La Voce di Trieste

La giornata d’uno scrutatore

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Uscito di casa alle 6.30 del mattino di lunedì 16 maggio, la giornata si annuncia piovosa. Come domenica, quando Bora e acqua avevano tenuto lontani dal seggio molti triestini; quando perciò si era data la colpa della bassa affluenza al maltempo.

 

La giornata si annuncia piovosa, ma alla fine esce il sole. La “partecipazione”, ad ogni modo, conferma il primato negativo, con un calo d’affluenza –  rispetto alle ultime amministrative – di quasi 18 punti percentuali. Certo: cinque anni fa, nel 2006, le elezioni amministrative erano coincise con le politiche. Ma non si possono ignorare le 985 schede bianche, le 2486 nulle (solo per le comunali) di chi, disilluso, ha manifestato in modo radicale la propria estraneità a questa politica.

In un seggio di periferia l’aria che si respira è tranquilla, la ressa poca. Qualcuno si presenta prima di andare a lavoro, già alle 7; ma i più arrivano, con la calma, in tarda mattinata, nonostante la giornata non sia festiva. Il perché è presto detto: tra gli elettori presentatisi in seggio gli over 70 superano di gran lunga i ventenni.

Curioso: in una città dove l’età media è così alta, il numero di “giovani” (categoria che oggigiorno racchiude finanche i quarantenni, ma che userò qui nella sua accezione originaria) candidati a ogni livello – al Comune, alla Provincia e alle Circoscrizioni – è stato numeroso, in tutte le liste: emblematico il diciottenne schierato nelle file del “Partito Pensionati”, evidentemente commosso dalle lotte per la tutela dei diritti degli anziani, come ad esempio «l’abolizione della lunga tempistica d’attesa per le visite ospedaliere» o il «portare al 100% la pensione di reversibilità del coniuge defunto». Dovremmo dedurne un rinnovato interesse dei “giovani” per la cosa pubblica?

Forse. Non sfugge però la volontà da parte di chi ha inserito quei giovani nelle liste di sfruttarne l’immagine (più che le competenze, laddove ci fossero), in quanto per antonomasia essi raffigurano il futuro, il nuovo, il bello. Sponsorizzare il giovane perché tale: ecco la ricetta ritenuta vincente, forse anche perché la “vecchia” classe dirigente non gode di una gran fama, e lo sa.

E se non si avesse più l’età? Nessun problema: basta qualche “smile”, l’ingaggio di Winnie the Pooh e di Tigro nella propria squadra e la creazione del proprio alter ego in 3D da scaricare e portare sempre con sé, tramite una semplice foto scattata col nuovissimo Nintendo 3DS (chi sia passato in piazza della Borsa in queste settimane di campagna elettorale avrà capito di chi si sta parlando).

«Il mio nome… così in grande sta!», si sente scandire in accento calabrese. Col dito indice puntato sul cartellone che elenca i candidati, un giulivo cinquantenne ritira le schede di voto ed entra nella segretezza della cabina elettorale, da cui uscirà un voto probabilmente non altrettanto segreto. Oltre a lui, per il consiglio comunale, sono 795 i candidati (più i 10 aspiranti sindaci); moltissimi, dove il numero è inversamente proporzionato all’affluenza di chi dovrebbe eleggerli. Timbro la tessera elettorale del megalomane e nel frattempo mi auguro che le sue manie di protagonismo non siano così diffuse negli altri candidati, anche se gli esempi a livello nazionale insegnano come spesso si percorra la carriera (sic!) politica non perseguendo un bene anche solo in minima parte “comune” (un compito così gravoso e faticoso non sarebbe sennò tanto ambito) ma alla ricerca di una sola cosa: il potere (o, se si preferisce, la fama), «l’afrodisiaco supremo» secondo Henry Kissinger, già segretario di stato degli Stati Uniti, il quale parlava per esperienza diretta.

Risuona il segnale che indica la chiusura del seggio e l’inizio dello scrutinio, due rappresentanti di lista riescono giusto giusto ad entrare, prima che la porta venga chiusa e si inizi la lunga conta delle schede. Uno del Pdl, l’altro di Fli, commentano con aria complice – nonostante, a livello nazionale, i due partiti non si mostrino particolarmente affini – la situazione politica locale.

La loro aria gioviale, però, cessa dopo qualche minuto; lo sguardo si incupisce nel momento in cui vedono sovrapporsi le schede del «rottamatore» (come l’ha definito Gian Antonio Stella sul Corsera) Franco Bandelli, che sfiorerà l’11%.

«E se va al ballottaggio Antonione, Bandelli e i sui cossa i farà? Non pozerà el nostro, i xe incazzai…», sussurra uno dei due all’altro, preoccupato. Dall’altra parte – ma non è di loro interesse – un altro mucchio cresce contro ogni aspettativa: quello della lista civica “Trieste 5 Stelle”, il cui candidato sindaco Paolo Menis supera il 6%. Anche loro, guarda caso, «rottamatori».

Si contano le schede della Provincia prima, quelle del Comune poi; infine quelle delle Circoscrizioni, quando la stanchezza – già da tempo presente – spinge a sedersi un attimo.

I manifesti elettorali, lì fuori, iniziano a staccarsi, formando un amalgama di colla, acqua piovana e carta. Al cadere di uno fa capolino l’altro, subito sotto. «La complessità delle cose alle volte pareva un sovrapporsi di strati nettamente separabili, come le foglie d’un carciofo, alle volte invece un agglutinamento di significati, una pasta collosa» (Italo Calvino, “la giornata d’uno scrutatore”). Partiti che si alternano (ed è come se, in modo gattopardesco, nulla si alternasse); altri che – manifestamente – si mescolano, volti a formare quell’impasto di acqua, colla e carta che chissà come pretende persino di riuscire a governare una città.

Il sole, rosseggiando, indica la fine dell’atto, già divenuto rito, delle elezioni. Un rito sempre meno amato e a cui in misura sempre maggiore ci si sottrae.

Chissà perché…

© 20 Maggio 2011

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