Occupy Trieste: perché merita già il sostegno e la gratitudine di tutti
di PGParovel
Osservatorio: gli Indignati
Il movimento ormai universale degli Indignati (leggi qui) continua a crescere in buona parte del mondo con enormi consensi popolari, tra rete, incontri, manifestazioni e accampamenti cittadini.
Mentre osservatori economici internazionali come l’Economist ed il Financial Times ne accreditano le tesi e ragioni concrete: o si correggono rapidamente le ingiustizie e diseguaglianze sociali crescenti, regolando leggi e mercati, o il sistema attuale incomincerà ad esplodere catastroficamente a catena, dappertutto ed a tutti i livelli.
Un osservatore extraterrestre vedrebbe, insomma, gli Indignati come una manifestazione spontanea di nuova vita intelligente su un pianeta ed in una specie, quella umana, altrimenti avviati ottusamente al rapido disastro economico, demografico ed ambientale. Ed è per questo che l’informazione e la politica responsabili ne discutono con impegno a livello globale.
La politica malsana e l’informazione collusa italiane sono invece tra le eccezioni più eclatanti: non solo parlano del movimento il meno possibile, ma insistono nella sua delegittimazione corale che hanno inscenato ingigantendo i disordini limitati del 18 ottobre a Roma (leggi qui). Tentano di oscurare così il fatto epocale che quel giorno si manifestava pacificamente in quasi mille altre città grandi e piccole di buona parte del mondo, e che le presenze in piazza di cittadini d’ogni categoria ed età stanno aumentando.
Alcuni politici e partiti italiani tentano anche di blandire e cavalcare, in particolare da sinistra, le espressioni locali degli Indignati per non perdere voti, senza capire che le regole del gioco stanno cambiando. Li accusano inoltre di ‘rifiutare la politica’ in sé, di non avere programmi coerenti ma una massa informe di rivendicazioni eterogenee, e di essere perciò inutili, dannosi e addirittura pericolosi per la democrazia. Ma è vero l’esatto contrario.
Perché gli Indignati non rifiutano affatto la politica come gestione pubblica corretta, ma gli abusi e le ingiustizie che la corrompono, e perciò anche i politici e partiti corresponsabili. Hanno inoltre il programma fondamentale più coerente e positivo che si sia mai visto: agire in concreto, senza pregiudizi né schematismi ideologici, per ripristinare la dignità ed i diritti umani dovunque, comunque e da chiunque siano violati. Ed emergono organizzandosi spontaneamente nel momento globale in cui c’è maggior bisogno di loro per cambiare, proclamando People first, not finance: prima i diritti e la vita della gente, e non i meccanismi finanziari parassiti.
Gli accampamenti di protesta e discussione vanno ormai dal celebre ed internazionale Occupy Wall Street a quelli cittadini come qui Occupy Trieste, in piazza Unità ed ora in piazza della Borsa, animato dagli studenti con la solidarietà di tutte le persone che non ne possono più della situazione nazionale e globale, ma anche locale. Perché gli stessi fattori generali di degrado della società e dell’ambiente ai quali ci si ribella nel resto del mondo si concretano anche a Trieste, ed in forme drammatiche.
Dietro apparenze democratiche formali, la città si trova infatti controllata e paralizzata da conventicole politico-economiche trasversali che vivono bene per sé stesse e dei propri intrallazzi parassitari, coperti dal controllo di fatto della politica e dell’informazione locale. Che usano perciò anche per conservare questo potere illegittimo impedendo tutte le azioni urgenti per fermare ed invertire veramente il declino della città che impoverisce in misura sempre più devastante i cittadini, e per sbloccare le risorse necessarie a soccorrere efficacemente quelli che si trovano già in miseria incombente o consolidata.
Eppure le dimensioni e la natura economica del problema sono note ed evidenti quanto altrove: mancanza generale di lavoro per i giovani e gli adulti attivi, aumenti del costo della vita, retribuzioni e pensioni ordinarie da fame. Ma qui tutto questo è forse ancora più indegno e paradossale che altrove, perché gli strumenti per rimediare presto e bene ci sono.
