La Voce di Trieste

Italia: la manovra del governo non risolve ma aggrava la crisi

Osservatorio

Silvio Berlusconi lo ripete ad ogni piè sospinto che la manovra bis ? decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 ? è stata scritta sotto dettatura. Le ragioni di tanta insistenza sono palesi: da un lato, punta a convincere gli italiani più benestanti (del figlio dell’operaio lui, notoriamente, se ne frega) che l’aumento delle tasse non è farina del suo sacco; dall’altro pensa di riguadagnarsi la fiducia dei mercati e dell’elite transnazionale sottolineando la propria “affidabilità”, la propria obbedienza perinde ac cadaver.

Riecheggia Pilato, il premier, con quel suo riferimento al “sangue” (12 agosto)… ma le smorfie, il contegno davanti alle telecamere non sono da proconsole romano, bensì – come sempre – da guitto. Lavarsi le mani con l’acqua pubblica, d’altra parte, non va di moda nei palazzi del potere. Miliardi di sacrifici, dunque, per salvare l’Italia… ma basteranno? E soprattutto: serviranno a creare, queste misure, quel rilancio dell’economia nazionale che dovrebbe renderla credibile al resto del mondo? Passiamone in rassegna alcune.

L’articolo 1, comma 7 consente al Ministro dell’Economia, cioè al governo, di differire, senza interessi, il pagamento della tredicesima mensilità in tre rate posticipate ai lavoratori degli enti pubblici in caso di scostamento rilevante dagli obiettivi indicati per l’anno considerato dal decreto, o di mancato conseguimento, sempre da parte dell’amministrazione, degli obiettivi di risparmio. Come ha rilevato l’opposizione, questo equivale a far pagare ai sottoposti le scelte fatte (o non fatte) dai politici e/o dalla dirigenza. Si tratta, insomma, di responsabilità per fatto altrui: il lavoratore pubblico viene punito a prescindere da eventuali mancanze. Non parevano dunque sufficienti le dure sanzioni previste da Brunetta, e si è deciso di introdurre il diritto di rappresaglia ai danni dei (dipendenti) civili.

Purtroppo, tanto accanimento nuoce – oltre che agli odiati presunti fannulloni – anche all’economia. Perché il taglio (pardon, il “differimento”) delle tredicesime non soltanto provocherà una contrazione, sotto Natale, delle spese per regali, cenoni e settimane bianche, ma – traducendosi in una diminuzione di stipendio permanente, che si aggiunge al blocco dei contratti – influirà sull’atteggiamento di milioni di consumatori anche nei mesi successivi. Com’è noto a tutti – fuorché al FMI, alle istituzioni europee ed ai governi – la minor disponibilità di denaro e l’ansia per il futuro ammosciano la domanda: il debito scenderà a braccetto col PIL, prodotto interno lordo, e saremo tutti (più) infelici e scontenti.

Anche il comma 24 avrà i suoi effetti venefici. Stabilisce che “sulla base della più diffusa prassi europea (quale non ce lo dicono, non ha importanza…), le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi Patroni cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva ovvero coincidano con tale domenica”. Gli “ovvero” si sprecano, ma il ministro Tremonti l’ha detto chiaro e tondo: il Primo maggio, il 25 aprile ecc. cadranno, d’ora in poi, di domenica. Dopo Giulio Cesare e Papa Gregorio, anche Berlusconi riforma il calendario…

Ora, capiamo bene che a “socialisti” riciclati come Sacconi, Brunetta, Tremonti, Cicchitto ecc. il Primo maggio possano fischiar le orecchie, ma rimare economia con ideologia è alquanto rischioso, come lamenta il presidente di Federalberghi Bocca: “Le vacanze brevi durante l’anno sono una grossa fonte economica per il settore. Storicamente, i vacanzieri che si muovono per il ponte del 25 aprile così come per quello del 2 giugno restano in Italia. Cancellare questa possibilità significa tagliare di netto un fatturato significativo. Prevedere per legge una perdita sicura per l’economia del Paese ci sembra quasi come pagare più la salsa che il pesce”  Niente di strano, viene da chiosare: già oggi i cittadini pagano la salsa più di quanto ad un senatore costino le lamelle di spigola (euro 3,34….).

Ribadiamolo una volta ancora: visto che il debito pubblico si calcola in proporzione al PIL, se il secondo cala è fortemente improbabile che il primo diminuisca. La riprova ci viene offerta dalla Grecia: nel 2011 – prima della stangata di fine giugno, ma dopo la cura da cavallo del 2010 – il PIL è sceso dell’8,1% anno su anno nel primo trimestre, del 6,9% nel secondo. La crisi si alimenta di povertà e rinunce, e le manovre recessive aggravano la situazione. Ma c’è ancora una disposizione del decreto legge da commentare, perché pur non facendo risparmiare allo Stato nemmeno un euro, immiserisce comunque i lavoratori italiani.

L’articolo 8, comma 2, dopo la consueta fuffa cara a Sacconi, Bonanni e compagnia (“intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro…” ed altre amenità cui non crede più nessuno), dispone che “le specifiche intese” contenute nei contratti aziendali “possono riguardare la regolamentazione delle materie relative alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.”

Così con la benedizione di Bonanni, che farnetica di nuove assunzioni e miglioramenti salariali, si manda in soffitta l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e viene sancita la libertà di licenziare. Signore e signori, ecco le “riforme” cha piacciono al capitalismo senza regole… quelle che ci fanno esclamare: se la crisi non ci fosse, i padroni ed i loro ministri – nel significato latino di funzionari subordinati – dovrebbero inventarla!

Vedremo ora cosa cambierà con la trasformazione del decreto in legge, ma possiamo aspettarci il aspettiamo il peggio. L’unico aspetto positivo della situazione è che,, sentiamo montare intorno a noi l’indignazione esasperata di persone mansuete, abituate alla sopportazione, che a questo punto trasudano voglia di scendere in piazza. Tra loro, anche molti iscritti alla Cisl e alla Uil, in evidente disaccordo con dei loro leader che ormai rappresentano solo se stessi e proprie ambizioni personali.

Lasciando perciò alla CGIL, alla Fiom, a partiti e movimenti della sinistra la responsabilità di chiamare a raccolta gli italiani, promettere loro, se non la vittoria sul “finanzcapitalismo”, almeno un’onesta battaglia con dei risultati. La marcia compatta di milioni di lavoratori pubblici e privati, studenti, pensionati e precari potrebbe rappresentare l’inizio – sottolineiamo: l’inizio – di una nuova era.

 

Norberto Fragiacomo

© 24 Agosto 2011

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