Biennale di Venezia e Padiglione Italia: ecco come Sgarbi vende fumo a Trieste ed altre 29 città nelle 20 regioni d’Italia
di PGParovel
Arte e politica
I livelli di provincialismo strapaesano della gran parte dei governanti che Trieste si è ridotta ad avere stanno trovando nuova e perfetta misura nella baggianaggine con cui vanno sostenendo il pasticcio inverecondo combinato dal Vittorio Sgarbi con la sua improbabile curatela del padiglione italiano alla Biennale di Venezia.
Abbiamo già spiegato (leggi qui) come i furbastri e reggicoda di casa nostra tentino di usarlo illecitamente per fregarci il Portofranco. Ma ne rimane da accertare la validità e correttezza sul piano suo proprio: quello della valutazione e diffusione pubblica dell’Arte, dove anche qui le camarille si sprecano.
A Trieste il problema è sorto ad aprile con la notizia improvvisa che Vittorio Sgarbi avrebbe piazzato nel Magazzino 26 del nostro Portofranco Nord una sezione di 5000 mq della Biennale di Venezia, Padiglione Italia, previa sospensione od eliminazione del regime internazionale di zona franca dell’intera area (70 ettari). Con starnazzi entusiati immediati del capponaio (caponéra) politico locale sotto elezioni.
Che, a parte i collusi, non sembra però chiedersi come mai un’istituzione internazionale prestigiosa come la Biennale, con inaugurazione il 3 giugno, possa tirar fuori poco più di un mese prima come un coniglio dal cappello una grossa iniziativa decentrata che per essere seria richiederebbe invece una preparazione lunga ed attenta.
Tant’è vero che la Direzione della Biennale, interpellata invece da noi, ha specificato subito che l’iniziativa non può utilizzare il marchio della Biennale ed a loro risulta essere soltanto una delle manifestazioni promosse dal Padiglione Italia organizzate da Vittorio Sgarbi “in collaborazione con le amministrazioni regionali”. Supposta, perché ad un controllo non risulta affatto certa: vediamo dunque di approfondire.
La Biennale di Venezia, in quest’anno 2011 alla sua 54.a edizione, è la più importante mostra d’arte contemporanea del mondo, nella quale ogni Paese, inclusa l’Italia, ha perciò una propria presenza o padiglione nazionale. Gli altri Paesi hanno fornito le liste dei loro artisti invitati già tra gennaio e settembre del 2010.
Per l’Italia invece nel gennaio 2010 si è appena appreso che l’allora ministro berlusconiano ai Beni Culturali, il Bondi poi dimessosi a gran richiesta, aveva nominato il loro intemperante protetto politico Vittorio Sgarbi curatore di quel padiglione nazionale, appunto il “Padiglione Italia”.
Dopodiché non se ne è saputo più praticamente nulla di ufficiale, se non che il padiglione avrebbe avuto piccole succursali presso istituti italiani di cultura all’estero. Sino alla notizia di fine aprile 2011 che Sgarbi si era dimesso dall’incarico per litigi col nuovo ministro, Galan.
La situazione concreta emerge bene da quanto ne ha scritto il 1° maggio Artribune chiedendosi come salvare in 15 giorni il padiglione veneziano e la faccia del Paese: «Le ennesime dimissioni di Vittorio Sgarbi da curatore del Padiglione Italia […] stan facendo fare una figura ignobile, a livello planetario, a tutto il settore dell’arte contemporanea italiano. Stanno facendoci perdere credibilità, ruolo, immagine. Stanno infangando la nostra già poco brillante visibilità internazionale. […] Manca esattamente un mese all’inizio della Biennale […] le dimissioni vanno assolutamente accettate: rimandarle al mittente significherebbe ipotecare definitivamente la partecipazione italiana alla kermesse, visto il deficit assoluto di organizzazione, di chiarezza, di trasparenza, di rispetto verso gli artisti che ha contraddistinto questi mesi di preparazione. […] Le segnalazioni che giungono nelle redazioni della stampa di settore sono definibili in un solo modo: raccapriccianti. Parlare di pressappochismo è un eufemismo grande così. Con ogni probabilità Vittorio Sgarbi si sta dimettendo proprio perché ha capito che la mostra che aveva in mente non si potrà inaugurare: non si sa chi sono gli artisti, non sono partite le organizzazioni per le mostre regionali, non si sa quali spazi si dovranno e potranno utilizzare nella città di Venezia.»
