La Voce di Trieste

Gianantonio Stella, il Corriere ed i pregiudizi sulle scuole del Sud

di Cinzia De Lio

Mentre a Trieste vengono retribuiti due docenti sulla stessa cattedra, roba da far tremare il ministro Brunetta e la Corte dei Conti, sul Corriere della Sera del 6 maggio, con vistoso richiamo in prima pagina, Gian Antonio Stella se l’è presa con i docenti che lavorano in Calabria grazie ad un titolo ad effetto:“Prof. malati, a Reggio il triplo che ad Asti. Ma in Calabria il record dei voti massimi per i diplomati” (leggi qui).

Replico da giornalista, come lui, che a differenza sua non ha mai vissuto nell’Iperuranio Platonico, ma si è sempre guadagnata il pane facendo l’insegnante. Saranno bastati, poi, dieci anni di lavoro non retribuito nella redazione reggina di un quotidiano catanzarese, scrivendo dalla “nera”, alla politica, alla critica d’arte e musicale (ebbene si, i miei titoli di studio sono molti e vari!)? E saranno bastate pubblicazioni su periodici a tiratura nazionale come “Il fisco” ed “Argomenti”? La collaborazione con il più importante sito on line di psichiatria, Aipsimed? Sarà bastato tutto ciò per farmi “le spalle larghe” e per comprendere ed affermare che “etica” è una parola dolorosamente spesso assente dal “breviario del giornalista” ?

Ciò premesso, vengo al dunque. Ho insegnato per 13 anni in provincia di Reggio Calabria. Poiché scrivo da filosofo e da giornalista, insieme, poiché la mia formazione e la mia struttura di personalità me lo impediscono mi risparmio i sofismi (argomentazioni seppur false atte a sostenere la propria verità) sovente presentati con quello strumento retorico che è l’ironia, ed analizzo i dati.

Questo perché sia da filosofo sia da giornalista ricerco sempre la Verità senza mancare di rispetto a nessuno, anche nel caso in cui ho da contestare condotte o presunte tali.

L’avvio di un articolo con una domanda retorica, poi, intrisa di ironia serve soltanto per catturare l’attenzione di quei lettori meno svegli, incapaci da soli, di riflettere e di analizzare dati ed informazioni. Incapaci, così, di verificare la correttezza delle informazioni fornite dal giornalista che  per mestiere le informazioni le dà, le usa, le manipola.

 

Le differenze reali

La provincia di Reggio Calabria ha una superficie di 3.183 Kmq. La provincia di Asti ha una superficie di 1.511 Kmq. Chi volesse andare a studiare un po’ di geografia si accorgerebbe a vista d’occhio che mentre il capoluogo di provincia piemontese sta al centro del proprio territorio, Reggio Calabria sta bella e placida a guardare lo Stretto di Messina, totalmente decentrata, dunque, dal proprio territorio. Eh già, perché si dà il caso che al centro della provincia insista quel monumento geologico che si chiama “Aspromonte”.

Questo vuol dire che un docente che vive a Reggio Calabria e che si trova ad insegnare al confine della provincia o nel cuore dell’Aspromonte, per arrivare a scuola alle otto ci riesce soltanto se si alza al mattino alle cinque, sovente dopo aver percorso il tragitto con mezzi di trasporto vari del tipo auto+treno+auto (il che vuol dire acquistare un’auto da “lasciare” alla stazione più vicina), oppure bus+ auto, oppure treno+bus. O, rassegnato, in auto. E non è cosa bella mettersi in cammino per tre ore per raggiungere la scuola e ritornare a casa tre ore dopo il termine delle lezioni!

Escludo che un collega astigiano percorra strade intrise “di passione e di sangue” come un collega calabrese. Sì, anche strade di sangue, perché un collega astigiano percorre quotidianamente le strade che attraversano le dolci colline del suo territorio. Il collega calabrese percorre la Strada Statale 106, altrimenti chiamata “superstrada della morte” o l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, martoriata da lavori senza fine, poi prende strade di montagna senza neanche guardrail e a sera, quando torna a casa, (perché alle 16 d’inverno è già buio) deve ringraziare il suo Dio se è ancora vivo.

E che dire delle avversità metereologiche? Sulle strade della provincia di Reggio Calabria non ci sono gli spazzaneve già attivi, perché allertati, alla caduta del primo dolce fiocco e poi a spargere sale sulle strade! Se arriva una nevicata mentre il docente è a scuola nel cuore dell’Aspromonte, lì rimane…!

Per non parlare poi delle strutture e della tecnologia di cui un collega astigiano gode a scuola. Il collega reggino no: in Aspromonte o sulla Piana di Gioia Tauro sono moltissime le scuole che non hanno le aule multimediali, non hanno le lim (lavagne interattive multimediali), non hanno il collegamento con l’osservatorio astronomico, più semplicemente non hanno neanche le macchinette erogatrici di acqua, the, panini, tramezzini, cioccolatini, caffè, cioccolata.

