La Voce di Trieste

Ideali criminali

di

“L’opinione è forse il solo cemento della società”. Cesare Beccaria (1738-1794)

L’ateniese Aristocle (428 a.C.-348 a.C.), allievo di Socrate, spalle larghe (Platone) e cervello fino, era dell’opinione che l’opinione (doxa), inquinata com’era dalle sensazioni, non fosse sufficiente a pervenire alla vera conoscenza (aletheia).

La differenza fra sensi mutevoli e idee stabili conquistò il pensiero occidentale  intravedendo nei primi l’origine dell’errore e nelle seconde la via maestra per la conoscenza. Al di là di una semplice tendenza speculativa, la ragione di fondo, che incrementò la ricerca di verità assolute o supposte tali, è stata l’umana consapevolezza della propria precarietà, dell’incertezza degli eventi, dell’instabilità esistenziale.

Diversi secoli dopo Sigmund Freud, artefice di tecniche indagatrici della psiche, affermerà: “L’uomo ha sempre barattato un po’ di felicità per un po’ di sicurezza” (Il disagio della civiltà e altri saggi; Bollati Boringhieri 2010).

Insicurezza quindi, a cui bisognava porre riparo. Non potendo modificare o controllare le leggi fisico-biologiche di un mondo materiale, si meditò di “creare” un mondo ideale che non presentasse i vizi (di opinione) di quello reale. La teoria affascinò chierici e laici ed ognuno formulò, per la sua parte, paradisi celesti o terrestri, consolanti e ingannevoli come un miraggio o un’Utopia, ambiguo neologismo coniato da Tommaso Moro (1516) il cui prefisso “U” può derivare sia da ?? (buono) che da ?? (non), cioè “buon luogo” (?? ?????) oppure “non luogo” (?? ?????). Bizzarria delle parole, sempre soggette a interpretazioni (come del resto le opinioni), le quali, a volte, sorrette da intuizioni (einfall) seguono una disposizione al delirio (wahnstimmung), inteso come assolutizzazione del pensiero, e si cristallizzano, senza più critica, in idee fissate e stravaganti (verstiegenheit).

Nulla di particolarmente preoccupante se la sindrome colpisce un singolo, asceta o profeta che sia; riferirà messaggi rassicuranti, visioni paradisiache o al contrario minaccerà inferni e apocalissi. Padroni di ascoltarlo o meno. Se invece il “veggente” di turno, annunciatore di nuovi mondi, riesce a giungere al potere accompagnato da un folto seguito, per di più armato, i guai diventano seri, molto seri per chi si discosta dalla “giusta” via fiancheggiata da dogmi, al di là dei quali campeggia l’eresia.

E’ di questi giorni (27 giugno) la notizia che quattro leader dei Kmer Rossi dovranno rispondere, davanti alla giustizia internazionale, dei crimini perpetrati durante i quattro anni di potere in Cambogia.

Il sanguinario regime ebbe inizio nel 1975 quando Saloth Sar, più tardi conosciuto come Pol Pot, il “Fratello N°1”, depose l’ambiguo re Sihanouk e istituì la Repubblica Democratica di Kampuchea.

Ottavo di nove figli nacque nel 1928 in una agiata famiglia di agricoltori strettamente legata alla corte reale. Nel 1950 visita la Yugoslavia e rimane colpito dalla scelta di Tito di far parte dei “non-allineati”, indipendente cioè dalla politica dei due blocchi, opzione che verosimilmente ispirò in lui la possibilità di declinare in proprio l’ideale comunista, un misto di maoismo e nazionalismo, accentuandone all’estremo i principi egualitari, tanto eguali da annichilire un intero popolo. E nulla è più egualitario del nulla.

Quando “l’amabile (lovely) ragazzo”, come lo definì lo sconcertato fratello maggiore Loth Suong sopravvissuto all’Anno Zero, si mise all’opera, le sue idee erano ben “fissate”: realizzare uno stato esclusivamente agricolo. Tutti contadini e niente cittadini!

Niente di nuovo o particolarmente originale circa i metodi violenti usati da ogni dittatura per assicurarsi e mantenere il potere: eliminazione dei possibili avversari (in genere, e all’inizio, ex collaboratori), istituzione di una polizia per la sicurezza dello Stato, persecuzione sistematica, in un crescendo paranoico, di ogni oppositore vero o presunto.

