La Voce di Trieste

Rispecchi-Arti: 5 artisti per abbattere un confine mentale

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Cinque persone, cinque pensieri e mani dotate di un afflato artistico ben distinto, ma accomunati dall’appartenenza per radici o per scelta ad un territorio fino a pochi anni fa separato da un confine spesso vissuto come invalicabile. Frontiera caduta ufficialmente nel dicembre 2007 con l’entrata della Slovenia nell’area Schengen, ma purtroppo ancora profondamente inciso/incistato nel cuore e nei ricordi di molti – troppi – italiani e sloveni.

La forte affluenza di pubblico sia dall’Italia che dalla Slovenia alla mostra collettiva d’arti figurative “Rispecchi-Arti” ha invece saputo suscitare un clima di forti emozioni e condivisione, complice anche la spettacolare cornice del castello di San Servolo (Grad Socerb in sloveno), strategico nella scelta per la sua minima distanza dal confine italo-sloveno.

Lo scorgete spesso lì in alto, da molte zone della città e naturalmente dal golfo, affacciarsi sul ciglio dell’altipiano di San Servolo. La vecchia fortezza appare come una rocca appollaiata su una rupe, con la quale quasi si confonde, a più di 350 metri sulla piana di Zaule, altezza da cui si può godere di ampie vedute su tutto il golfo di Trieste.

Il castello ebbe grande importanza nella passata storia locale: inizialmente pare fosse stato una torre edificata dagli Istriani per difendere il territorio dagli ungari; il nucleo iniziale risale presumibilmente al IX secolo, mentre i restanti corpi vennero innalzati nel corso dei secoli successivi. Nel 948 la contea di San Servolo venne infatti prima inglobata nella diocesi di Aquileia e poi data da Ottone in signoria ai vescovi di Trieste. Da costoro venne infine affidata, nel 1295, al Comune di Trieste. Dopo tale data il castello, uno dei più muniti ed inaccessibili di tutta l’Istria, fu coinvolto in tutte le azioni di guerra che Trieste condusse contro i Veneti ed i Friulani. Teatro di innumerevoli battaglie, si ricordano in particolare quelle tra gli austriaci ed i veneziani per il controllo del traffico del sale che si produceva nelle saline di Zaule e transitava lungo la Val Rosandra.

Alla fine del ‘700 venne distrutto da un incendio e solo nel ‘900 venne ristrutturato, consolidando però soltanto ciò che rimaneva delle mura, per cui oggi non si percepisce più come doveva essere il complesso al momento del suo massimo splendore. Durante la Seconda Guerra Mondiale venne occupato dall’esercito jugoslavo e, considerato sito di importanza strategica, fu annesso allo stato slavo a seguito delle trattative di pace. E’ del 2000 l’apertura del ristorante al suo interno, gestito con abilità e con grande sensibilità verso le arti in generale dal sig. Milan Grai.

E’ solo in una cornice di storia, vicende belliche ed umane così intense che Jasna Merkù, Stefan Turk, Simon Kastelic, Sergio Pancaldi, Sandro Ramani, potevano sperimentare la diversità di linguaggio e cultura come una possibilità di crescita individuale e di ricchezza collettiva da condividere. Nelle intenzioni della curatrice Monica Zaulovic, in collaborazione con l’associazione Day Dreaming Project, questa mostra infatti aveva l’intenzione di sradicare le ultime tracce di barriera insormontabile per parlare la lingua condivisa dell’arte. Universalità e pluralità del colore. Bianco e nero che tutto racchiudono e restituiscono, in un luogo in cui ha fatto per troppo tempo da padrone il color rosso. Color rosso che, durante la serata, si è ben sposato con i selezionati vini offerti dall’azienda del sig. Vitjian Sanzin.

© 13 Luglio 2011

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