Artribune si è fatta perciò portatrice della richiesta urgente di buona parte del mondo artistico italiano al ministro Galan: «Non ci interessa ora sapere di chi è la colpa. Non è importante capire se la situazione si è generata a causa del pressappochismo del curatore, a causa della incapacità dell’apparato organizzativo, a causa dei millantati bastoni tra le ruote che Sgarbi avrebbe avuto. L’importante è reagire. Dunque le dimissioni, stante la situazione, stante addirittura l’inesistenza di una lista ufficiale degli artisti invitati […] sono un’occasione da cogliere. […] Galan […] azzeri quanto fatto sin’ora (si potrebbe confermare soltanto la rete degli inviti e delle mostre negli Istituti Italiani di Cultura, all’estero, dove l’organizzazione è già iniziata e in alcuni casi è in fase avanzata) e incarichi un curatore giovane, preparato, un “folle” in grado di riuscire, in due settimane, a mettere insieme un disordinato ma interessante compendio dell’arte italiana oggi. […]. Ovviamente solo a Venezia.
Due giorni dopo, il 3 maggio, lo Sgarbi ? sentito, pare, il Berlusconi ? tenta di salvarsi ritirando le dimissioni prima che il ministro le accetti, ed azzardando già il 5 la presentazione in conferenza stampa del suo “Padiglione Italia” veneziano ipotetico, più una lista modificabile di artisti per 29 ipotetiche grosse mostre distaccate in tutte le 20 regioni d’Italia.
Dove ci siamo anche noi, con la dizione ambigua quanto perentoria di: “Padiglione Italia 54.a Biennale di Venezia – Friuli Venezia Giulia – Trieste, Magazzino 26 del Porto Vecchio”. Come se qualcuno glielo avesse già concesso, il che non risulta affatto e – come Sgarbi stesso ben sa – sarebbe comunque illegittimo. Ma è quest’intero programma regionale ciclopico a risultare ancora tutto da definire, contrattare e finanziare, non si sa come, ad un mese dall’inaugurazione della Biennale vera.
Lo ha confessato spudoratamente Sgarbi stesso nella medesima conferenza stampa: « […] il Padiglione Italia vero e proprio sarà altrove, sarà in tutta Italia, tentando una rappresentazione variegata e credibile della creatività italiana indagata regione per regione. Nei Capoluoghi di Regione, con la collaborazione degli assessorati alla cultura e di direttori di musei, si tenterà l’inventario di pittori, scultori, fotografi, ceramisti, designer, video artisti, grafici, che saranno esposti nelle sedi più rappresentative e prestigiose del Paese. Ogni sede sarà Padiglione Italia, consentendo l’esposizione di circa mille artisti in corrispondenza con l’epopea dei Mille nel 150° dell’Unità d’Italia. L’indagine non sarà completa senza una rappresentanza delle venti Accademie di Belle Arti d’Italia, i cui direttori sono stati chiamati a proporre una scelta delle opere dei loro allievi. Mi affiancheranno critici e studiosi per esaminare la grande quantità di materiali che arriveranno alla mia attenzione.»
Tutto pro futuro, dunque. E non occorre spiegare come e perché una prassi così disordinata ed avventatata su una simile massa numerica e finanziaria di mostre improvvisate in tutto il Paese possa prestarsi ? anche in abuso del nome della Biennale e di denaro pubblico ? ad irregolarità, intrallazzi, favoritismi e discriminazioni incontrollabili d’ogni genere nel campo dell’Arte, oltre che nelle assegnazioni di lavori e nelle forniture di beni e servizi. Come qui addirittura ad un colpo di mano illecito di politici e speculatori sul nostro Porto franco internazionale.
Ed a questo punto di tutto ciò dovrebbe ragionevolmente rimanere soltanto la curiosità statistica di verificare se nelle altre 29 città e 19 regioni d’Italia coinvolte questa vendita così sfrontatata e pericolosa di fumo abbia trovato il sostegno di un numero di volponi e di babbei maggiore o minore che da noi.
Paolo G. Parovel
© 10 Maggio 2011