La “singolarità” del regime Cambogiano semmai sta nel merito: l’eliminazione fisica di massa di qualsiasi individuo dotato di un’istruzione superiore e perciò poco adatto a trasferirsi nelle comunità rurali collettivizzate, l’abolizione della proprietà privata, della moneta, dei servizi pubblici (poste), la distruzione di ogni simbolo della civiltà occidentale (automobili, attrezzature mediche, elettrodomestici),  e soprattutto la soppressione di libri e scuole. Chiunque fosse stato trovato in possesso di matite, di testi o sorpreso a scrivere veniva immediatamente ucciso.

Non a caso una delle prime prigioni, l’“Ufficio di Sicurezza 21”, venne organizzata in una scuola, la Tuol Svay Prey High Scool di Phonom Penh (oggi Museo del Genocidio).

L’edificio scolastico a tre piani con un giardino centrale, adibito a struttura per detenzione, interrogatorio, tortura ed esecuzione capitale, dove durante il regime persero la vita tra le17.000 e le 20.000 persone, è soltanto uno dei tanti sparsi in tutto il Paese.

La società della nuova era, vestita di tonache nere a maniche lunghe identiche per tutti, doveva reprimere manifestazioni pubbliche di affetto, dolore o cordoglio, domandare il permesso di matrimonio, evitare proteste e litigi, non praticare adulterio, non soddisfare la fame rubando crusca ai maiali, pena la morte. Tollerato il sostentamento a base di topi o di cadaveri umani.

Dopo la fuga del 1978, nonostante l’ordine di cancellare le prove dell’eccidio (copione già visto), è riapparso l’intero archivio con le fotografie delle salme straziate e i minuziosi verbali degli interrogatori, reperti probatori della loro efficienza.

Si parla di 10.499 foto (di cui circa 2.000 bambini) e 100.000 pagine di relazioni dettagliate.

La stima dei caduti, al termine del quadriennio di terrore, parla di circa due milioni di morti ammazzati, cioè un quarto dell’intera popolazione, senza contare i suicidi che nel primo anno aumentarono dell’84%, i deceduti per lavoro forzato, malnutrizione o scarsa assistenza medica

Un alto dirigente dei kmer rossi, a cui era stato fatto notare che di quel passo non ci sarebbero stati più cambogiani, rispose tranquillamente che la Repubblica Democratica di Kampuchea poteva funzionare benissimo con solo un milione e mezzo di abitanti. Evidentemente quelli che si ostinavano a sopravvivere, malgrado tutto e secondo il progetto rivoluzionario, risultavano ancora troppi.

Le carneficine sistematiche, probabilmente per questione di spazio, avvenivano nei famigerati “Killing Fields”. Intere famiglie, massacrate a badilate, picconate o con qualsiasi altro strumento contundente, machete e sbarre di ferro (forse per risparmiare le pallottole o aumentare il sadico divertimento), sono state sepolte in fosse comuni. A dodici chilometri da Phonom Penh è stato costruito un ossario contenente i resti di migliaia di esseri umani accatastati su diversi livelli e divisi per età.

L’invasione della Cambogia da parte del Vietnam alla fine del 1978 pose fine al governo e allo scempio di Pol Pot, ma non alla sua importanza politica.

Sostenuto da Cina e Stati Uniti in funzione antisovietica (la cosiddetta real politik), il dittatore continuò la sua attività su scala ridotta nel nord-ovest della Cambogia. La guerra civile, intrapresa prima contro il governo fantoccio di Heng Samrin instaurato dai vietnamiti e poi, dopo il loro ritiro (1989), contro il nuovo governo di coalizione, terminò di fatto solo nel 1996 a causa delle moltissime defezioni tra le fila dei kmer rossi.

Il 15 aprile del 1998 giunse la notizia della morte del dittatore avvenuta per cause naturali (infarto) o per mano del “Fratello N°2” e suo carceriere, Ta Mok.

Quando nel 2005 ho visitato Tuol Sleng, su di un muro, accanto alle cellette di detenzione, spiccavano molte frasi scritte, a mò di partecipazione, dai turisti. Una di queste diceva: “Pensavo che dopo l’ultima guerra queste infamie non potessero più accadere. Sono un tedesco e so quel che dico”.

Dimostrazione patente che anche il rassicurante “empireo ideale” non è unico, come voleva Platone, ma può vacillare pericolosamente tra il virtuoso e il mostruoso, il morale e il criminale, né più e né meno come la mente umana che l’ha creato.

 

Allegato 1: un lato dell’edificio scolastico trasformato in prigione.

Allegato 2: cellette ricavate all’interno delle aule.

Allegato 3: aula adibita a interrogatorio-tortura con branda elettrificata.

Allegato 4: memoriale  di Choeung Ek

Allegato 5: memoriale  di Choeung Ek (particolare)

Allegato 6: I dieci comandamenti del regolamento carcerario.

© 12 Luglio 2011

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