltre che in rete, con un’inchiesta pesante fondata sui dati forniti dal Comitato benemerito, coraggioso ed inascoltato presieduto da Adeo Cernuta.
 
Avevamo infatti denunciato chiaramente, con tutti i dati e formulando pubbliche notizie di reato, come quel sistema di corruzione, sul quale tacciono anche i sindacati politici che vi partecipano, stava spolpando le COOP e i risparmi investiti dalla gente, mentre la Regione (amministrazione Tondo, ora Serracchiani) certificava la regolarità dell’amministrazione bancarottiera, ed il sindaco Cosolini non interveniva.
 
Ed avevamo anche preannunciato il crack chiedendo il commissariamento urgente dell’intero gruppo societario delle Cooperative Operaie di Trieste Istria e Friuli, oltre che accertamenti sulle complicità della Regione e dei partiti.
 
Avevamo inoltre denunciato lo scandalo morale che quella stessa gestione politica bancarottiera delle COOP che ingrassava se stessa e i partiti avesse da poco denunciato alla Procura e fatto rinviare a giudizio per furto, costituendosi parte civile con richiesta di risarcimento “morale” di 500 euro più spese legali un’anziana in miseria che aveva tentato di sottrarre due arance e due bistecche per un valore di 19.88 euro.
 
E l’ora indagato presidente Marchetti aveva giustificato la denuncia penale contro la poveretta dichiarando che perseguirla era necessario per difendere i bilanci, l’immagine, i soci ed i clienti dell’azienda!
 
ANNI DI INERZIE E COMPLICITÀ
 
Ma nonostante la pubblica denuncia dettagliata della Voce nessun politico o pubblico amministratore era intervenuto allora né dopo, anzi, la Regione continuava ad avallare i bilanci dell’impresa in pieno dissesto ed il sindaco e già segretario del PD Roberto Cosolini era andato addirittura ad omaggiare ed accreditare pubblicamente quella dirigenza COOP di nomina politica, prevalentemente del PD, che stava portando l’azienda al fallimento ingannando 110mila soci e 17mila risparmiatori.
 
Insomma, nonostante le proporzioni e la natura del dissesto e del rischio per tanta parte dei cittadini, tutta la dirigenza politico-amministrativa locale che sarebbe dovuta intervenire, in quel momento e nei due anni successivi ha invece appoggiato e coperto passivamente o attivamente quella dirigenza fallimentare delle COOP nominata dai loro stessi partiti. E sono rimasti inerti anche i sindacati politici “di sistema”, CGIL in testa, mentre la Procura temporeggiava.
 
Ora la Procura si è finalmente mossa, con l’energico nuovo Procuratore capo Carlo Mastelloni, nel tentativo di salvare il salvabile togliendo l’azienda dalle mani delle cosche di partito.
 
Ma nei due anni di licenza prima concessi la gestione partitica fallimentare delle COOP ha potuto continuare ed aumentare il debito già enorme ed a ridurre le garanzie patrimoniali di copertura, scaricando quasi tutto il crack sulle spalle dei 17 mila risparmiatori e 110 mila soci.
 
Sapendo anche bene che nel sistema italiano e locale i responsabili amministrativi delle COOP di Trieste potrebbero cavarsela nei processi con danni personali minimi, ed i loro patroni e beneficiari politici potrebbero rimanersene ufficialmente estranei e puliti come su troppe altre faccende.
 
Noi della Voce vorremmo però sapere anche se e quanto possa aver influito su questo ritardo d’intervento della magistratura inquirente negli anni passati il fatto che il direttore generale delle COOP Pier Paolo della Valle, ora rimosso, risulterebbe essere stato anche perito di fiducia della Procura in vicende discusse, discutibili e secondo noi da reindagare, come l’immotivato fallimento Tripcovich.
 
PERCHÈ CHIEDIAMO LE DIMISSIONI DEI POLITICI
 
Ora chiediamo che a fronte di uno scandalo simile almeno i vertici corresponsabili della Regione, della Provincia e del Comune (Serracchiani, Bassa Poropat, Cosolini) abbiano la decenza di dimettersi e ritrarsi dalla politica e dalla pubblica amministrazione. Come dovrebbero dimettersi i dirigenti sindacali che sapevano ma non hanno agito per evitare il dissesto delle COOP.
 
