Quello che accade veramente in Italia: aggiornamenti al 1° luglio 2011
di Direttore
Editoriale d’analisi
A Trieste tendiamo spesso ad approfittare della nostra piccola extraterritorialità geografica, storica e psicologica rispetto alla penisola italiana per interessarci poco alle sue vicende politiche assurde e spesso disgustose. Ed è una pratica di sollievo ovviamente gradevole. Ma diventa pericolosa nei momenti di crisi, ed in proporzione, dato che nello Stato italiano ci siamo dentro anche noi, volenti o nolenti, più che i sudtirolesi ed i valdostani perché loro almeno si fanno rispettare. E le linee d’analisi più utili sono ovviamente quelle meno settarie.
La crisi italiana attuale sta preoccupando seriamente anche gli osservatori euroatlantici, perché combina gli squilibri crescenti della situazione politico-economica globale ed europea con le inadeguatezze e corruzioni strutturali di quella interna del Paese. Che sono cresciute fuori misura in quasi vent’anni di condominio paralizzante dei quattro residuati principali della guerra fredda tipici della realtà italiana.
La superficie della politica è infatti occupata dalla destra d’affari ex-anticomunista che ha generato Berlusconi e dalla gelatina politica degli ex-comunisti coagulata nell’attuale Partito Democratico. Mentre le profondità sono dominate dal sistema delle strapotenti mafie italiane internazionalizzate e da quello delle reti trasversali di poteri deviati tra servizi, pseudomassonerie e faccendieri. Tutto il resto, nel bene e nel male, è rimasto sinora di contorno più o meno effimero.
La struttura generale del problema è ereditata dalla guerra fredda, perché allora in Occidente si tolleravano ed alimentavano per esigenze strategiche anticomuniste, giuste o sbagliate che fossero, anche reti di corruzione, di estremismo politico e di mafia estremamente pericolose. E quando è cessata si è commesso l’errore madornale di non liquidare loro, ma i settori delle strutture d’intelligence che le controllavano. Così quelle reti sono rimaste libere di crescere e di rivoltarsi contro la legalità e la democrazia.
Questo è accaduto ed accade in buona parte del mondo, impegnando forze di contrasto notevoli. Con buoni risultati nei Paesi dell’Europa occidentale dove la legalità era strutturale e l’illegalità sopportata. Mentre in Italia prevale ancora un profilo politico-culturale inverso, che tende perciò a sottovalutare, tollerare e persino utilizzare e legittimare le reti illegali purché e finché non turbino troppo gli aspetti formali dell’ordine costituito.
I cittadini e l’economia italiani rimangono perciò letteralmente ostaggi di questa situazione. E per incominciare a sanarla occorrono due generi di intervento: sbloccare la politica visibile con forze nuove ed attuali che meritino il voto degli elettori, e consentire alle parti ancora sane della giustizia e della sicurezza dello Stato di colpire efficacemente le reti di corruzione sommerse.
Ma le forze politiche nuove per funzionare dovranno essere aggregazioni variabili moderne, non più blocchi rigidi di partito, e sono ancora in formazione. Mentre le difese statali della legalità vengono tenute, non per caso, in condizioni di grave debolezza e sottoposte a pesanti campagne di delegittimazione e condizionamento politico.
Per azioni di ripristino della legalità democratica le forze di resistenza interna del Paese possono però trovare appoggi esterni negli ambienti euroatlantici preoccupati dal fatto che gli aggravamenti del disastro italiano mettono in pericolo, date le dimensioni ed i ruoli strategici del Paese, anche gli equilibri politici, economici e militari dell’Unione Europea e della Nato.
È già accaduto all’inizio degli anni ’90, quando la fine della guerra fredda aveva fatto allentare le attenzioni attive anche sull’Italia, ed i poteri corrotti del Paese tentarono di avviare una propria politica internazionale di media potenza, ma autonoma e destabilizzante. Facevano perno sul socialismo nazionalista di Craxi, e spinsero le cose sino all’incidente politico-militare di Sigonella con gli USA, e ad organizzare avventure revansciste su Slovenia e Croazia nella dissoluzione conflittuale della Jugoslavia (v. qui il dossier “Gladio 2”).
