La Voce di Trieste

“Porzûs”, l’intelligence alleata ed i documenti nascosti

Si fa molto bene a ricordare tra i fatti storici della seconda guerra mondiale in queste regioni anche la strage detta di Porzûs, nel Friuli orientale dove l’8 febbraio 1945 alle malghe di Topli vrh partigiani comunisti italiani dei GAP attaccarono ed uccisero un gruppo di partigiani italiani anticomunisti della Osoppo per sospetti di collaborazionismo. Probabilmente infondati, ma drammaticamente credibili in quella guerra terribile d’armi e servizi di spionaggio contrapposti: ed è questo il vero significato ed ammonimento della tragica vicenda.

 

Molto male si è fatto e si fa invece tuttora a strumentalizzarla per farne simbolo di contese territoriali tra italiani e sloveni, che lì ed allora non c’entravano per nulla come hanno confermato anche i processi del dopoguerra.
Si tratta infatti di una delle manipolazioni storiche propinate all’opinione pubblica italiana dopo il collasso della Jugoslavia per giustificare rivendicazioni verso i nuovi stati indipendenti deboli di Slovenia e di Croazia.
E risulta organizzata, come le altre, su basi propagandistiche, avallata sfrontatamente dagli ex-comunisti italiani per scaricare su altri responsabilità proprie, ed appoggiata con intense campagne pubblicistiche culminate in un film finanziato con 3.2 miliardi di lire.
Chi voglia invece affrontare seriamente questo capitolo di storia controversa troverà gli atti dei processi già analizzati in pubblicazioni note. Ma rischia di non reperire cinque documenti significativi sinora censurati o nascosti dagli strumentalizzatori storico-politici. Ve li proponiamo quindi noi per aiutare a far chiarezza sui fatti, a vero rispetto di tutte le parti ed opinioni di buona fede coinvolte allora ed oggi
Il primo documento è un’intervista pubblicata nel 1996 del maggiore quotidiano della Slovenia, Delo, ad un ufficiale operativo triestino dell’intelligence alleata allora sul campo. Gli altri quattro sono documenti decisivi dell’epoca, ottenuti e diffusi con la relativa analisi nel maggio 2001 a tutta la stampa italiana, locale e nazionale. Che ne ha compattamente censurata ogni notizia.

