La Voce di Trieste

Trieste: il caso Malnati – Moncini tra politica, morale e diritto

di

Inchiesta – Chiesa e società

L’opinione pubblica triestina è agitata in questi giorni da un caso politico, morale e giuridico complesso attorno a due personalità locali diversamente tormentate: un sacerdote cattolico politicizzato ed ora vicario vescovile, don Ettore Malnati, ed un volontario sociale con trascorsi di pedofilìa, Alessandro Moncini.

 

Il primo ha sostenuto con clamore di stampa che si doveva impedire la partecipazione del secondo ad una festa pubblica rionale del volontariato dove vi erano anche iniziative per bambini, ed ha attaccato per la sua presenza gli ambienti promotori ecclesiali e quelli sociali e politici di centrosinistra.

Il quotidiano locale il Piccolo ha pompato il caso nei testi e nelle foto, Malnati alle prime reazioni  ha tentato di negare lo scopo politico, il vescovo ha coperto lui, le istituzioni si sono schermite e la gente è rimasta emotivamente scossa e divisa nella conseguente confusione tra le implicazioni morali, giuridiche e politiche dei fatti, mentre il caso si estende a media nazionali.

La questione è inoltre molto più seria di quanto possa sembrare, perché porta ad una contrapposizione irrazionale di giudizi sommari che è dannosa in quanto tale e copre tutto un retroscena pluridecennale più ampio, taciuto ed inquietante. Vediamo dunque di ragionarne assieme, alla luce di considerazioni ed informazioni che in parte non erano state mai pubblicate per i troppi timori e le troppe ipocrisie cui è stata condizionata questa città. Scusate se perciò l’analisi sarà impegnativa, e non breve.

I due protagonisti

 

Alessandro Moncini è un imprenditore che è stato protagonista ventidue anni fa, nel 1988, di una vicenda devastante di pedofilìa fra Trieste e gli USA, scontandone la pena di un anno e un giorno di reclusione. Dopo la quale è rientrato dedicandosi da cittadino libero a riscattare la propria vita con l’attività nel volontariato a soccorso dei più poveri e derelitti. Gli rimane perciò addosso il peso pubblico ed interiore di quei fatti passati, ma accompagnato dal riconoscimento sociale del suo impegno benefico successivo.

Ettore Malnati è sacerdote impegnato in teologia, ma anche in politica come sostenitore pubblico e referente religioso di ambienti e tesi della destra di confine. Che è purtroppo connotata dai disvalori anticristiani del nazionalismo e dell’intolleranza, oltre che da confusione spirituale fra tradizionalismo e tradizione, inquisizione e ricerca. La Curia tergestina l’ha perciò confinato politicamente a lungo in un’enclave su misura, vista perciò da alcuni come una sorta di ‘cappellanìa nera’. Ma ora è stato scelto come braccio destro e vicario per il laicato e la cultura dal nuovo vescovo Crepaldi, anch’egli discusso perché si è mostrato consenziente e promotore elettorale della destra politica (leggi qui una nostra analisi precedente).

Che cos‘è la pedofilìa

 

La pedofilìa, cioè la deviazione della sessualità adulta verso bambini e giovani immaturi, è una patologia psichica potenzialmente devastante per portatori e vittime, e sembra connessa a modificazioni della funzionalità cerebrale, spontanee od indotte da traumi, che inibiscono in vario grado l’affettività e l’istinto protettivo verso i piccoli della specie, e vi ridirigono istinti sessuali.

Può dar luogo perciò, se non curata adeguatamente, a crimini di molestia ed abuso diretti o mediati (attraverso la produzione ed il commercio di materiali pedopornografici) recando alle vittime in età di formazione traumi psicofisici gravi o gravissimi, ed a omicidi. Vi sono tuttavìa casi di soggetti non affetti da pedofilìa che commettono gli stessi crimini, e soggetti pedofili che non hanno comportamenti illeciti.

Il profilo morale e giuridico del caso

 

Nel caso in esame il soggetto era indubbiamente affetto da pedofilìa, espressa in forma ossessiva  dalla raccolta compulsiva di immagini e video illeciti emersa con le perquisizioni, anche se la compensava psicologicamente con attività a favore dell’infanzia.

Ad un certo punto si era lasciato indurre da organizzazioni criminali statunitensi a progettare di compiere atti concreti gravissimi, la cui possibilità venne sventata in tempo dall’FBI. Processo e condanna conseguenti dell’arrestato italiano riguardarono perciò soltanto il traffico di materiale pedopornografico con gli USA, e la pena venne attenuata per effetto di 36 affidavit, dichiarazioni scritte, sulla sua buona fama e condotta da parte di notabili triestini, inclusi politici, un magistrato ed il vescovo (leggi qui).

