Porto Franco internazionale di Trieste, la violazione continua: messi in mora Prefetto, Dogana e Ministro delle Finanze
Attualità – Porto Franco di Trieste
Alle ore 13.30 del 1° dicembre la cinta doganale del Porto Franco internazionale di Trieste, violata nel suo settore principale del Porto Franco Nord (cosiddetto “porto vecchio”) in forza di una sospensione prefettizia illegittima che scadeva alla mezzanotte del 30 novembre, non risultava ancora ripristinata dalle Autorità competenti e dai beneficiari, nonostante gli obblighi di legge e specifica richiesta-diffida notificata il 14 ottobre (leggi qui) con successivi esposti penale ed erariale.
Il telegramma di messa in mora
Alle ore 13.52 l’Associazione Libera Informazione e l’Associazione Porto Franco Internazionale di Trieste hanno inviato perciò al Ministro delle Finanze, al Direttore Provinciale delle Dogane ed al Prefetto e Commissario del Governo a Trieste il seguente telegramma di formale messa in mora: «CHIEDIAMO IMMEDIATO RIPRISTINO CINTA DOGANALE PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE ILLECITAMENTE VIOLATA. CON RISERVA DI INIZIATIVA PENALE».
In caso di inadempimento l’iniziativa penale dovrà essere incardinata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, per competenza in materia di violazioni di accordi internazionali e poiché purtroppo la Procura ed il Tribunale di Trieste si sono lasciati incautamente coinvolgere negli usi contestati dell’area violata (leggi qui).
L’origine della violazione
La violazione da sanare è determinata dal fatto che il 29 giugno scorso il Prefetto e Commissario del Governo a Trieste aveva decretato senza averne i poteri (ed essendone perciò già diffidato dal giugno 2008, leggi qui) e retroattivamente, una sospensione illegittima sino al 30 novembre del regime di punto franco internazionale su gran parte Porto Franco Nord, domandata dai richiedenti col pretesto strumentale di una mostra fallimentare promossa dall’arrogante Vittorio Sgarbi, spacciata per sezione della Biennale di Venezia (leggi qui) ed ora finita ingloriosamente.
La domanda di sospensione era stata ottenuta con pesanti pressioni politiche e di stampa (queste attraverso il quotidiano monopolista locale Il Piccolo) da una consociazione trasversale di costruttori, politici e professionisti che sta svuotando e paralizzando da anni questo strumento unico di lavoro portuale della città e del Paese per occuparne ora a profitto proprio i 70 ettari lungomare con la più grossa speculazione edilizia ed immobiliare delle coste italiane (un genere di operazioni che in Italia comporta notoriamente anche pesanti rischi di corruttele ed infiltrazioni criminali).
L’area è bene demaniale dello Stato sotto vincolo giuridico internazionale ed interno all’uso esclusivo di porto franco internazionale ed a vantaggio primario diretto dell’economia di Trieste, come riconfermati dalla stessa giurisprudenza italiana. L’operazione speculativa si avvale perciò dell’espediente fraudolento e spudoratamente illegale di appropriarsi prima dell’area, sapendola indisponibile, per mezzo di atti amministrativi locali illegittimi, e di pretendere poi di imporre allo Stato la soppressione dei vincoli così violati.
Il tutto operando in violazione continua e deliberata del principio di legalità e per mezzo di un crescendo strumentale delle pressioni politiche e mediatiche, accompagnato dall’esercizio evidente di poteri di persuasione ambientale anomali. Ed obiettivamente sempre più sospetti per natura, entità ed ambiti di efficacia.
Era infatti già significativo ed inquietante da anni che riuscissero a far appoggiare la speculazione alle rappresentanze principali della città (amministrative e politiche, dal centrodestra al centrosinistra) ed ai suoi media (fuorché noi), riducendo praticamente al silenzio le opposizioni dei cittadini e degli operatori portuali, e così simulando un consenso totale della città, anche ad inganno della stampa nazionale.
Ma il livello di allarme istituzionale è stato superato quando sono riusciti anche ad ottenere favore e provvedimenti contro legge dal Prefetto e Commissario che rappresenta Stato e Governo, e addirittura a coinvolgere negli usi illegittimi dell’area i vertici delle autorità giudiziarie locali che dovrebbero indagarli e perseguirli.
Manifestando ora arroganze tali che a scadenza della sospensione illegale del Porto Franco i promotori, sostenitori e beneficiari dell’urbanizzazione speculativa, con alla testa il potente costruttore Maltauro e purtroppo anche il neosindaco Cosolini (Pd), hanno proclamato essi pubblicamente, e fuori da qualsiasi competenza di legge, che la cinta doganale non verrà mai più ripristinata e che il vincolo giuridico sull’area verrà nuovamente sospeso per un altro anno, e poi soppresso.
