La Voce di Trieste

Otto von Habsburg, la Mitteleuropa e Trieste fra simboli di valore e contraddizioni politiche (sabato 16 luglio le esequie solenni a Vienna)

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Storia controversa e politica europea

Questo sabato 16 luglio si terranno a Vienna le esequie solenni Otto d’Absburgo-Lorena (Habsburg-Lothringen), morto quasi centenario in Baviera il 4 luglio.

L’erede degli ultimi due imperatori di Casa d’Austria verrà accolto, assieme alla moglie deceduta l’anno scorso, nella cripta della Kapuzinerkirche che ospita le tombe dei suoi predecessori, mentre il cuore verrà conservato, secondo tradizione, in Ungheria.

Nei 13 giorni di lutto, con più cerimonie funebri, il corpo è vegliato da una guardia d’onore con i simboli di tutto l’impero austro-ungarico, dissolto nel 1918 ma ben vivo nella storia e memoria dei popoli e terre che ne fecero parte. Alcuni per oltre mezzo millennio, come Trieste.

Gli Absburgo e Trieste

Gli Absburgo rappresentano infatti anche i 500 anni decisivi della storia di questa città dell’Adriatico: dal 1382, quando la piccola Trieste medievale fece atto di dedizione a Casa d’Austria per non soccombere alla dominazione di Venezia, al 1719 quando la dichiarazione di porto franco segnò la nascita della Trieste moderna, ai due secoli in cui essa divenne il primo porto della Mitteleuropa ed il terzo del Mediterraneo, sino al 1918, quando lo scioglimento dell’impero austro-ungarico spezzò il legame vitale della città e del porto col suo retroterra.

Ma l’eredità storica e morale di quel singolare impero plurale e non imperialista perdurò anche dopo il 1918, ed a tutt’oggi, come termine di paragone. Perché fu il vuoto traumatico che la sua scomparsa creò nel cuore d’Europa a scatenare l’ulteriore sequenza d’eventi politico-ideologici rovinosi che ne consegnarono popolazioni e Paesi a folli sistemi totalitari di repressione e sterminio, e con essi agli orrori della seconda guerra mondiale, alla lunga paralisi della ‘guerra fredda’ ed a nuovi revanscismi. In un ciclo perverso dal quale stiamo uscendo appena ora, attraverso l’unificazione europea che dà infine ragione ai valori fondanti di quell’antico Stato sovrannazionale  che già ci univa.

 

Rimozione e recupero della storia

Di quel ciclo involutivo avviato nel 1918 sono state parti e strumenti essenziali anche la distorsione e la cancellazione ufficiale della memoria del prima, sostituita dalle propagande politiche dei nazionalismi e delle ideologie in costruzioni di falso cui moltissimi hanno finito per credere in buona fede. Ne è esempio drammatico proprio Trieste, dove la dominazione nazionalista iniziata in quel lontano 1918 ed ancora attiva ci ha estraniati così anche psicologicamente non solo dal nostro contesto europeo reale, che non è la penisola appenninica ma la Mitteleuropa, ma dalle nostre stesse radici personali e familiari. Basti pensare al cambiamento forzato della maggioranza dei nostri cognomi e nomi perché ‘stranieri’.

A Trieste ed in tutte le situazioni analoghe diventa perciò terapia essenziale di rinascita europea recuperare consapevolezza di quelle memorie rimosse, dei significati e dei valori di identità della nostra vera storia e radice, in spirito di serenità, di pari rispetto verso quelle degli altri ed anche di comprensione per chi non vi riesce. È cosa che riguarda qui dunque tutti i triestini: originari e recenti, stanziali e temporanei, attuali e futuri.

La vicenda di Otto d’Absburgo testimonia parti rilevanti di questa storia ed identità da recuperare ora con realismo ed equilibrio. Ed in questo senso ve ne proponiamo una sintesi tracciandone sia le luci che le ombre.

 

L’erede di Carlo I d’Austria

Nato nel 1912, Otto era figlio ed erede del nostro sovrano di allora, Carlo I d’Austria, e della sua consorte ed imperatrice italiana Zita di Borbone-Parma. Ultimo governante della millenaria dinastìa degli Absburgo, Carlo regnava allora sul grande ed antico Stato plurinazionale e multireligioso della Mitteleuropa che era divenuto l’Impero austro-ungarico, e recava anche il titolo originario di Signore di Trieste.

Faceva infatti parte dal 1382 della suggestiva ed unica pluralità di titoli dinastici, attivi e simbolici, assommati dagli Absburgo nei secoli: Imperatore d’Austria, Re d’Ungheria, di Boemia, di Dalmazia, di Croazia e Slavonia, di Galizia, della Lodomeria, d’Illiria, di Lombardia e Venezia, di Gerusalemme, arciduca d’Austria, granduca di Vojvodina, di Cracovia, di Toscana, gran principe di Transilvania, duca di Lorena, di Salisburgo, di Stiria, di Carinzia, di Carniola, di Bucovina, della Bassa e dell’Alta Slesia, di Teschen, di Ragusa, e Zara, del Friuli, di Parma, Piacenza e Guastalla, di Modena, di Zator, di Auschwitz, Conte di Habsburg, del Tirolo, di Gorizia e Gradisca, di Kyburg di Hohenems, di Feldkirch, di Bregenz, di Sonnenberg, etc., marchese di Moravia, della Bassa ed alta Lusazia, d’Istria, principe di Trento e Bressanone, Signore di Trieste, di Cattaro, della Marca Vendica.

