Quel legame che unisce arte e follia
di MZaulovic
Uscire dalla realtà per raccontare il quotidiano
Arte e follia. Un connubio frequente. Si dice che gli artisti vivano in una condizione mentale metafisica, al di là della realtà o meglio al di là di quella di chi vive la quotidianità alla spasmodica ricerca di fare soldi. Spesso gli artisti non vengono definiti “normali”. Molti affermano che per fare arte ci voglia una condizione mentale di quasi follia. Causa o prodotto? È la causa che crea il prodotto. Uscire dalla realtà per molti è follia. Se non ci fosse quel pizzico di follia, come si potrebbe dare visione a cose che nel quotidiano non esistono? E anche se esistono bisogna trasformarle per renderle folli. Nella vita reale ci sono cose e momenti di vita che solo un artista riesce a concretizzare. È proprio quel pizzico di follia che lo distingue e gli permette di fare cose che gli altri non farebbero. Un paradiso di gioia, desiderio, fantasia, una spiritualità fuori dal comune. Follia di vivere.
Cos’è per me in prima persona l’arte? Per la Zaulovic artista, scrittrice, critica d’arte che tocca ogni giorno le dimensioni artistico-creative? L’artista permette al corpo d’immobilizzarsi su un’invisibile lastra di ghiaccio. Il corpo, la colonna vertebrale aderisce al marmoreo piano ghiacciato. Fino al capo: la mente. è così che si anestetizza. Corpo e razionale. Ed emerge il fuoco interno che, finalmente, dopo ripetute doglie di tentativi, partorisce. Partorisce e crea quel sentire così difficile. Non aveva forma fino a poco fa. Ma ora che è uscito ha riscaldato e sciolto ogni ghiacciaio esterno.
Doveroso ricordare Vincent Van Gogh, che più volte fu ricoverato in ospedale per eccessi di follia e poi egli stesso volle farsi internare in una clinica per alienati mentali presso Saint – Remy de Provence. Ma anche Antonio Ligabue, Dalì, Tchaikovsky e molti altri sino ai nostri tempi con la poetessa Alda Merini. Artisti che hanno pagato con la propria vita il prezzo dell’arte. Proprio la Merini, in seguito alla canzone Ti regalerò una rosa di Simone Cristicchi dichiarò: «No, non mi è piaciuta molto. Forse dovrei ringraziare, si parla di matti, di manicomi ed io sono stata rinchiusa per quindici anni. Ma è un territorio di cui non si dovrebbe parlare a ritmo di rap. Capisco il messaggio, mi compiaccio ma il manicomio è illegalità, disperazione, terrore. Una rosa io la vorrei mettere sulla tomba di quelli che non ce l’hanno fatta. A noi sopravvissuti, grazie al fato e a qualcuno che ci ha salvato, non serve altro».
Tutto questo va a toccare un’essenza troppo profonda di cui verbalmente si può scrivere e spiegare ben poco. C’è però un unico messaggio che il mio percorso mi ha insegnato e voglio condividere: non mentire mai dinanzi ad un artista. Ne saresti vergogna e quello rappresenterebbe il vero peccato del Nuovo giorno del Giudizio.
© 9 Novembre 2011