Trieste: sentenza abnorme conferma l’illecito, ma lo premia e punisce chi lo denuncia
Continuano i tentativi illegali di colpirci e delegittimare le nostre inchieste e denunce sul “sistema” dei poteri di malaffare a Trieste.
Come i lettori della Voce sanno, il 26.2.2007 l’allora sindaco Roberto Dipiazza aveva comperato, in violazione palese dello speciale divieto di legge (art. 1471 c.c.), un terreno del proprio stesso Comune per completare e valorizzare sue proprietà circostanti, ed aveva poi rivenduto il tutto a noti e potenti costruttori edili locali ottenendone così un plusvalore che secondo nostri calcoli sarebbe valutabile attorno ai 200mila euro.
La violazione del divieto di acquisto da parte di un sindaco non solo risulta senza precedenti nel diritto italiano, ma benché fosse notoriamente illecita era stata consentita, eseguita e coperta dal Segretario generale e dai funzionari del Comune addetti, inclusa l’avvocatura comunale, dagli assessori competenti, dall’intera Giunta, dall’intero Consiglio Comunale e dal Giudice Tavolare, che aveva annotato l’atto di compravendita palesemente illecito fra Sindaco e Comune.
La copertura da essi fornita all’illecito è inoltre continuata ed è stata anzi perfezionata dopo le denunce penali e le contestazioni pubbliche dei fatti illeciti. Sui quali il quotidiano monopolista locale Il Piccolo (gruppo Espresso) ha mantenuto il silenzio tranne che per pochi articoli, prima di cronaca e poi di appoggio.
La violazione specifica continuata di legge implica perciò una serie di reati concorsuali pluriaggravati quantomeno d’abuso d’ufficio, da parte di tutti questi pubblici ufficiali, dal sindaco ai funzionari, agli assessori, ai consiglieri, a quel magistrato, rimanendo da verificare i rapporti fra tali soggetti ed i costruttori.
Mentre delle tre relative denunce penali presentate alla Procura della Repubblica (in ordine di tempo da Greenaction Transnational, da me e da Adriano Bevilacqua), che ci risultavano assegnati al Pm Federico Frezza, erano immediatamente procedibili perché i fatti erano interamente documentati con atti pubblici. Ma non si aveva notizia di loro esiti, e non la si ha a tutt’oggi (21.11.2013) mentre i reati se non sono già arrivati così a prescrizione vi si stanno avvicinando.
Uno scandalo gravissimo di “sistema”
La gravità e lo scandalo di questa situazione non stava, e non sta dunque più da tempo, nella sola compravendita illegale, ma nel fatto che il suo compimento impunito presupponeva ed ha dimostrato l’esistenza a Trieste di un “sistema” locale di coperture illecite esteso trasversalmente fra politici, funzionari ed istituzioni amministrative e giudiziarie. Su una vicenda specifica che non risultava inoltre mai avvenuta nemmeno nelle città e regioni afflitte dalla mafia.
Nel 2010 ho perciò avviato un’intensa e documentata campagna di denuncia del tutto sul settimanale che dirigevo allora, Il Tuono, edito da Daniele Pertot. Nel silenzio totale del “sistema”, per mesi, sinché il sindaco Dipiazza ha tentato di farci tacere intentando a me ed all’editore una causa per danni da 200.000 euro.
Io pubblicai anche questa notizia denunciando l’intimidazione e ribadendo la doverosità e fondatezza della nostra inchiesta-denuncia, come delle altre che svolgevamo su altri malaffari: dalla tentata urbanizzazione speculativa illecita in Porto Franco, ai gravi abusi nelle amministrazioni di sostegno gestite da alcuni magistrati con personale medico ed assistenziale ed un gruppo di avvocati.
Ma l’editore Pertot chiuse a sorpresa il giornale cacciandone me e redazione, che demmo quasi subito vita all’indipendente La Voce di Trieste, prima solo in rete e poi anche a stampa. Continuandovi tutte le nostre campagne d’inchiesta-denuncia, inclusa questa sullo scandalo di “sistema” rivelato dalla compravendita illegale fra Sindaco e Comune.
Sulle tre denunce penali di quello scandalo, inclusa la mia che investiva direttamente il “sistema”, la Procura ha continuato però tacere apparendo inerte, mentre la causa civile intentataci dal Dipiazza è andata avanti, affidata dal Presidente di Sezione, Giovanni Sansone, al giudice Sergio Carnimeo. Del quale abbiamo anche chiesto senza esito l’astensione per motivi ben precisi, tra i quali quello di essere contemporaneamente giudice delle amministrazioni di sostegno oggetto delle nostre inchieste-denuncia.
Nella causa inoltre l’editore Pertot, pur affermando come me, che le nostre campagne stampa erano doverose e legittime perché la comprevendita era illecita e nulla, ha anche tentato di dissociarsene per sostenere che agli eventuali risarcimenti dovevo essere condannato io, e pagargli pure danni suoi.
Una sentenza radicalmente illogica
Il giudice Carnimeo ha depositato il 19 novembre la sua sentenza, datata 11 novembre e fondata su una serie di argomenti e decisioni le cui parti infondate, illogiche e contraddittorie saranno oggetto sia di immediato appello che di azioni penali.
