La Voce di Trieste

Trieste, la crisi ed il festival permanente delle inettitudini e dell’avanspettacolo

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Appunti di Ferragosto

La classica scarsità di notizie ed attenzione pubblica in agosto non vale per i tempi difficili come questi. Anche chi può andare in vacanza resta appeso ai bollettini della crisi economica nazionale, europea e statunitense, che sta facendo infine collassare uno dei governi italiani più pericolosamente inetti, sgangherati e tuttavìa durevoli dei già disastrati centocinquant’anni di storia politica del Paese.

Sino a qualche settimana fa il capo di questo governo giurava addirittura che tutto va bene, e nei giorni scorsi uno dei suoi irresponsabili ha ringraziato i sindacati scambiando l’assenza di manifestazioni per la pace sociale. Che è invece l’assenza delle ingiustizie sociali drammatiche ormai in crescita esplosiva dappertutto.

Intanto la nostra città e porto franco di Trieste affonda lentamente, rimane arenata nella propria rovinosa marginalità per l’Italia. Proprio quando potremmo sfruttare in concreto, e non a chiacchiere, la centralità mitteleuropea che l’allargamento a confini aperti dell’UE ci hanno restituito per la prima volta dopo il 1918.

E questo significa mettersi ad operare attivamente senza più remore con Slovenia, Croazia, Austria ed altri Paesi del nostro retroterra e del Mediterraneo recuperando, oltre allo strumento fisico  del porto, quelli altrettanto essenziali della mentalità marinara e della cultura sovrannazionale che avevano fatto nascere e sviluppare la Trieste storica in simbiosi naturale di popoli, lingue e traffici.

Ma per farlo dobbiamo liberarci delle due eredità fallimentari di quasi un secolo di dominazione ideologica nazionalista: il suo assurdo ciarpame culturale di ignoranze e pregiudizi, ed una classe dirigente ? di destra, centro e sinistra ? meno che mediocre perché selezionata per servire quell’obbedienza ideologica corruttrice, invece che la città.

L’incalzare della crisi generale ci dice pure che non c’è tempo da perdere, perché le situazioni locali di debolezza economica come la nostra rischiano più e prima delle altre. Ed invece vediamo trascinarsi ancora in questo mese d’agosto nient’altro che le repliche stanche del solito festival di inettitudini e nazionalismi fuori luogo.

Il quotidiano monopolista Il Piccolo accentua addirittura la sua spudorata campagna pubblicitaria per la cessione rovinosa, insensata ed illecita del Porto Franco Nord (portovecchio) alla speculazione edilizia ed immobiliare, col coro stranamente entusiasta di tutti i potentati politici ed istituzionali che avrebbero il dovere giuridico ed economico di impedirla. E, per quelli in buona fede, di studiare seriamente il problema per non parlarne a vanvera.

Come sembra purtroppo fare anche il nuovo sindaco Cosolini, che per dimostrarsi di centrosinistra, ma non troppo, invece di difendere il lavoro portuale per tutti prendendosi almeno una pausa di verifica e riflessione ha lanciato la proposta affiancare alle abitazioni di lusso anche delle case popolari, ma con utenti poveri selezionati per non inquietare i vicini ricchi.

E per distogliere dal tutto si fanno pure le ennesime celebrazioni ufficiali della prima guerra mondiale ‘dimenticando’ che allora il 98% dei nostri triestini, istriani, dalmati, goriziani, gradesi, bisiachi e friulani orientali, di lingua italiana, slovena, tedesca, croata, friulana ed altre, come pure dei trentini, non combattè affatto per l’Italia ma per l’Austria Ungheria. Con lo stesso carico di sofferenze e valore del 2% che andò a combattere per l’Italia. Continuare a nasconderlo ed a negar loro almeno pari dignità e memoria non è da Paese e città civile.

