Trieste a rischio di riciclaggi edilizi ed immobiliari
di Direttore
Editoriale d’analisi
È stata inaugurata da poco a Trieste la nuova versione della prestigiosa galleria del Tergesteo, frutto di un restauro con ristrutturazione dell’intero palazzo che è costato ad una finanziaria estera, ma con agenti italiani, investimenti cospicui ed apparentemente sproporzionati alle possibilità di rendimento della piazza triestina. Ed anche la galleria è per il momento un guscio vuoto, perché le attività commerciali precedenti sono state espulse promettendo di reinserirle e pretendendo poi affitti che nessun commercio normale può permettersi di pagare.
Le intenzioni dichiarate dalla nuova proprietà non corrispondono inoltre a ciò che occorre per rivitalizzare commercialmente la galleria attirandovi il maggior numero possibile di persone. Mentre alla sua prima riapertura nel 1957, con un restauro modernista nello stile del periodo, l’allora proprietario barone Gottfried von Banfield con la sua celebre società Tripcovich ed i numerosi promotori, tra i quali Eugenio Parovel, avevano curato proprio quest’aspetto inserendovi il caffè, la libreria Parovel ed altre attività di movimento, progettando anche di spostare all’interno l’accesso dell’ufficio postale.
La vendita del palazzo del Tergesteo, con l’attuale ed insolito sviluppo opposto, si deve soltanto al fatto che in anni recenti la Tripcovich è stata sottoposta ad un fallimento assolutamente anomalo e meritevole di accurate indagini sui motivi, la genesi e la conduzione alla luce della consistenza reale del patrimonio (dato che ha soddisfatto anche i creditori chirografari).
Nel frattempo la crisi economica locale e generale produce un crescendo di chiusure di esercizi commerciali impressionante che lascia indecorosamente ed inutilmente vuoti innumerevoli vani anche di grandi dimensioni ed in vie centrali. Dove inoltre le pedonalizzazioni hanno consentito, complice il Comune, aumenti spropositati degli affitti che hanno costretto molte attività a chiudere o trasferirsi.
L’offerta di spazi commerciali supera perciò da tempo la domanda, ma i proprietari continuano a chiedere stranamente affitti e prezzi d’acquisto eccessivi: conosciamo sinora un solo caso di proprietario che ha adottato la scelta economica corretta di ridurre gli affitti ai negozi per aiutarli garantendosi un reddito pur minore.
E mentre la crisi fa chiudere le attività normali che si devono sostenere col denaro guadagnato, inclusi i negozi a basso prezzo dei cinesi, ne vediamo comparire altre con forti investimenti dei quali non si comprendono la razionalità economica, le possibilità di rientro e tantomeno quelle di reddito, data anche la scarsità od assenza visibile di clienti in quegli stessi negozi.
Per quanto riguarda gli appartamenti, a Trieste ne risultano sfitti secondo le stime da 13 a 15mila (in maggioranza privati ma anche dell’Ater e del Comune stesso) per effetto combinato del collasso demografico della città e dell’eccesso di speculazione edilizia che, complice ancora il Comune, punta a costruire a novo invece che al restauro e recupero dell’esistente, e per gli appalti è sostanzialmente in mano ad un ‘cartello’ d’imprese locali e ad una venuta da regioni problematiche.
Ed è in questa situazione negativa che viene anche forzata spudoratamente, con la complicità dolosa o colposa di istituzioni, politici locali e media locali, una colossale operazione speculativa edilizia ed immobiliare illegale per togliere alla città la risorsa di lavoro del Porto Franco Nord (portovecchio) e trasformarla in zona residenziale e turistica di lusso. Senza che nessun amministratore pubblico sembri chiedersi almeno chieda con quali soldi, quali utili, e per chi.
Abbiamo, insomma, una bella città malgovernata in collasso economico e demografico, dove non vediamo sviluppare il lavoro vero, come quello che può portare qui in abbondanza solo un rilancio deciso del porto (doganale e franco) col relativo indotto per tutte le categorie, ma un crescendo di investimenti edilizi, immobiliari ed anche commerciali che appaiono inspiegatamente fuori mercato e senza prospettive di normale profitto.
É il caso dunque di incominciare a svegliarsi ed aprire bene gli occhi prima possibile, perché queste sono esattamente le condizioni di degrado che attirano e rivelano i capitali di riciclaggio. Gli stessi che sono sempre più aggressivi anche nel settentrione italiano e persino in Svizzera, con preferenza proprio per i settori immobiliare e turistico.
E Trieste non è mai stata un’isola, anche se troppi suoi rappresentanti politici e mediatici in stato di ebetudine reale od apparente sembrano crederlo.
Paolo G. Parovel
© 1 Agosto 2011