All’ovvia esecrazione assoluta per i comportamenti passati dell’arrestato, noti da allora attraverso i contenuti sconvolgenti delle intercettazioni, fanno ora fronte sotto il profilo morale la condizione patologica d’origine più i successivi vent’anni di impegno sociale positivo, e sotto il profilo giuridico il fatto che il suo debito formale con la giustizia è stato assolto. Ad oggi non risulta esservi inoltre motivo di ritenere che egli possa ripetere quei comportamenti criminosi, e nei suoi confronti non vi sono provvedimenti restrittivi né della libertà di movimento, né di frequentazioni pubbliche o private.

Dunque dal punto di vista morale, ed in particolare cristiano, siamo di fronte ad un soggetto pentito che svolge attività di riscatto, e dal punto di vista giuridico ad un cittadino libero che come tale non può venir limitato arbitrariamente nei movimenti, e partecipava alla festa rionale quale referente di associazioni del volontariato organizzatrici.

Ne discende che in realtà la pretesa ufficiale di don Malnati che gli dovesse venire precluso d’autorità l’accesso alla festa, significando ignominia pubblica e sospetto che potesse far del male a bambini partecipanti, non è stata in sé gesto morale né virtuoso, e tantomeno legittimo, ma un tentativo di prevaricazione inquisitoria moralmente e giuridicamente illecito, oltre che oltraggioso, e dannoso anche nei confronti dell’opinione pubblica allarmata. Ha scatenato inoltre clamori sociali e discussioni che possono turbare inutilmente anche l’ambiente dei bambini coinvolti.

Il profilo politico: le due anime della Chiesa tergestina

 

Quanto alla natura politica del caso suscitato dal Malnati, nonostante apprezzabili smentite è evidente nei fatti e nei suoi comportamenti pubblici. Le sue accese pronunce politiche pubbliche contro il centrosinistra ed a favore della destra nazionalista di confine, pure con toni antisloveni ed anticroati, continuano da più di trent’anni: dal Trattato di Osimo (1975) sino a tempi recenti (leggi qui). E rappresentano in realtà una delle due anime in cui si divide la Chiesa tergestina.

La diocesi di Trieste includeva infatti dal 5° secolo al 1947 vasti territori di lingua italiana, slovena e croata, poi ridotti alle prime due. Vi troviamo perciò un’anima e tradizione sovrannazionale ed apolitica, legittima per dottrina e storia, che non discriminava alcuna sua componente ma le difendeva tutte da persecuzioni settarie (come fece dal 1501 al 1546 il vescovo Pietro Bonomo) e poi nazionaliste e totalitarie. Ed è stata perciò anche perseguitata, sia nei sacerdoti che nelle figure di vescovi tergestini aperti e coraggiosi come Andrej Karlin (1911-19), Luigi Fogàr (1923-36) ed in anni recenti (1977-96) Lorenzo Bellomi, che finì per morirne di crepacuore.

Ma c’è anche un’anima politica moderna, nazionalista, sostanzialmente filofascista e poi  revanscista, che si è invece radicata nei 37 anni di mandato del discusso vescovo Antonio Santin, insediato nel 1938 col gradimento di Mussolini che aveva fatto perseguitare ferocemente sino a rimozione il limpido e tenace Fogàr. Santin poté venir pensionato appena nel 1975, quando giunse a fomentare l’opposizione nazionalista alla regolazione definitiva dei contenziosi territoriali su Trieste col Trattato di Osimo. Don Malnati è stato appunto l’ultimo segretario di Santin, e ne è rimasto l’apologeta, il biografo e l’erede politico.

Quell’anima nazionalista spuria ha imposto per settant’anni alla Chiesa tergestina faziosità politiche e discriminazioni inammissibili. Tanto da ricordare tuttora i sacerdoti e vescovi perseguitati di lingua italiana, ma non di quelli di lingua slovena e croata od antinazionalisti. Ha inoltre preteso una santificazione del Santin e fatto ai suoi successori equanimi, ed in particolare a Bellomi che aprì onestamente ai fedeli di lingua slovena, una guerra interna spietata, in convergenza con quella esterna che facevano loro le organizzazioni nazionaliste laiche.

Le mascalzonate contro contro Bellomi andarono così dalle denunce infamanti sino ad una bomba-carta nella cattedrale di San Giusto perché vi aveva formulato gli auguri di Natale anche in sloveno. Vi furono ostilità persino verso Papa Giovanni Paolo II in visita a Trieste, perché ‘slavo’. E chiunque osasse denunciare o ricordare tutto questo, dentro e fuori la Chiesa, veniva puntualmente censurato come eretico, antiitaliano o nemico (invece che amico) della Chiesa. Dalla quale tutti questi fanatismi e prevaricazioni hanno anche allontanato molte più anime oneste di quante non ne possano aver attratte.