Eppure i professori e gli operatori del mondo della scuola della provincia di Reggio Calabria, non sono figli di un Dio minore, non sono ereditieri che possono concedersi il lusso di lasciare “su strada” metà del loro stipendio. E non sono neanche figli di nessuno che possono/devono rischiare la vita ogni giorno per portare a casa lo stipendio. Però così di fatto è.

Prima di ergersi a giudici bisognerebbe conoscere il mondo. E come può un giornalista parlare di ciò che non conosce?

 

Statistiche e significati

Certo che se, come scrive Stella “i docenti che fanno meno assenze per malattia sono sempre quelli del Piemonte (dove peraltro operano molti professori di origine meridionale). Quelli che ne fanno di più – anche qui ripetutamente in tutti i gradi di scuola – sono invece quelli della Calabria che si assentano dal servizio più del doppio dei colleghi piemontesi” una mente pensante avvezza ad analizzare i fenomeni potrebbe analizzare la circostanza e, legittimamente, arrivare alla conclusione che è il “fattore ambientale” a creare la discriminante relativa al tasso di presenze a scuola dei docenti.

E non mi riferisco certamente al fatto che “l’aria dello Stretto fa male ai professori calabresi”, viceversa alla circostanza che condizioni quali l’agevolezza nel raggiungimento della sede di lavoro, la vivibilità degli spazi dedicati alla vita scolastica, la possibilità di utilizzare strutture avanzate per la didattica adeguate all’evoluzione delle nuove tecnologie al servizio del processo insegnamento/apprendimento, fanno sì che l’insegnante calabrese che lavora in Piemonte non abbia motivo di assentarsi. E non ce l’ha perché le condizioni del suo lavoro non lo “usurano” come usurano l’insegnante che lavora in Calabria.

Quanto ai voti alti dei diplomati in Calabria: non è da escludere che quel cocktail culturale e genetico di cui il territorio del Meridione ha goduto, nel corso dei  millenni ha geneticamente dotato i meridionali di un’intelligenza brillante atta a compensare le avversità “ambientali” che sono stati/e sono ancora costretti ad affrontare. La civiltà araba, la cultura pitagorica, la Magna Grecia, la Scuola Poetica Siciliana, la cultura normanna: tutta questa meraviglia la storia non la colloca certo a Varese!

Un commento sui dati Ocse Pisa: poiché – il mio grande maestro di giornalismo, il siciliano Carmelo Garofalo – mi ha insegnato a farmi comprendere da tutti, spenderò due parole su cos’è Ocse e su cos’è Pisa.

L’Ocse è l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico: un’organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri, paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato, che ogni tre anni promuove un’indagine per valutare le competenze degli studenti di 15 anni in tre ambiti (comprensione della lettura, matematica e scienza).

Tale indagine è, per l’appunto, PISA Programme for International Student Assessment. L’INVALSI, Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione, è l’agenzia nazionale per l’Ocse Pisa.

Ebbene, dall’ultima indagine del 2009 la Calabria risulta, in tutte le valutazioni (punteggi medi in lettura, punteggi medi in matematica, punteggi medi in scienze) all’ultimo posto. Ora – sempre una mente pensante – si chiede se il quoziente intellettivo dei calabresi è inferiore alla media oppure se qualcosa non funziona nella rilevazione dei dati.

A giudicare dalla circostanza che l’assenza di una struttura sociale di supporto spinge tanti meridionali a migrare al Nord ove gli stessi ricoprono posti di prestigio in tutti i settori – e questo è un dato oggettivo (mi risparmio i numeri per non abusare con la statistica) – la prima ipotesi la scarterei. Non rimane che la seconda. Ed è da qui che l’Ocse, l’Invalsi, la Direzione Regionale Calabrese del Ministero dell’Istruzione devono cominciare a riflettere.

Concludo questa parte di mia riflessione con una considerazione di Piero Cattaneo, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ma con un “valore aggiunto”: l’aver mantenuto il suo posto di dirigente scolastico. Ecco perché di una riflessione di Cattaneo posso fidarmi: perché lui non pontifica dall’alto dei cieli. Ma dal basso della quotidianità della vita dentro le aule, anche se le sue sono quelle di Casalpusterlengo in provincia di Lodi, e non quelle di Platì in provincia di Reggio Calabria.

Da Cattaneo ho ascoltato la verità più vera in merito alla valutazione: noi valutiamo grazie ad uno standard. Lo standard è la condizione che può essere confrontata. E qui arriva la sconvolgente, quanto a mio avviso veridica, conclusione di Cattaneo: non è scontato che tutti vogliano standard nazionali. Non è detto, aggiungo io, che tutti vogliano essere giudicati su standard etero imposti, che dovrebbero presupporre una condivisione di valori non sempre possibile, talvolta addirittura impossibile. Non sempre è possibile la costruzione di una comune cornice di senso, non sempre è possibile la lettura attraverso la medesima lente.