E questo anche a prescindere dal fatto che quei politici del PD e quei sindacalisti siano gli stessi che appoggiano la speculazione edilizia ed immobiliare illegale nel Porto Franco Nord, non rispondono ai gravi interrogativi antimafia ed anticorruzione connessi, hanno appoggiato attivamente e passivamente il rigassificatore preteso da Gas Natural Italia, sequestrata e commissariata poco tempo fa dall’Antimafia di Palermo, tentano da oltre un anno di impadronirsi anche della gestione del porto attaccandone la presidente con campagne di linciaggio politico e stampa fondate su notizie false e diffamazioni, solo perché fa il suo dovere di difendere il Porto Franco e bloccare il rigassificatore.
 
Mentre tentano di far tacere noi della Voce sparandoci querele infondate del sindaco Cosolini, con l’avvocato Borgna, perché osiamo scrivere queste ed altre verità.
 
Spieghino adesso i politici Serracchiani, Cosolini, Bassa Poropat, Russo, Rosato, Tondo, Dipiazza, ed il sindacalista Belci, i loro partiti e la CGIL ai 110.000 soci ed ai 17.000 risparmiatori frodati perché hanno concorso attivamente e passivamente ad una gestione fallimentare delle COOP di cui tutti erano al corrente da anni per le denunce del Comitato di soci guidato da Cernuta e della Voce. Forse sarà ancora più difficile che rispondere agli interrogativi antimafia.
 
Per comprendere ancor meglio la vicenda ripubblichiamo qui sotto la nostra inchiesta di due anni fa. In fondo all’inchiesta troverete anche il resto dei materiali che la Voce aveva pubblicato in argomento.
 
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CHE COS’È LO SCANDALO DELLE COOPERATIVE OPERAIE DI TRIESTE
 
Quello che si può ormai definire [settembre 2012, n.d.r.] lo scandalo delle Cooperative Operaie di Trieste Istria e Friuli, nate nella Trieste austriaca del 1903 per scopi solidali, come cooperative di consumo a tutela delle classi sociali meno abbienti, è generato dalla convergenza di tre aspetti concomitanti della gestione.
 
Il primo è che gli scopi sociali originari appaiono traditi da decenni, trasformandole in terminali ordinari della grande distribuzione speculativa, anche per prodotti di lusso, ed in feudo di lottizzazione politica trasversale (dalla destra alla sinistra) garantito con sistemi elettorali interni antidemocratici, e spartito frammentandone attività e proprietà in una proliferazione di società e relative cariche amministrative retribuite. Finendo così governato da una dirigenza che è di fatto inamovibile a prescindere dai risultati.
 
Il secondo aspetto, di vistosa amoralità sociale conseguente, è esploso pubblicamente quest’ aprile 2012, quando le Coop triestine hanno denunciato e fatto rinviare a giudizio per furto, costituendosi parte civile con richiesta di risarcimento “morale” di 500 euro più spese legali certamente non inferiori, un’anziana in miseria che ha tentato di sottrarre ad uno dei supermercati della catena due arance e due bistecche per un valore di 19.88 euro. Che, scoperta, aveva poi anche pagato.
 
Di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica per la spietatezza di questa reazione, e proprio da parte delle Cooperative “operaie”, il loro presidente Livio Marchetti ha affermato cinicamente che hanno deciso di agire così indiscriminatamente per ogni tentativo furto, anche se di valore minimo e per fame. E questo per difendere, secondo lui, i bilanci, l’immagine, i soci ed i clienti dell’azienda.
 
Senza dunque alcuno scrupolo di devastare inutilmente vite di poveri, per lo più di anziani, già al limite dell’umiliazione e del suicidio. Ed invece di affrontare doverosamente i furti per fame con umanità e comprensione, facendo intervenire non le forze di polizia ma l’assistenza sociale, e prevenendoli non con i tribunali, ma riciclando gratuitamente ai bisognosi i viveri di imminente scadenza. Secondo la prassi ideata ed internazionalizzata proprio dal celebre economista triestino Andrea Segrè.
 
Il terzo aspetto dello scandalo consiste nel fatto che un numero crescente di soci sempre più preoccupati da questa situazione è andata a verificare anche i bilanci scoprendovi perdite ingenti, ed di fronte a reazioni abnormi della dirigenza si è dovuto costituire formalmente ad agosto quale Comitato “Difendiamo le Cooperative Operaie di Trieste Istria e Friuli”, eleggendo anche propri rappresentanti legali.
 