Nel merito della compravendita fra Sindaco e Comune, il giudice l’ha infatti dovuta confermata illecita e dichiarare nulla ex art. 1471 c.c, così confermando interamente fondate le ragioni della nostra campagna d’inchiesta e denuncia. E questo ora va a riflettersi anche sulle apparenti inerzie penali della Procura a fronte delle nostre fondate denunce.
Nonostante ciò, ed in evidente contraddizione, il giudice Carnimeo ha trovato il modo per punire me e l’editore condannandoci egualmente a risarcire assieme al Dipiazza 25.000 euro di danni più 5.600 di spese legali, e me personalmente a risarcirgliene altri 15.000 per diffamazione (il che spetterebbe semmai al giudice penale), ed a pubblicare a nostre spese e sua richiesta sul quotidiano il Piccolo, ma anche sulla Voce (che non c’entra) la sola parte del dispositivo della sentenza che riguarda l’asserita diffamazione e stabilisce i risarcimenti, dandoci torto.
Ma non quella che invece ci dà ragione, e contraddice l’altra, confermano illecita la compravendita fra Sindaco-Comune.
A questo punto i lettori si chiederanno come ha fatto il giudice, in sostanza, a giustificare la contraddizione assoluta del confermare che ho scritto la verità, e condannarmi egualmente.
Un’omissione grave e due affermazioni false
Da un primo esame della sentenza risulta che lo abbia fatto combinando una grave omissione sostanziale con affermazioni e decisioni che invadono e violano radicalmente la libertà di stampa ed i diritti e doveri del giornalista.
L’omissione sostanziale consiste nel fatto che in sentenza il giudice Carnimeo riassume le ragioni delle parti e valuta la campagna di stampa riferendo, contro verità ed evidenza, le nostre denunce solo al Dipiazza ed alla compravendita, mentre in realtà erano rivolte al “sistema” di commissione e copertura dell’illecito fra politici, funzionari, e magistrati. Cioè a fatti ancora più gravi, e di ancor maggiore allarme sociale ed istituzionale, della compravendita in sé.
L’invasione e violazione della libertà di stampa e dei diritti e doveri del giornalista consiste nel fatto che il giudice ha utilizzato quell’omissione fondamentale per affermare due cose non vere.
La prima è che quanto ho scritto sarebbe parzialmente contro verità perché non ho ripetuto in ogni articolo i dati sull’entità modesta del terreno e del prezzo che potessero minimizzare l’entità della compravendita illecita. Mentre essa costituisce fatto grave in sé, e per le coperture di “sistema”, a prescindere dal valore venale del bene che ne è stato oggetto.
La seconda è che avrei violato il criterio di continenza formale perché ho manifestato non la probabilità, ma la certezza che si trattasse di illeciti civili, penali, amministrativi, oltre che rilevanti per danno erariale e responsabilità contabile”.
Certezza che su questione di tale evidenza documentale e rilevanza pubblica non solo avevo invece pieno diritto e dovere di possedere e di manifestare, ma viene addirittura confermata nella stessa sentenza dallo stesso giudice, il quale tuttavìa mostra di non cogliere la contraddizione evidente che ha così proposto.
In una sentenza che essendo repressiva della libertà di stampa aumenta l’allarme sociale sul “sistema” del quale il magistrato oscura la presenza denunciata. Perché in sostanza il giudice punisce il giornalista che ha indagato e denunciato il “sistema” illegale, e premia addirittura con 40.000 euro il sindaco che ha compiuto la compravendita illecita sotto protezione totale del “sistema”.
Compravendita che rimane comunque tutelata, perché la dichiarazione di nullità dell’atto non potrà restituire il terreno al Comune togliendolo ai costruttori acquirenti, i quali possono affermare di averlo acquistato in buona fede, dato che la regolarità del titolo appariva confermata sia dal Comune che dal giudice tavolare.
Il “sistema” illegale premiato
In sostanza, questa sentenza abnorme del giudice Sergio Carnimeo invece di colpire il “sistema” di potere trasversale denunciato dalle nostre inchieste lo protegge e lo premia a tutti livelli. E così ne riconferma l’influenza, quantomeno di fatto, anche su ambienti giudiziari del Tribunale di Trieste.
A questo si aggiunga che per pronunciare questa sentenza il giudice ha rifiutato di astenersi, cioè di farsi sostituire, nel giudizio contro di me nonostante ve ne fossero seri motivi, e che a fronte del difetto di giurisdizione italiana diretta da me sollevato lo ha respinto in proprio, senza rinviarlo a Cassazione e senza disamina delle prove da me addotte, limitandosi a citare facendole proprie le tesi false delle due scandalose e già denunciate sentenze recenti del TAR FVG nn. 400 e 530/2013, prodotte ad hoc dallo stesso “sistema”.
Al tutto si aggiunge ancora il fatto ulteriormente inquietante che il silenzio contestuale della Procura sulle denunce penali presentate lascia supporre livelli ulteriori ed ancor più preoccupanti ldi protezione giudiziaria del “sistema”.
Ma non ci spaventano affatto, e le reazioni difensive saranno adeguate.
© 23 Novembre 2013