E adesso, con questo discorso chiudo perché quei quattro lettori che avranno avuto sin qui la pazienza di leggermi hanno altro da sapere.

 

Accade a Trieste

Quanto all’espressione usata dal collega Stella “anche dopo la tremendissima offensiva brunettiana contro i fannulloni, la svolta sull’assenteismo è ancora lontana” mi sento di dichiarare che ciò è vero. Non contestualizzato nel contesto in cui l’espressione è usata, com’è ovvio.

E’ accaduto, ad esempio a me, che dalle Piramidi – per motivi che al mondo non ritengo di dover rivelare – sono andata a finire all’estremo confine dell’Italia: Trieste. Qui, alla faccia del povero Ministro Brunetta, appena la scorso anno ho vissuto un’esperienza che ha dell’incredibile! La farò breve, prometto.

Il primo settembre mi è stata assegnata in assegnazione provvisoria la mia cattedra di filosofia e storia. L’11 settembre vengo raggiunta da un messo che mi catapulta in mano una lettera con cui mi si annuncia l’esistenza di un “provvedimento in corso” da parte della Direzione Scolastica Regionale diretta dalla dott. Daniela Beltrame secondo il quale sono stata rimossa dalla mia cattedra per essere assegnata alla sottoarticolazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale, retto a sorti alterne.

Inoltro la prima richiesta di accesso agli atti, poi la seconda, ad entrambe non viene data risposta. Sul mio posto, nel frattempo, viene nominato un supplente, certo F. C. di R.. Io non mi capacito: non avevo violentato nessun alunno, non ero andata “fora dei copi” come si dice a Trieste, ossia non ero diventata matta (e Trieste di matti se ne intende!), non avevo subito procedimenti disciplinari, non ero imputata in nessun processo. Per sei mesi vengo costretta all’inattività o ad attività non confacenti al mio status giuridico ed al mio ruolo, come contare depliant e spostare pacchi.

Sono stata costretta al silenzio perché i tempi biblici del Tar comunque non avrebbero risolto la situazione. Dopo ben sei mesi dall’emissione, la dott. Beltrame, a dire dei soliti bene informati leghista, gravitante nell’orbita dell’onorevole Pittoni, Lega Nord, si compiace di notificarmi il “provvedimento in corso”  – emesso ben sei mesi prima – che mi rimuove dall’incarico, mi obbliga a prestare servizio per 36 ore settimanali anziché le 18 come da contratto docente per non meglio identificati “compiti connessi all’autonomia” e mi lascia senza un ordine di servizio.

Vita personale ed equilibrio familiare sconvolti, dolore psichico per il senso di impotenza indotto, per il muro di gomma del silenzio alle ripetute richieste di accesso agli atti. Fino a che, con il provvedimento in mano, chiedo l’annullamento dello stesso in autotutela, invocando i principi del diritto amministrativo violati.

A quel punto, dura lex sed lex, il Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico per il Friuli Venezia Giulia altro non ha potuto fare che revocare l’atto! Eravamo al 12 maggio. Sono stata mandata nuovamente alla scuola dalla quale ero stata rimossa ma, naturalmente “a disposizione” che tradotto vuol dire: quando manca qualcuno far il “tappabuchi”, in alternativa girarsi le dita.

Ed intanto il sig. F. C. di R., continuava ad occupare la mia cattedra e, pertanto, ad essere retribuito. Con i miei soldi, con i soldi di meridionali e settentrionali, perché  – al di là di chi vuole creare divisioni – gli abusi gravano sulla busta paga di tutti.

Riassunto per il ministro Brunetta e per la Corte dei Conti, qualora ritenessero il mio racconto meritevole di approfondimenti: dal giorno 11 settembre 2009 fino al 12 maggio 2010  io sono stata rimossa dal mio incarico e costretta quasi all’inattività, sono stata retribuita, al mio posto è stato nominato un supplente anch’esso (ho da presumere) retribuito. Dall’11 settembre 2009 fino al 12 maggio 2010 nessun atto formale, anche a grandi linee mi è stato dato su quali avrebbero dovuto essere i miei compiti e le mie funzioni. Sono stata talvolta sottoimpiegata quasi sempre non impiegata. In pratica sono stata retribuita per non adempiere al mio dovere.

E questo è stato l’operato della dott. Beltrame, Direttore Regionale Ufficio Scolastico Friuli Venezia Giulia la quale, sempre secondo voci bene informate, a breve assumerà anche l’incarico di reggente dell’Ufficio Scolastico Regionale del Veneto. Sede attualmente vacante, sede che negli anni ha portato la scuola a valori d’eccellenza!

© 12 Maggio 2011

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