Con Bellomi ed i suoi successori quella frazione politica aberrante è tuttavìa divenuta gradualmente minoranza. Ma ora il Crepaldi, paracadutato vescovo di Trieste senza conoscerne le verità complesse, la resuscita pretendendo di imporla sulla tradizione millenaria legittima della Chiesa tergestina in nome dell’obbedienza.

Lasciando inoltre mano evidentemente libera e coperta a don Malnati anche nelle iniziative più inopportune. Come segnala proprio quest’esibizione politica scomposta di pretesa virtù esterna su un singolo vecchio caso di un male che è invece attuale, e sta scuotendo per prima la Chiesa dall’interno con episodi innumerevoli. Che consigliano ben più prudente attenzione anche a Trieste.

Questo genere di orientamento del vescovo Crepaldi non ha inoltre nemmeno le possibili giustificazioni d’ambiente storico dell’operato di Santin, che fu obiettivamente condizionato dal fascismo, dal collaborazionismo e dal nazionalismo di Stato. Oggi è solo una regressione politica ed ingiustificabile a danno di Trieste e della Chiesa, mentre tutt’intorno progredisce la costruzione di una nuova Europa di apertura dei confini, delle menti e delle anime, che qui incomincia col ritrovare le fraternità fra italiani, sloveni e croati.

Retroscena e dubbi irrisolti

 

L’incautela dell’attacco politico di don Malnati col pretesto Moncini riapre inoltre riflessioni molto serie su retroscena e dubbi irrisolti od insabbiati del problema pedofilìa a Trieste. Che va ben oltre quel caso personale di vent’anni fa, perché è rappresentato da fatti ed interrogativi sempre attuali su aspetti importanti dei poteri laici, della politica e della Chiesa locali.

Già allora provenivano infatti dagli ambienti investigativi triestini voci su giri di prostituzione minorile etero- ed omosessuale, in particolare con preadolescenti portati dalla Jugoslavia ormai in crisi e poi in guerra, dei quali avrebbe approfittato una clientela segreta di personaggi della Trieste bene. Ma anche su ulteriori giri, abitudini e viaggi di alcuni di costoro. Vi accennò persino una rivista nazionale, e qualcuno dei protagonisti stessi si lasciava anche andare a ciniche vanterìe.

Si diceva inoltre che il tutto finisse regolarmente insabbiato perché da sempre i risultati di indagini compromettenti su quel genere di persone non andavano alla Magistratura, ma all’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni, ed a suoi succedanei dopo che venne soppresso ufficialmente nel 1984. Dove queste ed altre malefatte rimanevano coperte a tempo indeterminato per proteggere, controllare o ricattare i colpevoli. E tantopiù in zona di confine.

Fu inoltre una sorpresa assoluta, all’epoca, che quei 36 notabili triestini di vario ruolo, genere di persone solitamente più che restio ad esporsi anche per cause minime, avessero invece rischiato improvvisamente reputazione e carriere firmando gli affidavit a discarico di Moncini in una vicenda tanto infamante, e nel momento in cui l’indignazione pubblica in città era al culmine.

Nei medesimi ambienti investigativi correvano perciò ovvie domande ed ipotesi anche sulle possibili motivazioni di ognuno dei firmatari: amicizie strettissime, pietà cristiana, solidarietà massoniche (se ne erano trovate insegne perquisendo la casa dell’arrestato) od anche ricattabilità personali di qualche genere (pareva che durante la perquisizione fossero spariti documenti non inventariati).

Vent’anni dopo quelle domande sono ancora senza risposta, almeno ufficiale, anche se per il vescovo Bellomi ed altri sembra esser stata decisiva la previsione realistica che, dato il genere di incriminazione, l’indagato rischiasse di finire ucciso in carcere da altri detenuti.

Ma il caso Moncini venne anche utilizzato dagli ambienti nazionalisti fuori e dentro la Chiesa per montare contro Bellomi l’attacco più infame cui sia mai stato sottoposto. Dopo che venne impietosito e convinto a redigere l’affidavit, misero infatti in giro la voce falsa che vi era stato costretto perché pedofilo anche lui. Le voci venivano accreditate e diffuse in particolare da personaggi del PSI craxiano e della destra ‘cattolica’, arrivarono in Vaticano denunce anonime, seguirono  ispezioni. Ed il vescovo venne salvato solo per l’azione autorevole di un piccolo gruppo di amici (civili e militari) onesti e coraggiosi, di alcuni dei quali neppure sapeva.

Conclusioni

 

Si può dunque constatare una volta di più che le verità su Trieste ufficialmente sommerse, anche se note a molti, sono sempre molto differenti dalle apparenze di superficie disegnate dalla stampa sotto padrone ed agitate dai teatrini politici.

E questo significa che chi non vuole farsi manovrare da costoro deve badare sempre ad essere tanto più razionale e prudente nei giudizi, quanto più delicati sono i problemi. Come appunto nel caso Malnati – Moncini.

Paolo G. Parovel

© 14 Settembre 2011

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