La Voce di Trieste

Come l’Italia vìola norme europee di prevenzione delle emergenze nucleari

Campagna d’informazione e protesta

Il 16 luglio le organizzazioni Greenaction Transnational, Mondo senza guerre e senza violenza (Brescia), Coordinamento comitati ambientalisti Lombardia e Campagna per la smilitarizzazione della Sicilia hanno avviato da Trieste una campagna nazionale per ottenere anche in Italia il rispetto delle norme europee per la prevenzione dei danni alla popolazione in caso di emergenze nucleari. La situazione italiana illustrata in conferenza stampa da Roberto Giurastante (Greenaction) e TizianaVolta (Mondo senza guerre) è infatti drammatica e completamente fuori legge rispetto ad altri Paesi europei.

Le norme europee di protezione civile

La legislazione comunitaria europea ha sempre riservato la massima attenzione alla protezione civile di popolazioni e lavoratori dai rischi radioattivi, stabilendone sin dal 1959 le norme fondamentali di protezione delle popolazioni e dei lavoratori, conformemente all’articolo 218 del proprio Trattato istitutivo. La materia è stata poi continuamente aggiornata con direttive specifiche Euratom a partire da quella del 5 marzo 1962: n. 45 del 1966, n. 579 del 1976, n. 343 del 1979, n. 836 del 1980, n. 467 del 1984, n. 618 del 1989, n. 29 del 199, n 122 del 2003.

In Italia i presupposti di emergenze gravi da radiazioni ci sono tutti, perché il Paese è ufficialmente denuclearizzato ma circondato, in particolare al nord, dalle centrali nucleari dei Paesi confinanti, o vicini su questa scala di problemi, e ben 13 di esse si trovano addirittura entro i 200 km dal territorio italiano.

Informazioni obbligatorie alla popolazione

Le direttive Euratom che stabiliscono le norme sicurezza per la popolazione sono fondate ovviamente sull’obbligo di informarla dei rischi e dei comportamenti da tenere in caso di pericolo, e questo sia in previsione di incidenti possibili, sia dopo che si siano verificati.

Sull’informazione preliminare obbligatoria la direttiva del 1989 stabilisce infatti all’art. 5 che «Gli Stati membri vigilano affinché la popolazione che rischia di essere interessata dall’emergenza radioattiva sia informata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili, nonché sul comportamento che deve adottare in caso di emergenza radioattiva” […] “Le informazioni sono comunicate alla popolazione […] senza che essa ne debba fare richiesta” […] “Gli Stati membri aggiornano le informazioni, le comunicano regolarmente e anche quando si verificano cambiamenti significativi nelle misure descritte. Dette informazioni sono in permanenza accessibili al pubblico”.

E sull’informazione adeguata subito dopo un incidente l’art. 6 (Informazione in caso di emergenza radioattiva) stabilisce che «Gli Stati membri vigilano affinché, nell’eventualità di una emergenza radioattiva, la popolazione effettivamente interessata sia immediatamente informata sui fatti relativi all’emergenza, sul comportamento da adottare e sui provvedimenti di protezione sanitaria ad essa applicabili nella fattispecie.»

L’importanza ed il rigore di questi obblighi sono intuitivi come il loro scopo di tutelare un numero di vite proporzionale alla gravità di un genere di emergenza che, per propria natura, può investire solo i lavoratori di un impianto od anche milioni di abitanti di intere regioni del continente e del pianeta.

L’Italia vìola tutti gli obblighi di informazione

Ma in Italia queste norme europee non vengono applicate ed i cittadini  non ricevono alcuna informazione utile per difendersi. E le autorità pubbliche interpellate rispondono di non essere a conoscenza dei piani di emergenza, di non sapere nemmeno come allertare la popolazione in caso di pericolo, né su quali strutture sanitarie dovrebbero gestirla, ed in quali rifugi la gente potrebbe trovar riparo. Nessuno sa inoltre come dovrebbero venire distribuite le pastiglie di iodio stabile necessarie per ridurre gli effetti devastanti dell’iodio radioattivo.

Questa iodoprofilassi è prevista anche dal piano nazionale per le emergenze da radiazioni, ma perché sia efficace occorre un addestramento preventivo della popolazione, almeno nelle Regioni più esposte, che sono sei: Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, per un totale di oltre 26 milioni di abitanti. Che altrimenti non saprebbero cosa fare, dove andare ed a chi rivolgersi. Il piano nazionale stesso viene anzi nascosto alla popolazione per non creare, dicono. “allarmismi inutili ”, e considera le difese preventive marginali rispetto agli interventi in emergenza. E queste leggerezze irresponsabili sono le premesse sicure per trasformare in catastrofi anche i danni minori.

Come si fa prevenzione

La prevenzione consiste nell’addestrare i cittadini ad affrontare l’emergenza da radiazioni, e non a doverla solo subire. E per questo occorre tutto un apparato pubblico funzionante:  mezzi e personale preparato ed equipaggiato (rilevatori di radioattività, tute e veicoli a protezione NBC, cioè nucleare, batteriologica e chimica, ecc.), strutture sanitarie predisposte (sale decontaminazione ecc.), rifugi antiatomici nelle località più vicine alle centrali, centri operativi e di informazione per la popolazione. Il tutto ha dei costi, ma produttivi perché servono a ridurre quelli altrimenti colossali di un disastro nucleare.

Ma in Italia, a differenza che in altri Paesi, quest’apparato non è stato mai predisposto, e le conseguenze sono potenzialmente criminose. Basti pensare ad una risorsa elementare come le pastiglie di iodio stabile, che devono essere però assunte al massimo entro 6-8 ore dall’esposizione alle radiazioni, ed in proporzione ad essa.

Occorre quindi che le persone colpite abbiano le pastiglie già disponibili in casa o sul posto di lavoro, ed accesso ad un dosimetro acceso in permanenza per valutarne la quantità assorbita, senza dover uscire esponendosi ulteriormente alle radiazioni. Mentre per poter uscire e raggiungere centri di distribuzione, assistenza e rifugio dovrebbero avere disponibili le apposite tute NBC.

E sarebbe anche necessario sapere già dove si trovano questi centri, o riceverne rapida informazione, e questo presuppone oltre agli addestramenti preventivi della popolazione anche strutture di comunicazione pronte ed efficienti delle autorità, mentre sui centri si riverserebbero masse confuse ed aggressive di persone a caccia delle pillole per sopravvivere.

In Italia non si è provveduto neanche alle pillole, né ai dosimetri, forse con l’idea che omettendo anche tutta l’informazione preventiva la popolazione non riconoscerebbe nemmeno la situazione di allarme da radiazioni, o quantomeno i suoi livelli di gravità, e se ne starebbe quieta in casa. Tanto mancano anche i mezzi e le organizzazioni di intervento antinucleare attivo.

Adesioni

La campagna per obbligare anche l’Italia al necessario rispetto delle norme di prevenzione delle emergenze nucleari che ne possono minacciare la popolazione è aperta all’adesione di comitati, associazioni e cittadini.

Per informazioni e contatti:

brescia@mondosenzaguerre.org

info@greenaction-transnational.org

info@comitatiambientelombardia.it

© 18 Luglio 2011

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