L’intervista all’ufficiale d’intelligence
Nell’agosto del 1996, al culmine delle accuse alla Resistenza slovena per la strage di Porzûs, il Delo pubblicò un’intervista al protagonista dei fatti, Mario Toffanin-Giacca, il quale confermò la responsabilità esclusiva dell’allora PCI di Udine, e dichiarò che il maggiore inglese che dirigeva il controspionaggio partigiano non lo aveva rimproverato per avere eliminato quei partigiani della Osoppo, ma perché non aveva ucciso con essi quattro spie segnalate da Londra. Ed Piccolo tradusse e pubblicò le dichiarazioni di Giacca, omettendo questa che contribuiva a scagionare gli sloveni.
Sulla credibilità di quella dichiarazione chi scrive intervistò allora per il Delo l’avv. Branko Agneletto, ex ufficiale triestino antifascista ed anticomunista dei servizi alleati nella Slovenia occupata, e loro referente di rilievo per il Sud Est Europa dal dopoguerra al 2001.
La fonte è quindi autorevole, le sue informazioni risultano preziose ed il Piccolo non le ha mai pubblicate. Ecco l’intervista originale in italiano:
Quale ex ufficiale dell’intelligence alleata l’affermazione di Giacca le sembra credibile?
Certamente. L’eliminazione delle spie naziste e collaborazioniste era una necessità vitale. Le segnalavamo in tutta Europa tramite Radio Londra, e questo equivaleva ad un ordine di uccisione a vista. È noto che sul luogo della cosiddetta “strage di Porzûs”, cioè a Topli vrh, Giacca trovò con gli ufficiali della Osoppo anche una donna già segnalata da noi come spia nazista.
Dopo l’eliminazione di quel piccolo gruppo non ve ne furono altre contro la Osoppo, che continuò tranquillamente a tenere un comando nello stesso luogo. Il fatto fu deformato e gonfiato propagandisticamente solo dopo la guerra.
Gli Alleati avranno conservato documenti d’archivio su “Porzûs”?
E’ difficile. Fatti così minimali non ci interessavano.
Ed il progetto di una “Grande Slovenia” fino al Tagliamento?
Sono solo vecchie propagande dei servizi italiani e tedeschi. Le forze slovene volevano liberare i territori etnici sloveni e misti, fino alla Benec*ija, e non un metro di più. Erano le forze italiane che progettavano di rioccupare vasti territori sloveni e croati.
Ma anche alcuni comandanti partigiani comunisti italiani, come Vanni Padoan, e qualche storico italiano di sinistra appoggiano la teoria dell’espansionismo sloveno…
I comandanti partigiani italiani non sapevano, e non hanno mai potuto sapere, quello che sapeva l’intelligence alleata. Vivevano situazioni locali e particolari, mentre noi eravamo presenti su tutti i fronti della guerra. Per quanto riguarda certi storici, bisogna valutare la qualità del loro lavoro, e non il colore politico.
Cosa sapevano a quel tempo i servizi alleati sulla Osoppo?
Il problema ci era noto, ma per noi era assolutamente marginale. Lo seguivano solo gli ufficiali assegnati a quella piccola zona.
In Italia la politica militare ed estera è sempre stata fatta non dai politici al governo, ma dai servizi segreti militari. Nel 1944 hanno capito che i tedeschi avrebbero perso la guerra, e hanno immaginato un piano per rioccupare non solo il Friuli, ma tutti i confini italiani di Rapallo, sulla linea Triglav-Postojna-Snez*nik, con tutta l’Istria e Fiume. Pensavano che tra il crollo tedesco e l’arrivo delle forze alleate si sarebbe creato un vuoto, in cui truppe nazionaliste italiane avrebbero potuto infilarsi a sorpresa, spazzando via i partigiani sloveni e croati ed i comunisti italiani che combattevano assieme a loro.Ma per l’operazione dovevano adoperare le forze fasciste, trasformandole all’ultima ora in partigiane per evitare reazioni alleate. In Friuli hanno progettato perciò di utilizzare l’organizzazione “Osoppo”, che aveva raccolto piccoli gruppi di rifugiati che stavano nei boschi dopo l’occupazione tedesca e patrioti italiani anticomunisti. Al momento giusto i reparti fascisti dovevano trasformarsi in reparti “della Osoppo” ed avanzare rapidamente congiungendosi a forze analoghe che venivano preparate contemporaneamente anche a Trieste e nell’Istria.
Questo piano si fondava su un errore gravissimo: gli Italiani si erano convinti che la Resistenza slovena e croata fosse formata solo da bande partigiane sparse, come quella italiana. Non si rendevano conto di avere di fronte il più forte esercito di liberazione partigiano d’Europa, quello jugoslavo, che sarebbe avanzato esso sino al limite del territorio etnico sloveno. Come infatti poi accadde.
Qual’era l’attività militare della Osoppo?
Stava sui monti ad aspettare il via dell’operazione confini. Svolgeva attività militare minima. Disturbava poco i tedeschi, e meno ancora i fascisti, ma controllava e ostacolava i reparti combattenti sloveni e comunisti italiani. Ci accorgemmo presto di questa sua strana passività, poi si seppe che alcuni suoi capi avevano intensi contatti sia con i fascisti che con i servizi segreti tedeschi.
Come la vedevano perciò i servizi alleati?
Come un equivoco marginale, e come una fonte di pericolo per le forze combattenti impegnate contro i tedeschi ed i fascisti in quel settore. Fino al maggio del 1945.
E dopo il maggio del 1945?
Cambiò il quadro strategico. Lo scopo della guerra era stato eliminare fascismo e nazismo. Poi è cominciata la lotta anticomunista. Così i servizi italiani, con le loro organizzazioni di confine, fasciste e antifasciste, e le loro propagande trovarono un nuovo ruolo.
Ma è una paranoia dei comunisti pensare che venissero guidate o finanziate direttamente dai servizi alleati del dopoguerra. Erano di nuovo cose troppo marginali. Sono state gestite, come sempre, soltanto dai servizi italiani, per tutta la guerra fredda.
Ma la guerra fredda è finita da anni …
Appunto. E la situazione esistente a Trieste rende evidente che sono solo i varî servizi segreti italiani che continuano con queste operazioni anche nella nuova Europa.
Quali sono queste operazioni?
Quella mia esperienza di intelligence militare è di mezzo secolo fa, ma anche i servizi italiani hanno continuato ad applicare gli schemi, i progetti e perfino le propagande di quella volta.
Mi sembra chiaro che tentano di riespandere la propria influenza in tutto il settore danubiano-balcanico, che in questo momento è di nuovo l’unico abbastanza debole per le loro possibilità. E per questo si contrappongono sempre di più a Bonn, Londra e Washington.
Con quali mezzi? Solo con queste pressioni propagandistiche?
No, questo lo fanno solo con la piccola Slovenia, che per loro rappresenta soltanto la porta d’ingresso alla regione, e con la Croazia, che per loro è un ostacolo.
Hanno sempre usato soprattutto i soldi. Al tempo dei governi democristiani e socialisti di Craxi hanno imbastito regolari reti di affari con le mafie del comunismo in disfacimento. Adesso usano come copertura politica di sinistra gli ex comunisti italiani, che hanno ancora contatti speciali con l’Est e sono pronti a tutto pur di restare al governo.
Cosa si può fare, e come?
Non lasciarsi trascinare né usare in questi intrighi. Ma il come è un vostro problema.