Carlo era succeduto, a soli 29 anni, all’anziano imperatore Francesco Giuseppe nel 1916, durante la tragica prima guerra mondiale in cui anche il 98% dei triestini e delle altre genti dell’Adriatico orientale combatterono per la loro patria absburgica. Il giovane sovrano intensificò gli sforzi per mitigare le sofferenze e le stragi della guerra, si adoperò invano per farla cessare, incrementò lo stato sociale e tentò la trasformazione dell’impero in confederazione di popoli, salvaguardando anche Trieste. Nel 1918, non essendovi riuscito, li dichiarò sciolti dai vincoli secolari di fedeltà dinastica, ma ritenendosi sempre al loro servizio non abdicò mai (leggi qui un nostro precedente profilo biografico).

Carlo morì nel 1922, a soli 35 anni, in esilio forzato con la famiglia a Madeira dove viveva in povertà testimoniando sino all’ultimo, come prima ai vertici dello Stato, quella semplicità e dirittura di vita che nel 2004 gli hanno meritato la beatificazione ad opera di papa Giovanni Paolo II. Zita è invece morta nel 1989, quasi centenaria come ora Otto, ed ha avuto a Vienna esequie solenni con concorso di popolo da tutte le terre dell’antico impero. Aveva dedicato sino all’ultimo riflessioni puntuali e preoccupate anche alla sorte attuale di Trieste.

 

Le attività politiche

Il figlio Otto aveva ereditato i titoli del padre e si oppose con la madre e gli altri famigliari al regime di Hitler, che odiava gli Absburgo e tentò di catturarli ed eliminarli poiché la loro tradizione europea di governo legalitario illuminato, colto, pacifico, sovrannazionale ed attento ai più deboli rappresentava l’antitesi morale e storica del nazismo razzista, incolto ed assassino. La famiglia imperiale dovette fuggire più volte, rifugiandosi dal Belgio in Francia, in Portogallo ed infine negli Stati Uniti.

Otto poté rientrare in Austria appena nel 1966, dopo avere firmato nel 1961 una rinuncia ai diritti formali per sé ed eredi. Oltre alla cittadinanza austriaca e tedesca, ottenne col tempo quelle onorifiche ungherese e croata. Nel 2007 rinunciò per motivi d’età alle prerogative di capo della casata degli Absburgo a favore del proprio figlio Carlo.

Col rientro in Austria Otto intraprese un’intensa attività politica internazionale nella prospettiva di una federazione danubiana dei Paesi dell’ex impero, di cui protesse i profughi, e dal 1973 al 2004, con l’Internationale Paneuropa-Union, sostenne anche l’idea non coerente di un’unificazione dell’Europa dall’Atlantico agli Urali. Dal 1979 al 1999 fu parlamentare europeo per la CSU, il partito cristiano-sociale bavarese, e si adoperò in particolare per l’ingresso nell’UE di Ungheria, Slovenia e Croazia. Fu anche patrono del Three Faiths Forum (forum delle tre fedi) britannico per i contatti e la collaborazione tra Cristianesimo, Ebraismo ed Islàm.

 

Luci ed ombre

Sin qui le luci. Le ombre sono invece legate all’ambiente in cui Otto si trovò a svolgere le proprie  attività politiche durante la guerra fredda nell’ambito della CSU e della Paneuropa Union.

Le strategìe euroatlantiche della guerra fredda alimentavano infatti in funzione antisovietica non solo forze politiche anticomuniste democratiche, ma anche gruppi e movimenti revanscisti di estrema destra formati da reduci e sostenitori dei regimi nazista e fascisti e del collaborazionismo di tutt’Europa. E per legittimarli li mescolavano ai movimenti democratici in organizzazioni ed iniziative comuni, dove finivano spesso per prevalere.

Uno dei collettori politici principali di queste commistioni e prevalenze era proprio l’ambito della CSU bavarese, attraverso tutta una serie di fondazioni ed organizzazioni collaterali molto meno pragmatiche del partito (che nel 1975 fece anche da apripista politico-commerciale con la Cina comunista attraverso un’eclatante visita del suo leader F.J. Strauss a Mao Tse-tung). E queste strutture vedevano nella tradizione absburgica soltanto un possibile movimento anticomunista in più da sfruttare, disinteressandosi delle contraddizioni con gli altri.