Si continuano pure a dare ancora acriticamente pubblici onori solenni, come fossero eroi positivi, ai personaggi più negativi dell’irredentismo: non agli idealisti democratici, colti, fieri e coraggiosi (bene o male che fossero riposti quei loro ideali) capaci di affrontare condanna e morte a testa alta, come il socialista trentino Cesare Battisti, deputato a Vienna, o l’avvocato istriano-trentino Fabio Filzi, ma a quelli significativamente più esaltati dal regime fascista.

Come Nazario Sauro, che disertò in guerra non per sereno patriottismo ma per noto nazionalismo razzista, pilotò incursioni navali contro i suoi conterranei, arenò un sommergibile sullo scoglio più visibile del Quarnero (il che gli sarebbe costato la corte marziale) e catturato dichiarò generalità false tentando di non finire giustiziato per alto tradimento. O come il giovane fanatico terrorista nostrano Wilhelm Oberdank – Gugliemo Oberdan, che nel 1982 venne mandato ad assassinare l’imperatore in visita a Trieste, ma siccome la visita fu rinviata utilizzò le bombe per gettarle da vigliacco tra la gente in Corso, uccidendo e ferendo dei civili.

Un altro pezzo di storia che si insiste a falsificare e rimuovere è il fatto che, piaccia o no, durante la seconda guerra mondiale la maggioranza dei partigiani triestini non militò affatto nel piccolissimo CLN locale italiano, tardivo e non riconosciuto, ma nella forte Resistenza unitaria slovena ed italiana riconosciuta dagli Alleati e dal Governo italiano col CLN Alta Italia legittimi.

Nei giorni scorsi l’ambiente cittadino che si richiama legittimamente, per storia ed ideali propri, a quelle tradizioni partigiane italo-slovene ha celebrato in Municipio un matrimonio civile con foto rituale degli sposi col sindaco, e poi cori e bandiere partigiane storiche, appunto italiane e slovene. Per una realtà giornalistica e politica normale sarebbe stato un fatto di cronaca e libertà d’opinione come altri, semmai interessante da approfondire.

Qui il Piccolo e la destra politica l’hanno invece usato per montarci su una dello loro becere campagne d’intolleranza, spacciando le bandiere per jugoslave, etichettando spregiativamente i partigiani come ‘titini’, nostalgici, eccetera, e coinvolgendo il sindaco Cosolini. Che non solo non ha saputo dir chiaro a quotidiano e politici di occuparsi piuttosto dei problemi veri della città, ma si è piegato a giustificarsi dicendo che se avesse visto quei simboli partigiani se ne sarebbe dissociato.

È mai possibile che nel mondo del 2011 qui a Trieste restiamo ancora succubi di chi continua a speculare su fatti storici vecchi di settant’anni (i pochi protagonisti superstiti ne hanno ormai novanta) negandoci il normale diritto di avere anche opinioni diverse su questi argomenti come su ogni altra cosa, spacciandoci sempre le stesse disinformazioni ed aizzandoci tra noi?

Ed è possibile non capire che il vecchio trucco pseudopatriottico di costoro, quello del piantare e sventolare bandiere su un passato che ci hanno rovinato loro stessi, è sempre servito soltanto a distoglierci dal fatto che ci stavano e stanno compromettendo e parassitando anche il presente ed il futuro? Per non farsi sbalzare finalmente di sella e calciare via dall’asino che pensano siamo.

Era il trucco, proprio a quei tempi, delle scomparse compagnie teatrali d’avanspettacolo più scadenti. Appena il pubblico incominciava ad indignarsi e rischiavano di volare uova marce e pomodori, correva in scena una ballerina avvolta nella bandiera intonando l’inno nazionale: tutti a cantarlo in piedi come scemi, applauso finale alla patria ed incasso salvo. Un oltraggio inverecondo passato per patriottismo, insomma, dagli inetti o peggio. Esattamente come si continua a fare da noi.

 

Paolo G. Parovel

© 16 Agosto 2011

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