La recensione della settimana: The tree of life
di IVicinanza
Il film della settimana è il recente vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes: “The Tree of Life” di Terrence Malick
Buio. Una luce timida, ma distinta invade la scena. Rossa e calda seppur sfumata. Non si sa cosa sia, né da dove provenga. Siamo nel Texas degli anni ’50, in un’accogliente casa borghese vive una famiglia modello, con tre bambini scatenati, una mamma dolcissima e delicata e un padre forte, autoritario che nasconde dietro la violenza l’attaccamento morboso e l’iperprotezione per la sua creazione migliore.
Il tempo passa inevitabilmente, i ragazzi crescono e così la loro coscienza e percezione. La figura del padre diventa sempre più ingombrante, fastidiosamente oppressiva e terrorizzante, ma l’equilibrio è garantito dalla pacatissima madre. Jack, il primo genito, soffre più di tutti quell’uomo ambiguo con cui ha instaurato un rapporto conflittuale, fatto di incomprensioni, paure e incoerenze: dice che a tavola non si mettono i gomiti sul tavolo. Ma lui lo fa.
Odio e amore, paura e rispetto, sottomissione e devozione, quale dei due impulsi seguire è il dubbio che dilania la giovane anima. C’è sempre un abbraccio, una carezza, uno sguardo di sottecchi in un silenzio assordante che ristabilisce la quiete, ma poi i ruoli si ridefiniscono e prevale nuovamente l’insofferenza del figlio, che sente, ammette di essere sempre più simile all’uomo, all’esempio negativo nella sua vita.
Domande e paure sono il filo conduttore di questa complicatissima pellicola che tratta una miriade di temi, solitamente difficili da traporre cinematograficamente perché troppo intimi e individuali, ma umani e quindi universali. La morte, il dolore, le regole sociali, l’inadeguatezza, la fine, l’inizio, gli antipodi che si attraggono, le identità che si rifuggono, l’ignoto, l’ingiustificata maligninità della madre creatrice, la morte di un figlio e di un fratello minore, il più dolce, copia precisa della madre adorata.
Malick ha compreso in un’esemplare opera quanto più potesse riunire, da qui l’estrema complicatezza, le insensate e incomprensibili scene surrealiste, le visioni passate dalla preistoria ai viaggi mentali di un Jack cresciuto che ritrova, in una delle più pacifiche rappresentazioni paradisiache, tutto quello che ha perduto: l’amore per il padre, la devozione per la madre, i fratellini. Moltisisme inquadrature, dal basso verso l’alto, rapide, con macchina a spalla, panoramiche e inseguimenti in soggettiva che invadono, cercano di penetrare l’intimo dei personaggi, della storia, del disagio vitale.
Primi e primissimi piani, dettagli, giochi di luce prevalgono sui dialoghi o sulle battute, poche, pochissime, ma sature di significato. Voci over fuori campo, sussurri dell’animo dei personaggi chiedono con tono polemico e pretenzioso dove sia il senso di una vita che non può prescindere dal dolore. E il pathos aumenta con la musica extradiegetica e suoni in e off; il montaggio è articolato agisce per contrasto e analogie che causano un vero e proprio choc visivo che aggiunge significato all’intricata interpretazione ed espressione del regista.
Il cast è eterogeneo, con un consolidato Brad Pitt che mostra la sua bravura recitativa spogliata ormai da anni dal mito del bello hollywoodiano, e una splendida Jessica Chastain, sublime nel ruolo di madre, donna sottomessa del secondo dopoguerra americano, ma sempre pronta a proteggere la prole, anche da un padre violento. Schiva, pura, dotata di quell’eleganza soprannaturale e selvaggia che concretizza e materializza la natura di chi crea, l’amore, la protezione e la cura di una donna, un essere umano, quindi comunque soccombente alla madre creatrice superiore che la società ha trasposto nella figura di un essere invisibile, Dio onnipotente.
É a lui che tutti, buoni e cattivi, piccoli o grandi, umani o animali devono rimettersi.
Terrence Malick – Il cinema è un’esigenza.
Nasce nell’Illinois nel 1943, figlio di un geologo che lavora in un’industria petroliera e di una casalinga. Studente modello, anzi prodigio, all’università di Harvard, vince una borsa di studio per Oxford ma non completa mai la tesi di laurea preferendo fare l’agricoltore, l’operaio, il professore di filosofia e il giornalista, per pubblicazioni non poco note ed importanti come “The New Yorker” e “Life”. A 26 anni crea la prima sceneggiatura venduta per il western Per una manciata di soldi cui segue un’altra seneggiatura usata in Deadhead mai distribuito.
Nel 1973 dopo aver raccimulato tra prestiti e favori 300 mila dollari gira La rabbia giovane che vince il festival di San Sebastian.
Nei 5 anni successivi si dedica alla scrittura, direzione e montaggio del lungometraggio I giorni del cielo; la pellicola ha richiesto così tanto tempo perché Malick riprende solo al tramonto, nel “momento magico” come lo chiama lui, i 20 minuti tra il calar del sole e il cielo completamente rosso. Con Richard Gere, fotografia di Nestor Almendros e musica di Ennio Morricone, il film si aggiudica ben 5 premi: Oscar alla miglior fotografia, premio della regia al festival di Cannes, miglio r film al National Board of Review Awards, due David di Donatello (miglior attore straniero e miglior sceneggiatura sttraniera) e Bafta alla migliore colonna sonora.