Trieste ha infatti la fortuna di avere ancora uno strumento straordinario attivabile per creare rapidamente lavoro diretto ed indiretto per tutti: il porto, col suo privilegio di Porto Franco internazionale. Che funziona al minimo soltanto perché continua, da decenni, a venire strangolato scandalosamente da politiche portuali italiane ostili e da speculazioni locali parassite e truffe spudorate (leggi qui), mentre gli altri porti adriatici, mediterranei ed europei prosperano, ed ancor meglio i porti e le zone franchi. Difenderlo e riattivarlo è perciò una delle due battaglie civili decisive da avviare subito, e con la massima energìa (leggi qui).
E non è affatto vero che qui manchi il denaro pubblico per sostenere intanto i poveri. Perché basta toglierlo all’enormità sproporzionata di spese politico-istituzionali clientelari, superflue, rinviabili o comunque secondarie ai doveri giuridici primari dell’assistenza sociale ed umanitaria. Che viene cioè prima degli sfizi dei soliti privilegiati politici ed economici, e delle spartizioni tra loro di benefici, consulenze, appalti e quant’altro, mentre c’è tanta gente, e di tutte le categorie, che rischia di finire od è già ridotta alla disperazione ed alla fame. E questa è l’altra battaglia civile decisiva da iniziare immediatamente.
A Trieste dunque gli strumenti economici per rimediare al disastro oltre ad esistere sono sotto gli occhi di tutti, ma rimangono sequestrati da un intero sistema parassitico che qui non è astratto come altrove, perché ha referenti concreti in persone, ruoli, partiti e congreghe ben noti per le loro corresponsabilità attive e passive.
È, ad esempio, un progresso umanitario concreto che gli studenti accampati di Occupy Trieste abbiano chiesto ed ottenuto dal neosindaco Cosolini l’impegno ad imporre all’azienda di servizi AcegasAps, di proprietà comunale, almeno una moratoria invernale dei distacchi di elettricità, gas ed acqua alle persone e famiglie povere che non riescono a pagarla. E che il Comune stesso ha l’obbligo istituzionale di soccorrere economicamente (oltre che di risanare la gestione da ben altri ed abnormi passivi: leggi qui). Ma ci si deve anche chiedere perché partiti, sindacati ed amministratori comunali di tutti i colori politici non avevano ancora imposto di loro iniziativa un provvedimento così semplice ed ovvio.
E non solo: poiché sono stato anche tra i commissari consiliari all’assistenza più attivi (e d’opposizione indipendente) del Comune di Trieste dal 1982 al 1988, posso testimoniare personalmente che lo si chiedeva invano da almeno trent’anni, proprio non infliggere ai più deboli sofferenze ingiuste e sproporzionate per piccoli debiti sanabili anche in via preventiva con i nostri stessi sussidi. Mentre la ‘nostra’ stessa azienda ne lasciava accumulare impunemente già allora di enormi a particolari imprese, e ad enti pubblici che secondo informazioni in verifica sarebbero attualmente esposti per circa un milione di euro. Chi risponderà dunque, e come, delle sofferenze inutili inferte così per decenni ad innumerevoli disoccupati, anziani malati, famiglie con bambini piccoli?
Occorre allora scendere in piazza da semplici cittadini indignati, per far capire con civile fermezza a tutti coloro che pretendano di governarci che non intendiamo tollerare più abusi, e che vogliamo controllare e condizionare attivamente secondo democrazia e Costituzione i poteri pubblici con la partecipazione diretta, oltre che col voto?
La risposta è evidente: sì. Ed è proprio per questo coraggio esemplare di metodo che gli animatori spontanei di Occupy Trieste, studenti e non, al di là di ogni discussione di dettaglio, meritano già l’appoggio e la gratitudine di tutti i cittadini indignati. E se non raggiungiamo forse ancora il 99% proclamato, ci stiamo arrivando molto rapidamente.
Paolo G. Parovel
© 5 Novembre 2011