Chiedono infatti invano, pubblicamente e da tempo, accertamenti strutturali e contabili accurati sulla gestione attuale delle COOP, che oppone loro invece silenzi e diversioni tattiche inaccettabili ed ancor più allarmanti. Anche nelle assemblee, e sino a rifiutarsi arrogantemente di fornire copia dell’elenco obbligatorio dei soci con diritto al voto (tra i quali vi sarebbe pure una quantità di persone decedute da anni). Nonostante ingiunzione del Tribunale ed opponendovi la richiesta surrettizia del pagamento di addirittura 50mila euro.
 
LE REAZIONI DELLA DIRIGENZA
 
Al posto dei chiarimenti diretti è arrivato sabato 11 agosto un articolo non firmato di grande rilievo del solito quotidiano monopolista locale Il Piccolo, con l’annuncio che la Regione avrebbe accertato la totale regolarità della gestione delle COOP, e con la minaccia pubblica del presidente Marchetti di querelare o citare conseguentemente per danni il portavoce e promotore degli accertamenti, Adeo Cernuta.
 
Se qualcuno pensava di consentire così ai responsabili di esimersi dai chiarimenti sociali doverosi nascondendosi dietro la Regione, e di zittire ed isolare con le minacce i rappresentanti combattivi della società civile, ha invece ottenuto l’effetto esattamente contrario.
 
Il Comitato ha infatti reagito diffondendo con nota stampa del 13 agosto la sintesi dei dati contabili assolutamente allarmanti che esigono pubblico chiarimento, offrendone pure tutta la documentazione. E sono quelli del bilancio consolidato, che considerando l’insieme di tutte le società del gruppo non consente di coprire contabilmente le perdite con operazioni e differimenti tra i bilanci delle singole società.
 
Ricostruendo dunque il bilancio consolidato il Comitato avrebbe accertato contabilmente che dal 2004, inizio dei già otto anni di presidenza Marchetti, le COOP triestine avrebbero accumulato perdite per oltre 22 milioni di euro, mentre il patrimonio netto del gruppo sarebbe sceso da 38 a poco più di 19 milioni di euro. Che se abbiamo ben compreso farebbero dunque in totale 57 milioni.
 
Il Comitato sottolinea inoltre che le COOP di Trieste sono in sostanza una “public company “ perché risulta composta da oltre 110.000 soci di cui 80.000 triestini (più di 1/3 della popolazione della città), e di questi 17.000 prestano alle Coop ben 160 milioni di euro concorrendo in modo determinante all’operatività dell’azienda, che per fatturato è anche tra le prime 10 società con sede a Trieste, e dà lavoro a 700 dipendenti più l’indotto.
 
Il Comitato rileva pure che il gruppo degli amministratori delle COOP triestine risulta sostanzialmente inalterato, sotto diverse presidenze, da oltre 20 anni, è addirittura più numeroso di quello delle Generali e si perpetua non per buoni risultati di gestione, ma grazie ad un meccanismo elettorale interno anomalo formato in modo da impedire di fatto un ricambio, e consentendo addirittura di candidarsi solo agli stessi amministratori ed a loro amici. In regime, dunque, di democrazia solo apparente.
 
IL FEUDO POLITICO
 
La Voce aggiunge qui, per maggiore chiarezza, che questi meccanismi risultano aver consentito di fare ormai da decenni della dirigenza delle COOP triestine un ricco feudo sostanzialmente politico di denari e voti, condiviso tra centrodestra e centrosinistra piazzandovi (e riciclandovi) uomini propri, ed ampliandolo e consolidandolo come tale con una proliferazione di società che ha moltiplicato sia le poltrone retribuite nei consigli di amministrazione, sia le libertà operative anche fuori controllo del sistema cooperativo, sia le possibilità di diversione contabile delle passività.
 
Il tutto con la copertura sinora di tutti i partiti comunque coinvolti, delle istituzioni, degli organi di controllo e della stampa locale ‘di sistema’, esautorando di fatto i cittadini soci e pure prestatori di capitali ingentissimi. Sino ad accumulare, e sinora coprire ad ogni costo, quello che appare un passivo abnorme, mentre corrono voci secondo cui si penserebbe di risolvere il problema vendendo l’azienda.
 
E questo è esattamente lo stesso schema operativo con cui la stessa congrega trasversale di politici locali, e con le medesime coperture, ha colonizzato e frammentato l’Acegas indebitandola abnormemente (per oltre mezzo miliardo di euro!) per venderla poi a pezzi ed infine ora in toto.
 
