La Voce di Trieste

“Art” e le turbolenze delle migliori amicizie

di

Grande prova per Haber, Boni e Alberti

Una tela bianca, più o meno un metro e venti per un metro e sessanta; sul fondo, qualche riga obliqua, una orizzontale: anch’essa, bianca. Non è un quadro qualunque (è un Antrios anni ’70), e non lo è nemmeno il suo prezzo: 200.000 euro. Questa la cifra, esorbitante, che il sedicente esperto d’arte moderna Serge afferma di aver sborsato, dinanzi al vecchio e caro amico Marc. Il quale non la prende bene, e, dopo una rapida occhiata al nuovo oggettino di Serge, insinua dubbi sulla sanità mentale dell’amico: «200.000 euro per una tela bianca??». Serge non la prende bene, poiché la tela, ai suoi occhi, «non è affatto bianca». «Infatti, hai ragione: è una merda bianca!». La storia prende una brutta piega all’apparizione del terzo amico, Yvan, che per non scontentare nessuno asserisce del quadro: «Bellissimo, mi ha emozionato!!».

Il trittico disegnato ad arte da Yasmina Reza, già autrice de Il Dio della carneficina (da cui Roman Polanski ha tratto Carnage), ritrae splendidamente quelle turbolenze che spesso agitano, malcelate, silenti, anche le amicizie migliori. Facile identificarsi nel trio di Art: c’è Marc, il leader anticonformista, tutto d’un pezzo, catalizzatore dei gusti e delle passioni del trio; c’è Serge, la spalla del capobranco, il belloccio, il brillante, l’instabile maudit divoriziato, pieno di vizi ed effimere passioni; e poi c’è Yvan, il buono, il paciere, il cerchiobottista che rifugge la discussione frontale perché foriera di incrinature. Anche stavolta farà di tutto per placare gli animi; senza riuscirci, e anzi allargando, col suo atteggiamento esasperato, una frattura ormai insanabile. Perché succede, come spesso avviene, di mettere in pericolo rapporti secolari per idiozie, insulsaggini: il calcio, la politica, le donne. Tutte cose per cui non varrebbe la pena di rischiare nulla, figurarsi l’amicizia vera. Nel loro caso, lo stupido oggetto del contendere è proprio il quadro, attorno al quale si scatenerà un dibattito feroce, destinato a strappare la maschera alle meschinità, far emergere bugie, invidie sopite. Ci sarà il tempo di mettere in discussione persino le proprie vite, quelle convinzioni e pose che le loro vite hanno marchiato, in modo più o meno riuscito.

Il punto di non ritorno accade di sera, quando Marc (Gigio Alberti) e Serge (Alessio Boni), in procinto di uscire per una cena lionese, attendono invano Yvan (Alessandro Haber), che si presenterà con ritardo imperdonabile. Senza neppure lasciare ai suoi amici il tempo di redarguirlo con un doveroso cazziatone,  Yvan irrompe in casa di Serge vaneggiando, palesemente invasato, un breve, pazzesco monologo che è saggio attoriale da insegnare nelle scuole (quanto è bravo, Haber. Quanto). Ha un problema con la sua futura moglie; qualcosa di inerente al matrimonio, agli invitati. Bazzecole, in sostanza. Che alimentano l’elettricità tangibile nell’aria. Serge sbotta: «Stai per sposare un’arpia, sappilo!» generando la stizza inattesa di Yvan: «Non sei la persona più indicata a darmi consigli sul matrimonio»” – «Ti avverto proprio perché ci sono già passato!».

Serge è ormai fuori di sé, ne ha per tutti, e a Marc, proprio al suo ex- idolo e maestro di vita, riserva la stoccata più terribile: «E tu, la tua Paula, brutta, incartapecorita, priva di charme!». Oramai la fine è prossima. La lite è furibonda, si arriva persino alle mani e a farne le spese maggiori e proprio il pacifico Yvan, lo spettatore Yvan, che si prende inavvertitamente un cartone in pieno volto: «Tanto a me scivola tutto addosso!!». Le domande, a questo punto, insorgono esplicite, fredde, dirette. Perché vedersi dal momento che ci si odia, si chiede Yvan; ciò che ci ha legati per 15 anni non esiste più: è la fine, chiosa Marc.

Ma tra amici – cantava qualcuno – non c’è mai un addio. E il caso del trio in questione non diverge dalla norma. Serge, Marc e Yvan tornano sui propri passi, apprendendo ognuno qualcosa: Marc decide, forse, di smettere di essere il personaggio, le tesi che rappresenta, per ridiventare semplicemente se stesso; Serge capisce di non essere interessato all’arte moderna, e forse nemmeno a Seneca e Paul Valery; e Yvan confessa, per la prima volta, la frustrazione di essere stato per tutta la vita un giullare triste, abbandonato a se stesso, che dopo aver fatto sganasciare dalle risa i suoi amichetti tornava a casa, ascoltava i messaggi della mamma in segreteria telefonica e si sentiva solo al mondo, e ora vende pennarelli al negozietto del suocero.

Serge vuole porre fine alla lite, ricominciare. Chiede un pennarello a Yvan, si avvicina al quadro per imbrattarlo ma non ce la fa; così affida il compito a Marc, che godrà come un riccio nel disegnare una figura naìf sul quadro della discordia, poi ripulito “con un sapone svizzero alla bile di manzo” consigliato da Paula. Ma intanto è tardi, a Serge è tornato l’appetito e si va a mangiare lionese. Un nuovo inizio, come spesso accade.

Il finale sembra presagire una certa qual serenità, ma Yvan si rabbuia al solo sentir parlare di “periodo di prova”. Che razza di idea: troppo razionale. A Yvan viene da piangere: «Tutto ciò che c’è di bello nel mondo non nasce mai da un discorso razionale». Che non stia proprio nello sciatore abbozzato da Marc sulla tela, figlio di non si sa quale intento irrazionale, il senso intrinseco all’intera faccenda? È una questione di prospettiva: potrebbe essere solo un pastrocchio o forse, più sottilmente, qualcosa di esatto e definitivo, come un uomo che attraversa lo spazio e poi scompare. Per sempre.

Grazie a Yasmina Reza, e grazie a questi tre fenomeni che ci hanno tenuto compagnia, allietandoci come da tempo non accadeva, e come in futuro non potrà che avvenire sempre più di rado. Andateli a vedere, gente. Andateli a vedere.

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© 14 Novembre 2011

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