A quel punto vennero tolti i freni istituzionali riservati con i quali si impediva a magistratura, polizie e stampa italiane di colpire la corruzione di sistema del Paese. E le indagini sbloccate ne travolsero quattro pilastri fondamentali: il finanziamento illegale dei partiti; i partititi coinvolti; le strutture segrete illegali dietro la “Stay behind” legittima, cosiddetta ‘Gladio’ (leggi qui); l’affine loggia coperta P2, che Gelli ed altri stavano usando illegalmente per attività antidemocratiche (e pure antimassoniche).
Ma questo taglio di teste visibili del sistema di corruzione italiano non riuscì ad intaccarne il corpo sommerso. Che ne generò rapidamente di nuove sia nella sinistra ex comunista, rendendola inerte, sia in una coalizione nuova di destre eterogenee che con i soldi e l’immagine del Berlusconi ha condizionato o preso e mantenuto il governo del Paese sino ad oggi.
I risultati raggiunti furbescamente per gradi in questi anni sono ormai evidenti: impedimento delle indagini sulle elites di malaffare fermando, e se non basta uccidendo, chi indaga; riduzione dei mezzi, dell’azione, dell’indipendenza e della credibilità di polizie e magistratura; ‘perdono’ della loggia P2 e realizzazione del programma politico di Gelli; riabilitazione di Craxi e delle altre ‘vittime’ delle indagini sulle corruzioni di allora.
Ed in questo ambiente nuovamente favorevole per motivi stavolta di politica interna e non internazionale i sistemi di corruzione italiani si sono potuti estendere e perfezionare come mai prima, sia a livello di reti criminali sommerse tra politica, settori dei servizi e malaffari, sia a livello di mafie, dove si possono fare arresti e sequestri anche clamorosi senza intaccarne né le strutture autrigeneranti, né le masse di capitali.
Ma adesso, qualunque opinione di merito si possa avere su Berlusconi, i suoi alleati ed i suoi oppositori, è evidente sia che la sua credibilità ed il suo governo sono arrivati alla fine, sia che in questa fase terminale è ridotto a dipendere dai voti di pochi parlamentari, e dunque dai loro ricatti ed interessi più o meno disgustosi e visibili.
Il pericolo interno ed internazionale vero di questa particolare situazione italiana non sta però in quei profittatori privati. Sta, anche se nessuno vuole dirlo, nel numero di parlamentari soggetti o collegati alla criminalità mafiosa ed a quella speculativa finanziaria, che possono così manovrare esse il governo per interessi illeciti di valenza strategica sia sul piano politico che dei mercati.
Pilotando così di fatto un Paese europeo che sotto ambedue i profili ‘pesa’ quanto tutti gli altri già in crisi, e rimanendo più che pronte a realizzare nuovi ed enormi profitti illeciti da crisi che riducano in Italia la gente comune in miseria ed i beni pubblici in svendita come in Grecia.
Ora sembra però che siano stati tolti di nuovo alla giustizia ed ai media italiani i freni che impedivano loro di occuparsi a fondo delle reti di malaffare e politica. Le vediamo infatti nuovamente stanate e ribattezzate più o meno propriamente P3, P4, e così via: abbiamo già scritto che anni addietro due censimenti ufficiosi, uno d’intelligence statunitense e l’altro del Grande Oriente d’Italia, contarono rispettivamente nel Paese oltre 700 sottostrutture anomale dei servizi italiani ed oltre 60 obbedienze massoniche irregolari, anche in odore di criminalità.
I veri avversari della democrazia in Italia non sono dunque le forze e coalizioni politiche di facciata, ma questi grovigli di malaffare retrostanti. Ed anche le vere possibilità di salvarla non stanno più nelle formulette ideologiche o nelle formazioni di partito vecchio stile, ma in una nuova visione politica complessiva che unisca le capacità d’intervento interno alle possibili attenzioni euroatlantiche. Senza più lasciarsi distrarre dai teatri d’ombre.
Comprenderlo è più facile e naturale per i giovani che per gli altri, e lo si vede, ma rimane urgente per tutti. Qui a Trieste quanto nel resto del Paese in crisi.
Paolo G. Parovel
© 2 Luglio 2011