Ed è questo stesso genere di compromissioni concrete, a banchetto condiviso di poltrone, soldi e voti anche attraverso sistemi incontrollati di forniture ed assunzioni, che spiega come mai forze politiche tradizionali anche apparentemente opposte, dalla destra al centro ed alla sinistra, vadano invece così spudoratamente d’accordo, coprendosi a vicenda, in operazioni dubbie e persino palesemente illecite e sotto indagine penale.
 
Con un campionario di collusioni estreme e spesso frenetiche che va ormai, in crescendo pubblico indisturbato, dalla vendita illegale di un terreno comunale all’allora sindaco Dipiazza, senza precedenti in Italia, sino al tentativo di colossale speculazione edilizia ed immobiliare a danno del Porto Franco internazionale (cioè della risorsa di lavoro principale) di Trieste, senza precedenti nella storia della città.
 
A noi questo sembra, se non ce ne suggerite definizione migliore, un sistema di malaffare politico evidente, scandaloso e prepotente, ormai sotto gli occhi di tutti. A fronte del quale non si sa cosa vorranno o potranno fare, ora come sempre, gli organi di stampa locali sotto padrone. La Voce non ha invece remore a sviluppare anche quest’inchiesta con la massima indipendenza, fermezza e completezza documentata possibili.
 
Oltre che per dovere di verità, perché si tratta davvero di salvare le nostre COOP – come su altro versante l’Acegas – e di appoggiare quindi in ogni modo l’azione del Comitato, che ha già annunciato prossime iniziative pubbliche sia in rete (con apposito sito e su Facebook) sia con volantinaggi e banchetti in strada.
 
DUBBI LEGITTIMI SUI RISULTATI DELL’ISPEZIONE
 
Sull’ispezione regionale vantata come assolutoria dai vertici COOP vi sono inoltre dubbi gravi e legittimi, generati dai medesimi responsabili perché non ne hanno mostrato il documento (che non vi è motivo ragionevole di nascondere) e quello che ne riferiscono su alcuni aspetti chiave contrastano con le procedure accertative di legge, che siamo perciò andati a verificare (si veda l’analisi puntuale di Norberto Fragiacomo).
 
L’incongruenza maggiore è che il Presidente Marchetti ha dichiarato al Piccolo che nel verbale d’ispezione “la Regione sottolinea come non ci siano irregolarità nei bilanci, il regolamento elettorale sia corretto, le assemblee di giugno regolari” ma chiede di riapprovare il regolamento del prestito sociale, datato 1997, cioè ha formulato una prescrizione. E sinché essa non venga adempiuta il revisore-ispettore (qui in sede di revisione straordinaria) non può rilasciare validamente il certificato finale di regolarità.
 
Mentre il direttore delle Coop, Della Valle, ha lasciato credere che il certificato liberatorio ci sia, dichiarando peraltro ambiguamente allo stesso giornale che: «C’è un soggetto deputato che ha certificato la situazione. Non c’è altro da aggiungere», ed ancora: «è stata la Regione che dopo tre mesi di verifiche ha certificato la situazione della nostra società, evidenziando come non vi sia alcuna irregolarità nella gestione» e «non siamo più noi che diciamo certe cose, ma c’è invece un soggetto deputato dalla normativa alla certificazione. Di queste cose non parlo più».
 
CONCLUSIONI E RICHIESTE
 
In un senso o nell’altro, la situazione crea scandalo, noi siamo tutti convinti dell’importanza economica, lavorativa e di servizio delle Coop per la città, ed almeno i soci hanno diritto di vederci chiaro sulla gestione Marchetti, che il sindaco Cosolini è invece corso ad omaggiare pubblicamente, suscitando così non pochi interrogativi su questa sua sostanziale, ennesima imprudenza politico-amministrativa.
 
Ma per vederci chiaro occorrono le liste dei soci e gli altri documenti che la dirigenza non vuole mostrare, e se è davvero tutto regolare non ha motivo di farlo. Se invece non lo è, la via di soluzione giusta è un commissariamento, con revisione delle norme elettorali interne per democratizzarle, e nuove elezioni col nuovo sistema. E la nostra inchiesta non si ferma qui. – [8.9.2012]
 
Paolo G. Parovel
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I link del pubblicato in rete dalla Voce nel 2012 sullo scandalo COOP sono:

 

14/8/2012: Scandalo COOP Trieste, Istria e Friuli: 41milioni di perdite nascoste?;

 

21/8/2012: Coop: il mistero del verbale nascosto;

 

21/8/12: Inchiesta COOP Trieste: dichiarazioni stampa da documentare;

 

8/9/2012: il numero 11 de “La Voce di Trieste”.

© 20 Ottobre 2014

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