La notte dei saldi viventi
Sabato sera afoso di inizio luglio. Il passo è quello lento del tempo libero, strascicato, ciabattato, senza meta e senza fretta. E’ sabato sera. A quanto pare sono uno dei pochi a pensarla così.
Tutto intorno sembra di assistere a una maratona: gente che sfreccia a piedi nel bel mezzo di Corso Italia mentre ad una finestra una tipa microfonata si dimena al ritmo di qualcosa che definirei “terza linea cartiera Burgo”.
Entrare in un negozio senza essere certi, assolutamente sicuri, di non soffrire di claustrofobia è un bel rischio da giocarsi negli spazi interni ultrarazionalizzati e stracolmi di varia umanità determinata all’affare.
Uscirne senza le dovute precauzioni è altrettanto rischioso: un fiume umano in costante movimento a pochi centimetri dalla porta. Prendo il tempo, trattengo il respiro e mi tuffo.
Una spallata da una forse quattordicenne che “cammina” abbraccettata con altre 4 o 5 sue amiche, tanto di spazio ce n’è e per evitarle bastava che mi scansassi di quei quattro metri, disattento che sono.
Una finta di corpo per evitare di finire arrotato da un passeggino menato con disinvoltura da un abbronzatissimo babbo del ventunesimo secolo.
Incespico dentro ad un’altro negozio quando una ragazza mi sorpassa e mi taglia la strada nell’unico pertugio utilizzabile per il transito verso l’uscita.
Poi mi stufo.
Cerco una panchina sconfitto, mi siedo e rifletto su quanto poco mi riconosco nella mia gente, nei miei concittadini protagonisti di questo sabato sera a passo di corsa da un negozio ad un bar e ritorno, di questa marcia forzata del consumismo “allietata” dalla musica proposta dai tanti, troppi impianti di amplificazione.
Troppi e troppo vicini l’uno all’altro per non causare una cacofonia nauseante che ti spacca, ti instupidisce.
Così rintronato puoi pigiarti nella fila bulgara per il gelato gratis, tempo d’attesa mezz’ora. Ma è gratis.
Va decisamente meglio al banco dell’anguria, evidentemente meno trendy del gelato. Di fianco ad un karaoke per estimatori del genere e sotto a fari alogeni che fanno molto catastrofe, assolutamente in linea con il mio stato d’animo, riesco senza difficoltà ad entrare in possesso di….. come potrei quantificare? Due palline di anguria.
Certo, lo so che è il gelato ad essere smistato in palline e no, non mi sono ancora rincoglionito nonostante il caldo, l’età e la cacofonia debilitante. L’anguria viene servita a palline, non chiedetemi perchè.
Non ho appurato se il gelato gratis venisse consegnato a fette. Quindi non so dirvi se ci fosse stata per errore una inversione di metodologie.
Quello che so è che era sabato sera e volevo farmi una passeggiata in centro dato che c’erano i negozi aperti, una normale passeggiata.
E invece sono finito attraverso lo specchio, di Alice però nessuna traccia.
(foto di Stefano Tieri)
© 10 Luglio 2011