La Voce di Trieste

Perché Berlusconi rischia attentati

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Analisi politica

Le troppe ipocrisie della politica italiana rimproverano indignate allo schietto leader politico ed ex magistrato inquirente Antonio Di Pietro di aver denunciato all’opinione pubblica un altro rischio incombente evidentissimo di cui non si vuol parlare: nel Paese in crisi sta esplodendo la rivolta sociale, ed occorre mandare a casa l’inetto e dannoso governo Berlusconi «prima che ci scappi il morto».

In realtà è da tempo che la somma micidiale tra crisi economica complessiva e malgoverno nazionale sta facendo morti, solitari e nella disperazione, tra la povera gente. Ed è ovvio che ne possa fare altri in manifestazioni di piazza incontrollabili. Ma la possibilità che gli addetti ai lavori conoscono meglio e temono di più (e di cui significativamente si scrive meno) è  quella di nuove strategìe della tensione.

Cioè di incidenti ed attentati organizzati da poteri trasversali, italiani e non, per loro progetti illeciti sugli equilibri politici ed economici del Paese e dell’Unione Europea. Ed ora non soltanto con i metodi e sugli obiettivi classici. Perché quanto più Berlusconi si dimostra screditato e rovinoso per il suo Paese ma rifiuta di dimettersi doverosamente da capo del governo, tanto più aumenta il suo valore come nuovo obiettivo possibile. E soprattutto per mani ‘amiche’.

L’autonomia dell’ascesa finanziaria e poi politica di Berlusconi è sempre stata infatti un’illusione ottica: dietro sue capacità personali confermate ora mediocri dalla crisi c’è sempre stato il potente tessuto d’interessi e mezzi  dei poteri ‘trasversali’ italiani. Dai capitali d’inizio ignoti alla crescita abnorme favorita dal vecchio sistema di corruzione politica ed istituzionale, sino alla ‘missione’ di rimediarne la demolizione sostituendolo con un regime di corruzioni nuovo, stabilizzato da nuove connivenze – attive e passive – trasversali sia alla politica che alle istituzioni.

È durata quasi vent’anni, ma ormai gli eccessi di sregolatezza ed incapacità dell’incaricato e dei suoi sottoposti rischiano di affondare nuovamente nel fango il potere informale ma concretissimo e lucroso di quei padroni. Che è logico possano valutare perciò anche la possibilità, se Berlusconi insiste, di riutilizzarlo col metodo storico collaudato del convertire il problema in rendita, trasformando un irrecuperabile dannoso in martire di bandiera.

Dio non voglia, e gli apparati di sicurezza e di giustizia del Paese e dei suoi alleati esistono per impedire e prevenire anche questo genere di crimini. Ma finché Berlusconi non si ritira, e meglio se per un po’ lontano dall’Italia, questo rischio continuerà a crescere.

 

Paolo G. Parovel

© 23 Settembre 2011

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