Otto si trovò così immerso e partecipe di un ambiente di estreme destre nazionaliste d’impronta filonazifascista ed estremista pseudocristiana o neopagana, nonché di pseudomassonerie, cioè di  idee che rappresentavano l’antitesi storica e culturale della tradizione e dei valori rappresentati dagli Absburgo. Quelli che le propagande ostili della prima guerra mondiale sintetizzavano rappresentando l’imperatore a braccetto con un prete ed un socialista, e deridendone gli atti di umiltà simbolica come l’inginocchiarsi una volta l’anno a lavare i piedi ad una rappresentanza degli anziani poveri dell’impero.

Questa commistione politica paradossale era bene testimoniata pure in Italia, dove contatti con Otto e rappresentanze della Paneuropa Union risultavano affidate anche ad esponenti nel neofascismo e del revanscismo nazionalista non solo anticomunisti, ma anche antiabsburgici. E se ne ebbe una delle evidenze più palesi nel 1983 proprio a Trieste, dove un convegno internazionale sul futuro della Mitteleuropa, organizzato al castello di Duino attirandovi anche intellettuali di vaglia, si rivelò invece manifestazione di una sorta di ‘santa alleanza’ nazionalista e revanscista europea tra estreme destre e massonerie irregolari.

Al punto che impedirono al sindaco Albin Škerk di portare il proprio saluto ufficiale anche in sloveno, e non vennero cacciati dal castello i rappresentanti del vero movimento mitteleuropeo democratico. Cioè chi scrive ed il prof. Georg Rosmann, benché fossimo accompagnati dall’amico e relatore incauto (ma poi pentito) Claudio Magris, ed io fossi anche giornalista e corrispondente dell’agenzia ufficiale austriaca APA, di Vienna. Dirigeva le operazioni, inclusa la nostra espulsione, Manlio Cecovini, e tra i partecipanti spiccava, sotto il nome di Alfons Dalma e come giornalista austriaco, quello che Vienna mi avvisò essere invece il croato Stipe (Stjepan) Tomi?i?, ex propagandista ed addetto stampa di Ante Paveli? presso Hitler.

 

L’idea mitteleuropea e gli Absburgo

Quello scandalo duinate, che per il quotidiano locale Il Piccolo non esisteva ma potei denunciare sul settimanale “Il Meridiano” di allora, pose anche definitivamente al movimento mitteleuropeo originario Civiltà Mitteleuropea (non l’imitazione profana ideata proprio in quegli anni da un nostro esponente espulso, Paolo Petiziol) il problema di distinguere con chiarezza tra i valori della tradizione mitteleuropea simbolizzati dagli Absburgo, e dunque anche da Otto, e questi suoi coinvolgimenti politici personali contraddittori ed imbarazzanti. Certamente forzosi, ed in tal umanamente comprensibili, ma non per questo politicamente e moralmente condivisibili.

Dovemmo così chiarire che l’idea di Mitteleuropa non era, e non è, un vuoto culto dinastico, ma una riscoperta vitale del patrimonio di convivenza e fraternità dei nostri popoli, che forma una patria comune dell’anima, servita degnamente dagli Absburgo al vertice dello Stato come da innumerevoli altri ad ogni diverso livello. Ci appoggiò allora a Vienna in televisione anche la scrittrice ed ex pasionaria comunista Ruth von Mayenburg, testimoniando dopo miei chiarimenti, e per la prima volta, che in pieno terrore staliniano all’hotel Lux di Mosca i capi mitteleuropei del Cominform si riunivano la sera a cantare assieme il vecchio inno imperiale.

 

Valori simbolici senza apologie

Con la fine della guerra fredda e dei regimi comunisti europei l’Occidente ha commesso l’errore politico e di intelligence gravissimo di non smantellare quelle estreme destre revansciste ormai prive di funzione strategica, che lasciate libere sono divenute in più Paesi una minaccia per la democrazia e per l’unificazione europea. Ed ora è scomparso con Otto l’ultimo Absburgo che fu ancora personalmente testimone diretto di quel mondo di valori pre- e plurinazionale.

Diventa perciò ancora più doveroso distinguere con la massima chiarezza i valori simbolici che la sua persona rappresenta, e le sue opere positive, da quegli ambienti ed operazioni avversi e dai loro tentativi di strumentalizzare attraverso di lui un patrimonio storico, morale e civile che appartiene invece a tutti i popoli mitteleuropei ed all’Europa intera.

Senza cadere nel culto di cose vane, come insegna lo stesso antico e rigoroso rituale d’ingresso delle salme degli Absburgo nella cripta viennese: si bussa alla soglia, il frate portinaio chiede chi è, e gli si risponde col nome e tutti i titoli del sovrano che abbiamo elencato più sopra, ma il monaco dice «Non lo conosco». Il dialogo si ripete abbreviando ogni volta i titoli, sinché la risposta diventa «Un povero peccatore», ed il frate spalanca la porta dicendo «Questo lo conosco. Può entrare».

Ed è in quell’ambito di valori e realtà umana che questo sabato 16 luglio il cuore di molta parte dei popoli della Mitteleuropa, Trieste inclusa, accompagnerà con affetto rispettoso su quella soglia il figlio e nipote dei loro ultimi, legittimi e più che degni sovrani absburgici.

Paolo G. Parovel

 


© 14 Luglio 2011

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