I documenti che accusano il PCI del 1945 e Vanni Padoan
Nel 2001 lo scaricabarile della strage di Porzûs sulla Resistenza slovena da parte degli ex-comunisti italiani (DS) aveva partorito un apposito libro-ritrattazione dell’ex commissario politico partigiano Vanni Padoan che aveva sempre confermato le responsabilità del PCI: contrordine compagni, avrebbe commentato Guareschi.
Invece il Comitato italo-sloveno-croato per la verità storica, formato da storici e giornalisti e presieduto da chi scrive, diffuse a giornali ed agenzie quattro nuovi documenti che smentivano la ritrattazione del Vanni, confermando le responsabilità sue personali oltre che del PCI.

Il primo documento è l’articolo«Meeting della divisione italiana» pubblicato il 4.2.1945 (4 giorni prima dei fatti di Porzûs) dal Partizanski dnevnik, unico quotidiano partigiano dell’Europa occupata.
Descrive il raduno della brigata Garibaldi-Natisone del 28 gennaio (12 giorni prima di Porzûs) con le autorità civili e militari slovene e la missione alleata:«Il Commissario politico della Divisione, compagno Vanni, nel proprio discorso di saluto ha detto tra l’altro: “I fascisti ed i loro reggicoda d’ogni specie ci rimproverano di essere traditori del popolo italiano poiché ci siamo aggregati al IX Korpus sloveno. Ma noi nella lotta contro i tedeschi abbiamo dimostrato l’esatto contrario. Noi non siamo rimasti tra gli attendisti, e non ci hanno impedito la lotta né l’inverno, né le ristrettezze. Noi ci siamo aggregati agli eroici partigiani sloveni nella comune lotta antifascista per la libertà di ambedue i popoli. Traditori sono soltanto quelli che se ne stanno ad aspettare, e con ciò aiutano l’occupatore.”»
L’accusa era chiaramente rivolta alla Osoppo, ed ufficializzata dal commissario politico divisionale alle rappresentanze dei cobelligeranti significava esattamente la condanna a morte da parte del PCI per mano dei propri reparti.

Il secondo documento, indirizzato al Comando triveneto delle Brigate Garibaldi, a quelli delle Divisioni Natisone e Friuli ed alla Federazione del PCI di Udine, è la deposizione del 3.2.1945 (5 giorni prima dell’attacco) del comando battaglione GAP “Giotto” a carico di un osovano accusato di spionaggio collaborazionista. Accusa di collaborazionismo, uccisioni e torture di partigiani garibaldini alcuni comandanti della Osoppo, compreso il De Gregori-Bolla poi ucciso a Porzûs. Così suggellandone la condanna a morte.

Il terzo documento è la «Relazione politica di azioni fatte dai G.A.P. contro capi reazionari delle formazioni Osoppo» del 10.2.1945 sull’attacco ormai effettuato a Porzûs due giorni prima. Accusa (come già Vanni, ma dettagliatamente) gli osovani di alto tradimento e attendismo, ed è indirizzataal PCI di Udine (mandante) e per conoscenza, a fatto compiuto, al Comando del IX Korpus sloveno “tramite i compagni Bruno e Vanni”, commissari politici della Natisone.

Il quarto documento è il verbale segreto della conferenza operativa dei vertici militari e dell’intelligence sloveni dal 17 al 21.2.1945, oltre una settimana dopo la strage di Porzûs, accennata solo marginalmente.
Vi si legge in merito, dopo espressioni di diffidenza verso la Osoppo e le altre«unità italiane» compresa la Garibaldi-Natisone («si uniscono a noi con spirito diverso da quello con cui le accogliamo») che il referente sui rapporti con la Federazione del PCI di Udine ne ha «accolto con favore l’osservazione che risolveremo assieme le difficoltà, e che invero essi come italiani non possono prendere misure contro la Osoppo, e noi invece sì. La Osoppo non combatte contro l’occupatore (…) alla gente non è ancor oggi chiaro chi abbia attaccato la Osoppo (…) la missione alleata si è tirata indietro sin dal primo momento. Secondo i rapporti del membro della Federazione gli osovani sono 350. Ha detto che questa è una formazione militare. Ma ci sono anche degli sbandati.» dopodiché il responsabile dell’intelligence chiede: «Quante possibilità vi sono che il battaglione italiano abbia attaccato la Osoppo?» E dopo una risposta generica si passa ad altri argomenti.
Ne risulta quindi confermato che il PCI denunciò la Osoppo agli sloveni, ma questi diffidavano di tutti ed ad una settimana dal fatto non sapevano ancora cosa fosse accaduto a Porzûs, né da parte di chi. E dal resto del lungo verbale risulta che avevano problemi diversi e ben maggiori.
Questi sono dunque i nuovi documenti diffusi già nel 2001. Ed il fatto significativo che undici anni dopo, nel 2012, gli strumentalizzatori politici della strage non ne vogliano ancora tenere conto diventa ora un loro problema. Etico e di credibilità.

© 2 Maggio 2012

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