Dopo una pausa di 20 anni in cui abortisce due opere, co-sceneggia I fratelli Dion (1974) di Jack Starrett e Il bacio dell’orso (2002) di Sergej Bodrov e co-finanzia La locanda della felicità (2000) di Zhang Yimou, torna con La sottile linea rossa, storia di un disertore e di un commilitone che si riaggregano per la conquista del Guadalcanal (la maggiore delle isole Salomone) che ha richiesto 10 anni. La fatica è una peculiarità del suo cinema, come dimostra The New World uscito nel 2006, costato 40 milioni di dollari e girato per 4 mesi con luce naturale e macchina a spalla.
Brad Pitt
Viene da una famiglia semplice dell’Oklahoma, figlio di un proprietario di una ditta di trasporti e di una consulente liceale, cresce a Springfield, nel Missouri, dove lascia la University of Missouri, ha lasciato per seguire gli studi di recitazione. Lasciata l’università si trasferisce in California dove prende ogni lavoro gli capiti, dal trasportatore di frigoriferi al pollo gigante al gigolò di lusso (si dice che Cher sia stata fra le sue clienti).
Nel 1987 debutta anche come attore ne La fine del gioco di Peter Werner; appare principalmente sul piccolo schermo di poca nota, ma continua la sua ascesa verso la celebrità partecipando e superando vari provini, fra cui quello per Schegge di follia (1989), Vite dannate (1990) e Kalifornia (1993). Il successo vero e proprio lo deve a Thelma & Louise di Ridley Scott in cui interpreta un cowboy, autostoppista e mascalzone che deruba e pianta in asso la fanciulla caduta ai suoi piedi.
Nel 1991 è protagonista di Johnny Suede di Tom DiCillo; l’anno successivo Robert Redford lo dirige nel film In mezzo scorre il fiume, ma è con Fuga dal mondo dei sogni (1992), Una vita al massimo (1993) di Tony Scott e Vento di passioni (1994) di Edward Zwick che si afferma la nuova stella del cinema americano, soprattutto dopo la nomination ai Golden Globe come miglior attore protagonista nel drammatico di Zwick.
La prima nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista e il primo Golden Globe nella stessa categoria arriva con L’esercito delle dodici scimmie (1995) di Terry Gilliam preceduto da un altro grande successo, Intervista col vampiro girato l’anno prima sotto Neil Jordan. Dopo aver rifiutato il ruolo di un astronauta in Apollo 13 (1995), accetta l’idea di David Fincher, Seven da molti giudicato come il suo film più bello. L’anno successivo recita con Vittorio Gassman in Sleepers di Barry Levinson e nel 1997 arrivano due dei ruoli più belli scritti quasi apposta per lui: il buddista di Sette anni in Tibet di Jean-Jacques e la Morte in Vi presento Joe Black . Nello stesso anno è anche un terrorista dell’IRA in L’ombra del diavolo.
Nel 1999 ritrova Fincher in Fight Club per il quale rifiuta Matrix di Lana Wachowski e Andy Wachowski e Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton, con cui proprio non vuole lavorare, infatti nel 2005 rifiuta anche il ruolo di Willy Wonka in La fabbrica del cioccolato.
Dopo tanti successi arriva però anche il primo flop con The Mexican – Amore senza la sicura (2000) di Gore Verbinski; dopo avere visto Lock & Stock – Pazzi scatenati (1998) di Guy Ritchie, chiede al regista di poter recitare in un suo film e viene accontentato proprio nello stesso anno dell’insuccesso in Snatch – Lo strappo. L’anno seguente arriva Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco di Steven Soderbergh, remake di Colpo grosso (1960) di Lewis Milestone e partecipa anche ai due seguiti del film grazie ai quali conosce George Clooney, con il quale instaurerà un profondo legame di amicizia, testimoniato dal primo film da regista di Clooney, Confessioni di una mente pericolosa (2002) in cui compare anche Pitt.
Due anni dopo sul set di Troy di Wolfgang Petersen oltre a conoscere il futuro amico Orlando Bloom è seguito attentamente dalla gelosa Aniston. Rifiuta anche il ruolo di Darcy in Orgoglio & Pregiudizio (2004) e nel 2005 viene scelto per Mr. & Mrs. Smith di Doug Liman dove conosce Angelina Jolie con cui intreccia una relazione clandestina che porta al divorzio con la Aniston, che non intacca però il loro rapporto lavorativo, infatti la Plan B, casa di produzione da loro stessi creata, rimane in attività.
