La linea editoriale del Piccolo tra ossequio ai poteri e raccolte di firme su iniziative retoriche
di Direttore
Editoriale
Noi siamo un giornale indipendente ed al di sopra delle parti politiche, forse il solo davvero tale a Trieste, che ha tutti i vantaggi ed i limiti dell’uscire per il momento solo in rete.
Ma seguìto e non trascurabile, dato che in soli sette mesi d’esistenza (dal 22 gennaio) abbiamo già l’attenzione di oltre 13.000 lettori con più di 90.000 pagine lette, ed i nostri articoli vengono ripresi da Google in giornata.
Ma non possiamo certo competere ancora con l’influenza diffusa e consolidata del quotidiano monopolista locale Il Piccolo, che nonostante forti cali di vendita ? sarebbe ora sulle 30.000 copie dal doppio di un tempo ? rimane arbitro di ciò che la gran parte dei triestini deve e può sapere o meno, e del come. La gente lo chiama criticamente da sempre ‘il bugiardello’ ma finisce per lasciarsene influenzare lo stesso, mentre il quotidiano di lingua slovena Primorski dnevnik è del tutto marginale.
Il monopolio del Piccolo esercita perciò un potere determinante di accendere e spegnere a discrezione notizie, memorie, persone, verità, che lo rende corresponsabile primario delle sorti di Trieste e della zona di confine. E chi conosce la storia dell’informazione in queste terre sa bene che quella del Piccolo non è purtroppo la vicenda paciosa, bonaria e ‘triestina’ che tenta di accreditare nelle frequenti lodi si sé stesso.
È sopravvissuto infatti agli altri quotidiani triestini (ultimo il valoroso Corriere di Trieste) non per indipendenza, ma al contrario perché è sempre stato il portavoce ossequioso dei poteri locali e romani di turno. Dal nazionalismo irredentista, minoritario sino al 1918, a quello dominante da allora attraverso l’occupazione militare, il fascismo, le leggi razziali, il collaborazionismo, le politiche dei servizi dopo il 1945 ed il neoirredentismo varato negli anni ’90. Con i relativi sistemi di clientele e corruzioni protette che si sono autoperpetuati nelle strutture istituzionali ed economiche di Trieste parassitandola ed asfissiandola a tutt’oggi.
Come già scritto, e sia ben chiaro, sono responsabilità che non appartengono a coloro che hanno lavorato o lavorano al Piccolo soffrendo moralmente e professionalmente quanto la gran parte dei lettori questa situazione di monopolio fazioso, ma alla proprietà che nel tempo ha dettato ed imposto la linea editoriale del quotidiano.
Proprietà che in oltre un secolo dal fondatore Teodoro Mayer, sostenitore opportunista dell’irredentismo finanziato dai servizi italiani nella Trieste austriaca, è passata per discriminazione razziale all’amico fraterno di Mussolini Rino Alessi, e da lui nel dopoguerra al figlio Chino; poi da questi al gruppo Rizzoli (il solo a migliorare il giornale, con le direzioni Ceschia e Berti), quindi alla catena di destra Monti ed infine al gruppo L’Espresso – Repubblica, che ha profili noti di centrosinistra e di giornalismo d’inchiesta.
Ma la destra di potere triestina ha compensato questa connotazione ‘pericolosa’ del gruppo acquistandone quote azionarie sufficienti a condizionare la linea editoriale del Piccolo, sulla quale hanno continuato ad influire visibilmente anche il Ministero degli esteri ed altri uffici romani di governo e di Stato variamente intriganti ed irresponsabili.
Questa è la spiegazione del fatto, così sconcertante per i lettori, che sul quotidiano convivano ora linee innovative di apertura europea e vecchie propagande nazionaliste coltivate da destra e da sinistra, articoli d’inchiesta sporadici e coperture costanti di malaffari ed incapacità scandalosi dei poteri locali.
Come pure già scritto, le due evidenze attuali maggiori sono la campagna propagandistica sfacciata del giornale in appoggio alla speculazione edilizia ed immobiliare illecita sul Porto Franco Nord (portovecchio), ed i silenzi sul passivo mostruoso da quasi mezzo miliardo di euro ? mille miliardi di vecchie lire ? accumulato dalla gestione Paniccia-Dipiazza dell’azienda di servizi comunali AcegasAps. Ma l’elenco potrebbe essere assai più lungo.
Includendovi anche la pretesa recentissima dello stesso giornale, così compromissorio verso i poteri, di atteggiarsi retoricamente a paladino del popolo con una campagna di raccolta firme per dimezzare a risparmio di denaro pubblico il numero e le retribuzioni dei consiglieri regionali.
Come se questo provvedimento bastasse a risolvere e coprire tutto il resto dei malaffari locali, e se nella sua linearità apparente non nascondesse anche un principio di antidemocrazia straordinariamente pericoloso.
Ridurre drasticamente i compensi e privilegi scandalosi dei consiglieri regionali (come dei parlamentari) sarebbe infatti più che giusto, e per denunciarlo non si è aspettato certo che si svegliasse il Piccolo. Ma la sua campagna firme dovrebbe limitarsi a quest’obiettivo.
Perché col numero dei consiglieri si dimezzerebbe anche la possibilità di rappresentanza politica dei cittadini, azzerando quella dei settori minoritari per opinione o nazionalità. Che per quest’ultimi è anche vincolata qui come in Südtirol a strumenti internazionali intangibili, con buona pace del Piccolo. E si finirebbe per trasformare il consiglio regionale in un’oligarchia rappresentativa di quelle stesse lobby di potere dalle quali le assemblee elettive dovrebbero invece difendere la collettività.
Lo stesso vale per tutti gli organi rappresentativi, dai consigli circoscrizionali sino al Parlamento, passando pure per le Province: i loro costi morti non si riducono tagliando il numero dei rappresentanti del popolo ma le loro retribuzioni eccessive, scegliendoli meglio con una legge elettorale nuova e democratica, e facendoli lavorare seriamente sotto la vigilanza continua dei cittadini e di un giornalismo d’inchiesta attento, tenace e coraggioso.
Molto diverso, dunque, da quello espresso dalla linea editoriale del Piccolo, la cui raccolta di firme risulta perciò anche assai magra rispetto al peso ed alle vanterìe promozionali dello stesso giornale. Se qualche migliaio di cittadini hanno aderito subito per entusiasmo, i più sembrano quindi riflettere meglio sulla cosa. E questo è almeno un segno di speranza per la città.
Occorre piuttosto fornire anche da Trieste e d’urgenza, prima del 30 settembre, le firme necessarie al referendum abrogativo della scandalosa legge elettorale in vigore (ideata dal ministro Calderoli e definita pubblicamente da lui stesso “una porcata”) che ha paralizzato dal 2005 la democrazia italiana sottraendo ai cittadini la designazione dei parlamentari per consegnarla ai segretari di partito. Abolirla è il primo passo per poter incominciare a cacciare i troppi simoniaci e ladroni dal tempio del bene pubblico.
Paolo G. Parovel
© 10 Settembre 2011