Mentre il Prefetto e Commissario ha rilasciato pubbliche dichiarazioni di disponibilità e favore, ed in concreto lui, il Direttore delle Dogane e l’Autorità Portuale, tutte autorità locali che sono tenute direttamente per legge a garantire ed ora ripristinare l’integrità della cinta doganale, cioè delle funzioni operative del Porto Franco, la lasciano illecitamente aperta anche dopo la scadenza del decreto di sospensione illegittimo.
A riconferma dunque evidente che a Trieste dietro una facciata illusoria di quiete ordinata, e di scarsa criminalità comune, siamo ormai alla pratica pubblica condivisa ed evidentemente sistemica dell’illegalità di medio ed alto livello (e non solo in questo settore).
Per Trieste è una questione di sopravvivenza economica e civile
All’esatto contrario di quanto affermano i propagandisti di buona e mala fede della speculazione immobiliare sul Porto Franco Nord, l’opposizione dei cittadini e del nostro giornale non è affatto una posizione retriva di principio, ma una necessità sempre più attuale di sopravvivenza economica e civile per tutta Trieste.
Nel 2010 e 2011 la città ha perso posti di lavoro, tra industria, artigianato e commercio, al ritmo di 5.000 (cinquemila) all’anno, dieci volte tanto i 500 già a rischio conclamato della Ferriera. Sta cioè sprofondando a vista d’occhio, ed ancora in silenzio, nella disoccupazione e nella povertà della classe media e nelle miseria disperata delle categorie più deboli, il tutto aggravato dal montare della peggiore crisi economica nazionale, europea ed internazionale del dopoguerra.
Mentre una classe politica ed una stampa locali vergognosamente fatue, irresponsabili o complici minimizzano o rimuovono la gravità della situazione, e continuano a propagandare spudoratamente come risorse di lavoro generali primarie quelle marginali ed elitarie di scienza e cultura, o quella qui limitata di turismo, congressi e nautica, o meri eventi come la regata Barcolana, e persino acquari futuribili, impegnandosi nei litigi sugli alberi di Natale ed in altre futilità assurde. Senza avere nessun progetto economico vero e serio per la città.
Perché un progetto serio per Trieste richiede in realtà, e con ogni evidenza, solo due azioni cardine: organizzare immediatamente, facendo perno sul Comune, un piano locale straordinario di sostegno sociale alle persone e famiglie in difficoltà, finanziandolo col taglio drastico di tutte le altre spese pubbliche rinunciabili e con offerte private; concentrare subito tutte le altre energìe su un motore produttivo centrale che possa dare lavoro a tutti, dal manovale generico al superspecialista, rialimentando a sua volta commercio, artigianato e servizi. Tutto il resto è aria fritta, od interesse settoriale perciò insufficiente.
Ogni persona sensata può inoltre comprendere che nel disastro proprio ed altrui Trieste ha la sola fortuna di possedere già un motore economico centrale, che è anche l’unico possibile: il porto, con il beneficio aggiuntivo straordinario del Porto Franco internazionale. Ma ambedue sono invece sottoutilizzati in maniera demenziale, mentre dappertutto in Italia e nel mondo i porti franchi ed ordinari continuano a produrre ricchezza nonostante la crisi.
E l’area più interessante ed attrezzata del Porto Franco, riattivabile in qualsiasi momento se si ricomincia a proporla seriamente sul mercato internazionale smettendo di respingerne gli investitori già e tuttora interessati, è proprio quella del Porto Franco Nord, con fondali da 15 metri, chilometri di moli e banchine, dighe, scalo ferroviario, magazzini e spazi liberi per lo sbarco, imbarco, magazzinaggio e lavorazione delle merci varie in regime extradoganale e senza tasse. Uno strumento di lavoro perciò straordinario, prezioso ed irrinunciabile.
Lasciarselo letteralmente rubare con operazioni illecite da una delle solite consociazioni italiche prepotenti di politici dappoco, partiti famelici e speculatori edilizi ed immobiliari sarebbe perciò, oltre che un’idiozia, un vero e proprio crimine contro il lavoro e la vita della nostra gente, ed in particolare dei giovani.
I cittadini di tutte le età che se ne rendono conto sono, grazie a Dio, sempre più numerosi, mentre i sindacati sembra incomincino a capirlo, ed anche qualche politico. Noi speriamo che trovino finalmente tutti il coraggio di farsi sentire, stiamo facendo il possibile per informare e dare l’esempio, e non intendiamo deflettere.
Ma ci attendiamo che pure il sindaco Cosolini, il Pd ed il Gruppo Editoriale L’Espresso, proprietario del Piccolo, si mettano finalmente a difendere gli interessi reali della città in crisi e del suo porto, e non quelli della speculazione e di costruttori potenti e discussi come Maltauro e Rizzani de Eccher. Detto senza offesa per nessuno, ma sinora è scandalosamente così. E sta diventando imperdonabile.
Paolo G. Parovel
© 2 Dicembre 2011