Diventato papà per la prima volta, adottando i due figli della Jolie (Maddox dalla Cambogia e Zahara dall’Etiopia) e creandone un’altro dall’unione del loro amore, Shiloh Nouvel Jolie-Pitt, cambia decisamente: evita le pellicole commerciali per qualcosa di più intellettuale e impegnato. Così entra nel cast di Babel (2006) di Alejandro Gonzalez Inarritu, in cui interpreta un turista americano, la cui moglie viene accidentalmente colpita dallo sparo di un fucile, ruolo che gli offre la candidatura ai Golden Globe per la migliore interpretazione maschile non protagonista. Sempre nel 2006 è nel cast di un altro film, L’assassinio di Jesse James di Robert Ford che gli vale la Coppa Volpi, premio della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia come miglior attore e nel 2009 ritrova David Fincher in Il curioso caso di Benjamin Button, e lavora con Quentin Tarantino in Bastardi senza gloria.
Nel 2010, così come aveva fatto sette anni prima per la versione americana del cartone animato Sinbad – La leggenda dei sette mari, presta la voce nel film di animazione, Megamind e si imbarca nell’ambizioso e complicato progetto di Malick in L’albero della vita.
Jessica Chastain
Frequenta la Juilliard School di New York City partecipando attivamente al dipartimento di teatro e recitando in diverse produzioni teatrali e progetti cinematografici studenteschi. Il suo primo ruolo arriva nel 2004 per l’adattamento televisivo di Dark Shadows e in seguito appare in diverse serie TV come ER, Veronica Mars, Close to Home, e Law & Order: Trial By Jury .
Nel 2008 arriva il debutto cinematografico come protagonista di Jolene di Dan Ireland, per la quale ha ricevuto il Seattle International Film Festival Award come migliore attrice .
Nel 2010 è nel cast di The debt diretto da John Madden e a The Tree of Life.
Sean Penn
Nasce e cresce in una famliglia data all’arte, a partire dal padre regista, continuando con i fratelli, l’attore defunto Chris Penn e il musicista Michael Penn. Frequenta la Santa Monica High School, appassionandosi alla recitazione e alla direzione di piccole opere; viene assunto come tecnico di scena e assistente alla regia di Pat Hingle con il Group Repertory Theatre di Los Angeles, dirige Terribile Jim Fitch di J. L. Herlihy e interpreta Earthworms e The Girl of Via Flaminia. Continua la sua ascesa teatrale recitando a Broadway in Heartland di Kevin Hellan.
Il debutto cinematografico arriva ormai ventunenne con Taps – Squilli di rivolta (1981) di Harold Becker; seguono nel 1983 I soliti ignoti Made in Usa di Louis Malle (1983) e Bad Boys di Rick Rosenthal. Nel 1986 torna come ragazzaccio in A distanza ravvicinata di James Foley (dove recita con il fratello Chris) e Shanghai Express di Jim Goddard, due anni più tardi si fa dirigere dal padre in Berlino opzione zero, poi da Brian De Palma in Vittime di guerra (1989) e Carlito’s Way (1993) e da Neil Jordan in Non siamo angeli (1989).
Nel 1991 decide di cimentarsi some regista e propone il drammatico Lupo solitario con Charles Bronson, Dennis Hopper, Patricia Arquette e Valeria Golino, nel 1996 dirige Tre giorni per la verità e cinque anni dopo La promessa entrambi recitati da Jack Nicholson.
I ruoli rissosi e diseducativi fanno pendant con il suo carattere irascibile e violento, ma le abbandona per parti decisamente più tenere e viene giustamente premiato: vince la Palma d’Oro come miglior attore a Cannes per She’s So Lovely (1997) di Nick Cassavetes, poi al Festival di Venezia con Bugie, baci, bambole & bastardi (1998) di Anthony Drazan vince la Coppa Volpi come migliore attore. Lo stesso anno è in La sottile linea rossa di Terrence Malick e nel 1999 due anni Woody Allen lo vuole come protagonista in Accordi e disaccordi con cui Penn riceve la seconda nomination all’Oscar cui, nel 2001, si aggiunge una terza, grazie al drammatico Mi chiamo Sam (2001) di Jessie Nelson.
Nel 2003 arriva finalemtne la volta della statuetta e del Golden Globe con Mystic River di Clint Eastwood. Il ruolo di un padre delinquente che va alla ricerca di chi ha torturato, violentato e ucciso la figlia lo innalza a mito del cinema, immagine confermata da 21 grammi sempre del 2003 di Alejandro Gonzales Inarritu, grazie al quale vince la seconda Coppa Volpi. E dopo The Interpreter (2005) e Tutti gli uomini del re (2006), Sean Penn si riconferma l’attore dai riflessi più pronti dello star system.
Torna alla macchina da presa con Into the Wild – Nelle terre selvagge (2008) storia di un giovane idealista che abbandona la sua normale routine per andare a vivere in Alaska, sempre nel 2008 interpreta il consigliere comunale Harvey Milk, primo omosessuale ad avere una importante carica pubblica in America e la pellicola Milk, per la regia di Gus Van Sant, gli vale il secondo premio Oscar come miglior attore. Lo stesso anno prende parte del cast di Disastro a Hollywood di Barry Levinson, assieme a Robert De Niro, John Turturro e Robin Wright Penn, nel 2010 è il protagonista di Fair Game – Caccia alla spia di Doug Liman cui poi segue The Tree of Life di Terrence Malick.
© 24 Maggio 2011