Mljet: L’isola di Miele
di nicolan
“Ma nella grotta il generoso Ulisse non era: mesto sul deserto lido, cui spesso si rendea, sedeasi; ed ivi con dolori, con gemiti, con pianti struggeasi l’alma, e l’infecondo mare sempre agguardava, lagrime stillando”. Omero; Odissea lib.V (vv.107-112)
L’Odissea, leggenda affascinante e inaffidabile come tutte le storie umane, narra che il re di Itaca, astuto solutore di problemi bellici, si arrese senza condizioni alla bellissima e disarmata ninfa Calipso.
La vicenda gode di unanime consenso al pari della località in cui si svolse: l’isola di Ogigia. Oggetto di vivaci contestazioni è, invece, la sua ubicazione geografica. Il luogo ideale, che nella nostra mente ha tutte le virtù della fantasia, non può essere accomunato ad alcun sito preciso; possiamo solo investigare per approssimazione.
Mljet (Meleda) sembra soddisfare molti indizi, a cominciare dal nome. Nell’antichità suonava come Melita, cioè “isola del miele”. Per Wilhelm Roscher, l’ambrosia, proverbiale cibo (o bevanda) degli dei, non sarebbe altro che miele, prezioso garante, se non dell’immortalità, almeno di una buona salute.
Se poi la padrona di casa è una dea e il suo nutrimento preferito è il biondo nettare, quale migliore residenza di quella dove se ne produce in abbondanza?
In tono meno faceto, sfogliamo l’eccellente libro (L’avventura di Ulisse; Sellerio Editore Palermo – 2010) di Jean Cuisenier che, testo omerico alla mano, ha ripercorso le tappe del travagliato viaggio dell’Eroe greco. L’obiettivo dell’etnologo francese era una sorta di confronto tra la descrizione poetica e la realtà accertabile delle località, delle vicende, dei personaggi, epurata del mascheramento mitologico.
Resoconto plausibile e pertinente se si esclude il solito interrogativo: quale isola mediterranea, può essere identificata con Ogigia? L’Autore ne suggerisce tre: la marocchina (Perejil), la corfiota (una delle tre isolette dell’arcipelago delle Diapontie), la maltese (Gozo). Nessuna lo soddisfa completamente e il quesito rimane sospeso.
Muovendo da semplici deduzioni, notiamo che i marinai itacesi dopo aver passato con poche perdite i terribili “mostri” di Scilla e Cariddi si concedono un periodo (sei giorni) di riposo sulla costa siciliana (Messina?) allietato da sacrileghe abbuffate (lib. XII vv. 342-482). Non appena cessa il vento di sud-est, riprendono il mare perseguitati dall’ira del dio Helios (i buoi arrostiti erano i suoi!).
Da escludere quindi, causa la lontananza (oltre 1.100 miglia), la soluzione marocchina ed anche quella corfiota per opposti motivi: eccessivamente vicina all’isola dei Feaci, Scheria (Corcira oggi Corfù), considerando che l’Eroe impiegherà, nella penultima tappa, ben diciassette giorni per coprire le scarse dieci miglia che le separano.
Resta Gozo, poco credibile per via della rotta. Esperti navigatori, quali erano i Greci, con l’urgenza di tornare a Itaca, attenderebbero, come di fatto accadde, la cessazione dei venti meridionali (Noto/Ostro) e orientali (Euro/Levante) per poi sfruttare le brezze provenienti da nord-ovest.
Gli stessi sceglierebbero senz’altro la direzione di levante, favoriti da un vento che consentirebbe veloci andature portanti, auspicabili per le velature dell’epoca. Disgraziatamente il propizio Zefiro che spira da ovest, dopo qualche ora aumenta la sua intensità al grado di burrasca, si abbatte sugli empi e rovescia la nave (lib. XII). L’ultimo tragico episodio, portatore di morte per annegamento di tutti i compagni di Odisseo, avviene, con ogni probabilità, a largo del litorale pugliese o nel canale d’Otranto, famigerato distruttore di navi.
L’unico a scampare a tale disastro è Ulisse. Aggrappato a un relitto, in preda a venti funesti (Libeccio o Scirocco?) e correnti che fluiscono verso nord, va alla deriva per dieci giorni, quando raggiunge le sponde abitate da Calipso (lib. V).
Ecco, allora, una proposta che non avrà rigore scientifico, ma accarezzerà di sicuro l’immaginazione di quanti approderanno in questa splendida perla dell’Adriatico. Mljet termina a sud con il capo Gruj. Piccole cale si susseguono fino a punta Blaca dove la costa rientra repentinamente e le sfumature blu intenso virano al verde smeraldo dell’insenatura di Saplunara. La spiaggia, sovrastata da una pineta e poche case, è raccolta in una baia protetta dai venti settentrionali sebbene sia aperta a quelli del terzo quadrante (Libeccio, Ponente). Colpisce gradevolmente l’abbinamento cromatico dell’acqua celestina con le verdi tonalità dei resinosi pini di Aleppo.
Ancora di più meraviglia l’insieme del paesaggio che sembra soddisfare le esigenze logistiche del racconto: una distesa d’acqua a perdita d’occhio, la bianca battigia di sabbia (una rarità per l’Adriatico meridionale) sui cui l’Itacese avrebbe versato lacrime di nostalgia e l’abbondante vegetazione circostante (“…dove alte piante crescean; pioppi, alni, e sino al cielo abeti..” lib V; vv. 307-308) di cui Ulisse si sarebbe servito per costruire la zattera del ritorno.
Strana località Saplunara, angolo idilliaco, appartato, residenza sontuosa per chi desideri isolarsi dal resto del mondo, espressione di un confine che non consente arretramenti. Per l’eterno profugo, solo una via di scampo per sottrarsi all’incantesimo di una dolce, monotona, vita senza futuro: il mare.
Sì! Il posto potrebbe essere lo sfondo del dramma omerico e l’isola quel lembo di terra che ha interrotto, piacevolmente e a lungo, il viaggio dell’eroe. Il calcolo della distanza, che intercorre fra la supposta zona del naufragio e la baia di Saplunara, non supera le duecento miglia, tante quante ce ne vogliono per raggiungere da Mljet l’isola di Corfù. La differenza di sette giorni tra i due tragitti è in buona parte spiegabile con l’andamento delle correnti che procedono da sud a nord alla velocità di circa un nodo (24 miglia al giorno) e quindi favorevoli all’andata, ma avverse all’approdo dei Feaci.
L’accurata descrizione astronomica per raggiungere la meta riportata nel testo, (“L’orsa, che Ulisse, navigando, a manca lasciar dovea…”Lib. V; vv. 354-355), incrina l’ipotesi della posizione geografica di Mljet-Ogigia: il tratto doveva compiersi, secondo le precise istruzioni omeriche, da ovest verso est con una rotta di 90° rispetto alla stella polare e non di 153°, quale sarebbe quella appropriata alla dimostrazione logica.
Obiezioni giuste. Comunque non ci possono impedire di ascoltare l’eco mnemonica degli abitanti di Mljet, entusiasti (e interessati) assertori di dubbie verità del passato, e collocare in un spazio senza tempo una storia senza età.
Foto 1: Ulisse e le Sirene; Affresco 50-75 d.C. British Museum; Londra.
Foto2: Ulisse e Calipso; Arnold Böcklin (1827-1901)
Foto3: Cartina delle correnti dell’Adriatico (da Guida nautica dell’Adriatico– Zagreb- 1986);
Foto4: Veduta della baia di Saplunara (Mljet); Croazia.
© 3 Maggio 2011