Caccia: la Regione Friuli Venezia Giulia continua a violare le tutele europee
di PGParovel
Natura ed ambiente
La Regione Friuli Venezia Giulia ha avviato la preapertura della stagione di caccia senza avere ancora adeguato il calendario venatorio alle direttive comunitarie in materia di tutela della fauna, né ai necessari Piani faunistici venatori, ed in particolare per quanto riguarda gli uccelli. Al fatto in sé, ed a tutti gli altri problemi morali ed ambientali dell’esercizio della caccia, si aggiungeranno quindi sanzioni europee.
L’hanno appena denunciato congiuntamente LIPU – Lega italiana per la Protezione degli Uccelli, WWF, Legambiente, LAC – Lega Anticaccia, e Italia Nostra, mettendo in mora con una lettera il presidente della Regione, Renzo Tondo, e l’assessore comunale di pertinenza, Claudio Violino.
Le norme della legge italiana sulla tutela della fauna e la disciplina della caccia, n. 156 del 1992, sono state infatti subordinate infatti alla nuova legge comunitaria n. 96 del 2010, che obbliga lo Stato e le Regioni a garantire la massima tutela alle specie di uccelli selvatici, a mantenerle in uno stato di conservazione favorevole ed a vietare la caccia nei periodi di riproduzione e migrazione prenuziale.
Ma a differenza da altre regioni italiane quella autonoma del Friuli Venezia Giulia ha conservato il calendario venatorio stabilito con propria legge n. 24 del 1996, non ha mai approvato né il Piano faunistico venatorio regionale, previsto sin da allora, né i Piani venatori distrettuali previsti dal 2008, e non ha nemmeno mai provveduto ad accertare, come previsto dalla propria stessa legge regionale n.13 del 2009, che l’attività venatoria “rispetti i principi della saggia utilizzazione”. E tutte queste omissioni significano pure che nella regione non sono nemmeno garantiti gli standard minimi ed uniformi di tutela statale della Guida ISPRA 2010.
Occorre quindi adeguare d’urgenza la legge regionale, adottando nel frattempo un decreto di immediata limitazione della caccia secondo le norme comunitarie. Non è infatti ammissibile continuare a danneggiare irresponsabilmente sia le specie residenziali, sia quelle migratrici che hanno in questa regione d’Europa un fulcro di transito e presenza decisivo.
In materia di gestione della fauna selvatica, come ormai si dovrebbe intendere la caccia, la Regione Friuli Venezia Giulia predica bene e razzola male sin dalla sua costituzione. Si è infatti trovata divisa sin dall’inizio tra due tradizioni venatorie opposte.
La prima è quella conservativa e di cultura naturalistica mitteleuropea dei territori ex austriaci di Trieste, Gorizia e Tarvisio, che come il Sudtirolo hanno conservato le apposite norme pre-1918, mantenute anche dalla confinante Slovenia. Si fonda sull’amministrazione faunistica regolata e rigorosa della fauna selvatica attraverso la suddivisione del territorio in riserve, gestite da famiglie di caccia che devono garantire la presenza e vita ottimale delle specie attraverso la selezione, il prelievo delle eccedenze e la cura dell’ambiente.
L’altra è il passato uso italiano di caccia libera e deregolata che vigeva invece sino a non molti anni fa anche in Friuli e nella Carnia, aggravato dall’antica consuetudine dell’uccellagione. Cioè della cattura ed uccisione di milioni di piccoli uccelli di passo con reti e panie (vischio) a scopo alimentare. Questa strage crudele serviva un tempo a fornire un po’ di cibo proteico alle popolazioni povere ed affamate delle campagne e dei monti afflitta da carenze alimentari drammatiche, ma oggi non ha più ragione pratica, né giustificazione etica. E tantomeno naturalistica, essendo ormai noti anche i danni che arreca all’intero ecosistema delle aree di migrazione, dall’Eurasia all’Africa.
La legislazione ambientale e venatoria italiana, sulla spinta di quella comunitaria, è andata da tempo nella direzione naturalistica e conservativa della tradizione mitteleuropea, che proprio dal Friuli Venezia Giulia è stata fonte e spunto di questi progressi nazionali. Ma nella stessa Regione si sono manifestate anche resistenze pertinaci, in particolare sulla caccia agli uccelli, per interessi o testardaggini egoistiche di chi (inclusi numerosi politici, personalmente o per voti) pretendeva di poter continuare con l’uccellagione come prima, e magari sotto pretesti scientifici.
Dopo averne invocati aspetti tradizionali che non hanno in realtà più giustificazione possibile, ed in mancanza di altre giustificazioni decentemente sostenibili, queste resistenze si sono manifestate per decenni sotto forma di inerzie, ritardi, politiche di lobby e colpi di mano negli adeguamenti doverosi delle norme venatorie regionali a quelle statali e comunitarie. E questa è una vergogna sia nazionale che europea.
Visto quanto denunciato ora dagli ambientalisti proprio sulla regolamentazione della caccia agli uccelli, dobbiamo pensare che siamo dunque alle solite. E non abbiamo ancora visto segni di vita in argomento né dalle Province, né dai Comuni, Trieste inclusa.
Ma questo significa pure che è ora di far sentire le proteste opportune dall’intera area Alpe-Adria, dove il Friuli Venezia Giulia pretende spesso primati civili anche quando è invece l’amministrazione più arretrata.
(pgp)
© 8 Settembre 2011