La Voce di Trieste

Scandalo internazionale sul Porto Franco di Trieste: notificata inchiesta-denuncia al Prefetto, le prime reazioni

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Inchieste di attualità

Qualche giorno fa uno degli analisti internazionali qualificati che seguono il Sud Est Europa, e con esso anche i problemi dell’Adriatico orientale, annotava su Trieste (traduciamo) «Non è normale che dopo il 1991 una città e un porto franco internazionale in quella posizione, con quei privilegi fiscali e doganali, non esplodano di lavoro. Invece non si sa quasi più che esistono. Il collasso funzionale di Trieste blocca un asse di traffico importante e non sostituibile per i processi di stabilizzazione dei Balcani attraverso il loro aggancio all’Europa Centrale. I porti di Koper e Rijeka non bastano. Occorre fare qualcosa.»

Ha ragione. E si dovrebbe aggiungere che il collasso non è spontaneo, dura da tempo e vìola scandalosamente obblighi specifici dello Stato italiano nei confronti di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, oltre che di quelli dell’Unione Europea. Obblighi internazionali che sono stati posti anche sotto garanzia diretta degli Stati Uniti e del Regno Unito con l’apposito Memorandum of understanding di Londra del 1954, tra le condizioni vincolanti per l’amministrazione e poi la sovranità (dal 1975) dello Stato italiano su Trieste.

Chi può e vuole fare autorevolmente quel ‘qualcosa’ (something) dovrebbe perciò dire chiaro ai poteri ufficiali ed ufficiosi di Roma che, oltre a smetterla con le politiche estere anomale nella regione, devono sbloccare e sviluppare il porto di Trieste in collaborazione internazionale. Cioè in parallelo con l’adiacente porto sloveno Koper-Capodistria, investendo sull’asse ferroviario Lubiana-Maribor-Graz, da potenziare. E questo va detto anche a Bruxelles.

Ma presto, perché incombe un nuovo scandalo nello scandalo: strutture essenziali di questo «asse di traffico importante e non sostituibile» collassato, che dovrebbero ospitare e trasformare legalmente di nuovo le merci internazionali, rischiano di venire occupate illegalmente da speculazioni edilizie parassite. Quelle tipiche del sistema italiano, in simbiosi con i circuiti della bassa politica, e spesso delle corruzioni. Contro le quali inoltre non è mai facile resistere a livello locale con le sole forze della ragione e della società civile, come stiamo facendo noi.

La partita decisiva si sta infatti giocando adesso, contro un pesante tentativo illecito di togliere al Porto Franco l’area attrezzata essenziale del Punto Franco Nord (cosiddetto ‘porto vecchio’) consegnandola alla speculazione edilizia ed immobiliare ordinaria. Con la politica del fatto compiuto all’italiana, che consiste nel violare il diritto interno ed internazionale coprendo le violazioni con campagne di disinformazione passiva (censura) ed attiva (propaganda) sui media locali e nazionali. Una tecnica d’inganno che funziona perché in Italia la stampa nazionale totalmente libera è quasi inesistente, mentre quella estera non riesce ad influire ed è spesso disattenta.

Il caso di Trieste è davvero paradossale: quest’area extradoganale attrezzata maggiore (70 ettari) del suo Porto Franco internazionale per il deposito e la lavorazione delle merci varie ? uno strumento di lavoro portuale essenziale ed intoccabile per accordi internazionali ? è stata svuotata gradualmente per farla credere inutile, urbanizzarla con provvedimenti amministrativi locali e darla in concessione per 70 anni ? in pratica per sempre ?ad un apposito gruppo di grossi costruttori edili, tentando di eludere i vincoli internazionali che vietano opere, attività ed accessi estranei a quelli del Porto Franco.

Il che equivale ad organizzare la compravendita di un bene indisponibile e pretendere anche di violarne la destinazione di legge: dunque una doppia truffa. Ed un’operazione che qui ha anche il favore totale dei media, fuorché noi, con capofila il quotidiano monopolista locale Il Piccolo (gruppo Espresso). Che ha sinora propagandato paradossalmente l’operazione di rapina sul porto come se fosse un regalo alla città, evitando di evidenziarne adeguatamente la natura illecita e le opposizioni, e sollecitando invece a sostegno continuo dell’inganno un coro surreale di personaggi coinvolti o disinformati.

Ma la nostra Voce non è affatto isolata, perché sul porto la gran parte dei triestini la pensa come noi, ed ha smesso da tempo di credere sia a quel quotidiano che alla classe dirigente locale. Abbiamo già oltre 13mila lettori, e cliccando qui ognuno può accedere all’intera serie delle nostre analisi e denunce stampa su questo scandalo pubblico.

Legge, ragione e buona economia sono dalla nostra parte, i poteri economici e politici deteriori dall’altra. Per questo l’A.L.I. – Associazione Libera Informazione, che edita la Voce, oltre all’informazione pubblica sta organizzando anche azioni concrete sul piano del diritto, che vanno ad aggiungersi a quelle della storica e benemerita Associazione Porto Franco Internazionale di Trieste.

