La Voce di Trieste

Nuova democrazia ateniese: riflessione sulla crisi greca

di Norberto Fragiacomo

Ventinove giugno, nella rovente Atene: lingue di fiamma giallastre lambiscono gli edifici di piazza Sintagma, dopo l’ultima, furibonda mischia tra manifestanti e poliziotti governativi. Entro le mura del Parlamento, uomini in grisaglia si apprestano ad esprimere, sul far della sera, un voto di condanna. Non li conosciamo, non sappiamo quali sentimenti (desolazione, paura… l’indifferenza dei benestanti?) alberghino nei loro petti; sappiamo, però, che la condanna che stanno per pronunciare riguarda un intero popolo ?  il loro ?  e che quasi tutti questi parlamentari sono, o piuttosto si dicono, “socialisti”.

Evitare il default, salvare la Grecia: chissà se credono alle loro giaculatorie; chissà se sono convinti sul serio che si possano risolvere i problemi di un Paese affamando e immiserendo la sua gente. Hanno una parziale scusante: si sono lasciati persuadere, al pari di innumerevoli persone in buona fede, che non esista alternativa al capitalismo. Un socialista, però, dovrebbe aver appreso qualcosa da Marx, se non altro a distinguere la realtà dalla propaganda – perciò la “scusante” è piuttosto una colpa.

Il piano di rientro, elaborato da FMI e UE, prevede l’azzeramento dello Stato ellenico: 28 miliardi di tagli (welfare e posti di lavoro che svaniscono) e 50 miliardi di privatizzazioni (fine dell’intervento pubblico in economia), conditi da nuove tasse, che graveranno in primis sui ceti mediobassi.

Certo, i benefici non mancheranno – per le banche tedesche creditrici e per famelici gruppi internazionali, che già pregustano il sacco di Atene. Che ne sarà invece della popolazione? Tecnocrati europei e manager milionari scrollano le spalle: questi problemi non sono affar loro e, comunque, la responsabilità è dei cittadini greci (magari dello statale che si assenta dieci minuti dall’ufficio per sorbirsi un caffè: ecco il diabolico untore!) o, al più, di un’entità immateriale chiamata “crisi”. E’ mica colpa di chi ha scritto un libro di ricette se la lepre, prima di finire in tavola, dev’essere ammazzata a fucilate, sembrano dire…

L’ipocrisia domina, e va a braccetto con l’irresolutezza di governanti ridotti a lacchè. Non comprendono, gli uomini del Pasok, che la cura “lacrime e sangue” darà il colpo di grazia all’economia greca, uccidendola – che la domanda calerà a picco, perché la gente, persa la fiducia nel futuro, cesserà di acquistare beni e servizi? Chi dirige un Paese dovrebbe saper fare due calcoli, ma – soprattutto – deve rispettare la volontà e fare l’interesse del proprio popolo.

I cittadini ellenici questa manovra non l’accettano, perché per loro equivale ad una condanna capitale. Vivessimo davvero in democrazia, la maggioranza parlamentare prenderebbe atto degli esiti di un voto che si rinnova ogni giorno in piazza.

Peccato che, nell’Europa finanziariamente unita, la democrazia si sia estinta da un pezzo. Oggi è ridotta ad un gioco di ruolo, ad un monopoli che prevede, ogni tot giri, una sosta elettorale – nulla più. Guai a chi prende troppo sul serio la finzione: il no popolare, nel referendum sloveno, alla riforma delle pensioni ha mandato su tutte le furie monsieur Juncker, che, senza tanti giri di parole, ha ordinato al governo della piccola Repubblica di varare “immediate e brutali misure“. La sovranità, ormai, appartiene alle elite economiche, e la parola “democrazia” serve soltanto a giustificare assalti militari ad appetibili Stati sovrani.

Ma allora, si potrebbe concludere, i parlamentari del Pasok sono loro stessi vittime, “decidono” con la pistola alla tempia. Non è così: viltà e rassegnazione mal si addicono all’uomo politico, il cui compito non è quello di adeguarsi ai tempi, bensì di fare il possibile per influenzarli, in base alle idee professate.

Gli unici a meritare il nome di socialisti, nell’assemblea ateniese, saranno quelli che, prestando ascolto al Popolo, diranno no ai sacrifici al Baal capitalista, salvando, se non altro, il proprio onore. Hanno un predecessore illustre: Socrate che, dopo le Arginuse, alzò da solo la sua voce in difesa dei navarchi ingiustamente accusati.

Non è semplice resistere ad un ricatto, rinunciare ad una carriera parlamentare, mantenere una posizione ferma, che esporrà ad attacchi mediatici e, forse, a ritorsioni. Per un socialista, tuttavia, è una scelta obbligata – così come è doveroso interrogarsi sulla ragion d’essere di un’Unione Europea che ha tradito gli sbandierati obiettivi iniziali, degradandosi a comitato d’affari al servizio delle lobby più voraci.

Forse un’istituzione che si mostra tanto dannosa ed antidemocratica non andrebbe più finanziata dagli Stati; in ogni modo, compito dei socialisti è ricercare le soluzioni più favorevoli alle classi che rappresentano, non prestare un servo assenso al potere. Inutile aggiungere che i cittadini greci che scendono e scenderanno in piazza hanno diritto a tutta la nostra simpatia, tutta la nostra solidarietà.

© 1 Luglio 2011

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