Come salvare Trieste che affonda
Tra corruzioni e scandali coperti da politici e stampa controllata, una soluzione attiva semplice e chiara per problemi gravissimi
Al di là delle troppe chiacchiere politiche, dentro la crisi italiana e generale quella già grave della città-porto di Trieste peggiora di giorno in giorno nell’inerzia palese della classe dirigente e della stampa locali. Ed è assurdo, perché proprio i triestini hanno i mezzi per uscirne, anche abbastanza rapidamente, se solo trovano il coraggio e la lucidità di capire come stanno veramente le cose e di agire assieme invece di
lamentarsi singolarmente a vuoto.
L’informazione più importante
L’informazione più importante e drammatica per capire la realtà ce l’hanno data i sindacati, a dicembre, ed è stata perciò immediatamente rinascosta: negli ultimi due anni Trieste ha perduto altri 10.000 (diecimila) posti di lavoro, e la situazione peggiora.
Sono 20 volte i posti già a rischio della Ferriera inquinante di Servola e corrispondono, con le famiglie, ad oltre 30.000 persone.
In una città che l’emigrazione economica continua ha già ridotto da 290.000 a 205.000 abitanti, con percentuale altissima di anziani e di povertà sempre più disperata da disoccupazione, precariato, retribuzioni insufficienti e pensioni minime.
Sta cedendo il tessuto economico diffuso Ma quest’emorragìa economica abnorme continua a passare sotto silenzio politico e di stampa perché è prodotta, più che da cedimenti del tessuto industriale, dalla chiusura a catena di piccole e medie attività commerciali, artigiane e di servizio, che colpisce quasi nella stessa misura sia il lavoro dipendente che quello autonomo.
Distruggendo il tessuto economico-sociale più diffuso e versatile, che a differenza dall’industria non può essere sostituito facilmente da attività nuove né sorretto dalla cassa integrazione. Ed è formato in maggioranza da persone di media età, ancora più difficilmente reimpiegabili dei giovani ma lontane dalla sicurezza minima della pensione.
Questo è anche il sintomo più evidente, dalle strade ridotte a cimiteri di negozi abbandonati, di un collasso della città che era previsto da tempo ed ora sta accelerando ad effetto valanga, perché la mancanza di denaro fa chiudere le attività, e la loro chiusura incrementa la mancanza di denaro, sino a travolgere anche categorie che si ritengono abbastanza protette.
Non se ne esce perciò solo con interventi di tamponamento occasionale e per settori, né con gli egoismi di categoria: occorre rimettere in moto l’intero sistema economico locale, e per ogni settore, dal lavoro manuale generico a quello tecnico e professionale. Perché sono interdipendenti, e perché il diritto fondamentale alla vita e ad un benessere normale attraverso il lavoro è di tutti.
Soluzioni fasulle, disamministrazione e sprechi
La classe dirigente locale di tutti i colori politici che ci ha ridotti in queste condizioni continua a propinarci da anni le stesse litanìe su Trieste futura città della scienza, del turismo, della cultura.
Tutte soluzioni parziali, e quindi fasulle, che in concreto significano ridurre la città ad oasi per privilegiati (come loro) lasciando sprofondare definitivamente il resto della popolazione tra miseria , lavoro marginale sottopagato al loro servizio ed emigrazione.
Mentre abbiamo la fortuna di possedere, a differenza dalle altre città in crisi, uno dei pochi strumenti di lavoro che nella crisi globale continuano a reggere dappertutto, e che ha letteralmente creato la Trieste moderna: il porto, e addirittura con un regime speciale di Porto Franco internazionale, nel punto più settentrionale del Mediterraneo che è lo sbocco naturale dei traffici della Mitteleuropa qui al Baltico, in incremento continuo.
Ma questo nostro straordinario strumento di lavoro diretto ed indotto per tutti ce lo stiamo lasciando disamministrare e parassitare vergognosamente, e addirittura svendere per speculazioni edilizie ed immobiliari illecite, da quella stessa classe dirigente irresponsabile che ci propina quelle chiacchiere palliative assieme all’informazione narcotica dei due quotidiani locali controllati, Piccolo e Primorski dnevnik.
Una dirigenza che nemmeno tampona la crisi, ma la incrementa disperdendo enormità di denaro pubblico in una miriade di spese secondarie, inutili o addirittura dannose, invece di investire nell’obbligo primario dell’assistenza economica e sociale alle persone e famiglie in difficoltà.
Investire, sì, perché quei soccorsi oltre ad essere doverosi non sono dati a fondo perduto, ma ritornano subito alla società in acquisti necessari di cibo, beni e servizi che rimettono in moto il sistema economico locale.
Tra scandali e corruzioni
I motivi e modi in cui a Trieste tutto questo è potuto accadere, spudoratamente alla luce del sole e sinora senza reazioni di contrasto, risultano abbastanza chiari dallo scandalo concretissimo ora rivelato ed affrontato dall’inchiesta-denuncia della quale potete leggere qui a fianco, sulla colossale operazione illecita “Portocittà” a danno del nostro Porto Franco.
Mentre rimangono da affrontare in altrettante inchieste (giornalistiche e giudiziarie) le evidenze di molte altre situazioni locali incredibili e connesse, ad iniziare dalla gestione privata della proprietà pubblica coumunale AcegasAps che ha accumulato un debito reale ed insanabile di mezzo miliardo di euro sulle spalle dei cittadini.
E le corruzioni gravi ora documentatamente emerse dall’inchiesta-denuncia sul porto non sono nemmeno quelle di rilevanza penale, come tali di competenza giudiziaria, ma quelle più ampie, pervasive ed ancor più preoccupanti costituite dall’alterazione profonda del senso del dovere e della legalità nei tessuti istituzionali, politici e professionali che dovrebbero garantirlo.
Inclusi quelli giornalistici, dato che i due quotidiani locali, italiano e sloveno, continuano a nascondere o minimizzare la gravità assoluta dei fatti con la simulazione strumentale di una città tranquilla senza corruzione né mafie (sulle quali potete leggere qui a pagina 4).
Una via di salvezza attiva molto semplice
A fronte di tutto ciò la Voce di Trieste può e deve continuare ad impegnarsi nei ruoli indispensabili di informazione indipendente, coscienza critica e denuncia pubblica, per i quali dev’essere appressata e protetta.
Ma è evidente che attorno a questo nucleo di riferimento occorre anche raccogliere il massimo numero possibile di persone di buona volontà ? a prescindere dalle loro qualifiche e dalle loro opinioni su altri argomenti ? attorno ad un programma minimo semplice, chiaro e concreto per salvare, letteralmente, la città agendo sui suoi due problemi vitali veri ed immediati.
Che sono la disoccupazione a tutti i livelli di età e lavoro, superabile solo puntando tutto subito e con forza sul rilancio del porto ed in particolare del porto franco, e la povertà crescente delle persone e delle famiglie, che dev’essere affrontata subito con assistenze sociali adeguate, e straordinarie quanto serve.
Mentre a breve e medio termine occorrerà affrontare seriamente una volta per tutte i problemi di due inquinamenti nocivi accumulati e nuovi: quello ambientale che ci avvelena mortalmente nel corpo, e quello politico-culturale che ci avvelena ancora nello spirito ostacolando il recupero delle nostre memorie e capacità operative plurinazionali.
Il numero di prova dello strumento primario, il giornale, lo avete in mano. E adesso occorrono anche la volontà ed il coraggio vostri.
© 2 Maggio 2012