La truffa è infatti arrivata alla fase decisiva in cui per esercitare la concessione illegittima sull’area occorre farvi sospendere il regime di Porto Franco, e questo non è legalmente possibile. Le sole sospensioni ammesse sono infatti quelle momentanee e circoscritte che il Commissario del Governo nella Regione Friuli Venezia Giulia (il Prefetto di Trieste) può decretare in via eccezionale per provate emergenze di sicurezza. E quel Punto franco non può essere nemmeno trasferito, perché occorrerebbe un sito con spazi ed attrezzature (banchine, dighe, magazzini, rotaie) equivalenti o superiori, che non esiste.

I corresponsabili della frode hanno perciò preconcertato, e pure dichiarano, di tentare la  soluzione del problema forzando la legalità con forti pressioni politiche e di stampa su Autorità dello Stato ed opinione pubblica per ottenere una serie continua di sospensioni temporanee arbitrarie e parziali, da consolidare poi in una sospensione generale permanente per tutti i 70 anni della concessione illegittima. Cioè per sempre.

Il 6 giugno di quest’anno la società concessionaria (“Portocittà”) ha chiesto così sotto motivazione falsa e per una mostra d’arte raffazzonata di cinque mesi, e già in lavoro una prima sospensione arbitraria di due anni (leggi qui) con apertura di varchi stradali perciò abusivi nella cinta doganale, dichiarando pure di considerarli definitivi. Ma il Commissario del Governo – Prefetto gliel’ha concessa egualmente, e pure retroattiva, anche se l’ha limitata prudenzialmente alla durata della mostra: dal 20 giugno al 30 novembre 2011.

Ed in vista della scadenza beneficiari e sostenitori (anche istituzionali) hanno aumentato di giorno in giorno le pressioni politiche e di stampa per chiedere proroghe o nuove sospensioni illegittime, avanzando ogni possibile pretesto ricreativo accattivante: arte, musica, teatro, scienza, convegni, musei, acquari, colibrì, passeggiate, e così via, in un crescendo di pagine entusiastiche del Piccolo dedicate a magnificare l’operazione per chi ne ignora natura e retroscena reali. Il tutto nell’evidente  presupposto che dalla società civile non arrivi nessuna opposizione efficace.

La mattina di venerdì 14 ottobre l’A.L.I. ha perciò notificato formalmente tramite ufficiale giudiziario al Commissario del Governo e Prefetto di Trieste un’apposita inchiesta e denuncia analitica, che documenta la frode e verrà ora depositata come esposto anche alla Procura della Repubblica ed alla Procura della Corte dei Conti, pubblicata sulla Voce e trasformata in ricorso urgente alla Commissione Europea.

Poco dopo la notifica l’intera ‘cupola’ dell’operazione era in allarme rosso. E già la mattina di sabato 15 Il Piccolo ha titolato a piena pagina «Il Porto Vecchio rischia di tornare inaccessibile» spiegandone i motivi senza menzionare l’atto notificato, ma forse per la prima volta con buon equilibrio di cronaca e di spirito sull’impasse giuridica palesemente insormontabile. A centro pagina campeggiava però un breve proclama tracotante e minaccioso in neretto, che in assenza in assenza di firma dobbiamo attribuire alla direzione del quotidiano.

Esordisce rilanciando le retoriche ingannevoli sul “muro” (extradoganale) abbattuto dall’arte “liberando” e “restituendo” alla città un’area meravigliosa prima proibita dello “scalo antico”, dichiara che la scadenza del 30 novembre è da “superare d’un balzo” (?!) e conclude intimando che il ripristino della la cinta doganale di Porto franco è “un fatto che non deve accadere. Né prima, né dopo il 30 novembre”. Nello stile dei ‘bravi’ manzoniani, e come se la legalità fosse un dettaglio secondario.

In sostanza, la direzione del Piccolo ha pubblicato un invito perentorio a violare la legalità per imporre alle Autorità dello Stato ed ai cittadini un’operazione che sottrarrebbe illecitamente alla città in crisi una risorsa attivabile straordinaria di lavoro portuale, consegnandola alle speculazioni edilizie, immobiliari e finanziarie di pochi. E siccome il per altro bravo direttore responsabile Paolo Possamai nel suo ruolo non può non saperlo, pensiamo che ne debba serie spiegazioni, e non solo a noi.

Dopo l’intimazione minacciosa il quotidiano ha inoltre rafforzato l’attività di propaganda dell’operazione. Coinvolgendo anche il nuovo sindaco di Trieste, Roberto Cosolini, che malgrado buoni esordi su una quantità di altri problemi, sulla difesa fondamentale del Porto Franco per il futuro della città non ha purtroppo ancora mostrato la prudenza né le cognizioni necessarie.

Va anche detto che questo scandalo multiplo ? politico, amministrativo, speculativo e mediatico ? ed internazionale sul Porto Franco dimostra perfettamente quanto sia necessaria anche a Trieste un’informazione davvero indipendente, come la nostra, per spezzare il monopolio dei media ‘di sistema’ su cui prosperano troppi malaffari.

Col progredire delle battaglie avremo però bisogno crescente dell’attenzione e del sostegno solidale attivo dei lettori, anche perché, come si legge nell’appello qui a fianco, stiamo lavorando per affiancare alla Voce in rete un’edizione periodica a stampa che raggiunga tutte le categorie di cittadini. E malgrado gli entusiasmi, e le nostre scelte spartane, non è sforzo da poco.

 

Paolo G. Parovel

© 17 Ottobre 2011

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