La Voce di Trieste

Gli attacchi speculativi all’Italia fra i timori per i risparmi e le corresponsabilità di tutti

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Editoriale

È dalle prime notizie sul disastro della Grecia e sulle difficoltà di Spagna, Portogallo ed Irlanda, con preavvisi di possibili attacchi finanziari speculativi all’Italia, che molti si chiedono angosciati se i loro risparmi investiti in obbligazioni dello Stato italiano per tenerle relativamente al sicuro lo siano ancora.

Ma una risposta seria in questo momento non la può dare nessuno, perché il rischio dipende da una combinazione di fattori variabili complessa ed ancora imprevedibile.

Il meccanismo in sé è abbastanza semplice: uno Stato affronta il proprio passivo di bilancio emettendo delle obbligazioni, cioè dei titoli di debito che si impegna a rimborsare a chi, dentro e fuori il Paese, acquistandoli diventa suo creditore. Se per un motivo qualsiasi i creditori pensano che quello Stato non potrà rimborsarli, tendono a vendere per autodifesa le obbligazioni meglio e prima che possono. Il loro valore si abbassa perciò in proporzione consentendo speculazioni immediate sui prezzi di compravendita, sino a riequilibrio nel bene o nel male.

Col rischio però di situazioni di panico non solo spontanee, ma indotte per trasformare il calo di valore delle obbligazioni di Stato in un crollo che spinga il Paese in situazione fallimentare, costringendolo a svendere risorse pubbliche, e ne indebolisca l’econonomia privata rendendola colonizzabile al capitale speculativo ordinario e di riciclaggio, privato e di governi.

Le conseguenze ed implicazioni non solo perciò ‘soltanto’ economiche, ma anche politico-strategiche, nel nostro caso per gli equilibri interni all’Unione Europea e per quelli planetari tra potenze consolidate (in particolare Europa ed USA), intermedie (Russia e confederati) ed emergenti (in particolare Cina, India e Brasile). Tutte capaci di muovere capitali enormi per qualsiasi scopo.

E sotto questo profilo, come abbiamo già avuto modo di scrivere, l’Italia è un boccone economico e politico-strategico molto più grosso ed interessante dell’intero gruppo degli altri Paesi europei in difficoltà. E se è vero che ha anche maggiori risorse di tenuta economica, ha anche una debolezza drammatica che gli altri non hanno: quella dei livelli abnormi di incapacità, vanità e corruzione della sua classe politica, resi sempre più evidenti da un crescendo di comportamenti scandalosi della maggioranza di governo ed inadeguati delle opposizioni.

Mentre dietro le scenografie di facciata rassicuranti l’economia globalizzata e governata dalla speculazione finanziaria internazionale, invece che dalla produzione sostenibile, è in realtà una vera propria guerra economica, sociale ed ambientale crescente di tutti contro tutti. Che come tale non ha precedenti, mette in difficoltà sempre più gravi anche i Paesi governati con normale serietà e tende a saccheggiare e affondare spietatamente quelli governati male. Ed ai cattivi amministratori non si fa nemmeno credito.

Chi pensava dunque che nei vent’anni del dopo-guerra fredda in cui il mondo cambiava maturando questi nuovi squilibri globali l’Italia si potesse, e si possa ancora, permettere senza conseguenze gli interminabili e stantii teatrini interni ed esteri, impensabili in altri Paesi, delle pagliacciate berlusconiane, delle crisi d’identità della sinistra, delle isterìe leghiste, della riabilitazione dei fascisti, delle politiche estere da cortile e delle corruzioni lobbystiche e mafiose galoppanti, si è sbagliato di grosso.

E adesso sta semplicemente arrivando, dopo il conto fallimentare interno, quello internazionale. Che rischia anch’esso di non venir pagato dai malgovernanti, autogarantiti comunque da rendite ed impunità apposite, ma dai cittadini italiani comuni. Innocenti però sino ad un certo punto, perché sono loro che hanno sinora eletto e mantenuto al potere quei personaggi da farsa col proprio voto, o non andando a votare. Come se la politica fosse uno show televisivo opinabile e non la gestione della cosa pubblica, cioè delle sorti concrete di noi tutti. Le prime lamentele dovremmo quindi farle davanti allo specchio.

Con la speranza che ora il rischio tangibile dei risparmi di una vita, e pure magri, di tanta parte degli italiani valga almeno, assieme alla crisi drammatica del lavoro, a consigliare a tutti criteri di scelta politica più seri e responsabili.

 

Paolo G. Parovel

© 11 Luglio 2011

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