Moretti a Monfalcone: notizia in sordina, sala piena
di adminwp
“Allora: Moretti è come sembra?”. Non è una domanda che ti aspetteresti su uno così, ma salta fuori, inevitabilmente, dalla bocca di chi non ha potuto assistere ai botta e risposta tra Nanni e il pubblico del Kinemax di Monfalcone. Un evento, senza dubbio.
Soprattutto in una cittadina così triste e povera di eventi culturali di rilievo. Un evento tale da chiamare a raccolta un sacco di persone che, se la serata non avesse previsto l’incontro con il regista nel dopo-film, al cinema non sarebbero neanche venute. O a Moretti, e al suo “Habemus Papam”, avrebbero preferito, per dirne uno, l’ultima pietra miliare di Enrico Brignano.
La presenza di Moretti è stata scarsamente pubblicizzata, e in molti (compreso il sottoscritto) ne hanno preso notizia solo poche ore prima; Moretti in tv non ci va mai, e se capita, come Guccini, va solo da Fabio Fazio, il cui leggendario, malcelato paraculismo si è premurato di smascherare in prima serata (primo fra tutti, come neppure lo Shpalman di Elio e le storie tese, ha sedato la Leccata Somma di Default che Fazio rivolge a ogni singolo ospite di Che tempo che fa: “Ti adoro, sei un mito” – “Sì, ma lo dici a tutti e sei giorni su sette”); inoltre, in nessun bar del centro risultano essere state rinvenute cartoline pubblicitarie da dj-set di Bob Sinclair: in definitiva, pensi che entrerai in una sala semideserta.
Ma, una volta dentro, ecco l’Italia che non ti aspetti (o che ti aspettavi, a seconda del tuo grado di cinismo): una sala gremita come di solito accade(va?) solamente ogni Natale per le imprescindibili opere dei Vanzina e i parenti sbagliati. Metà dei presenti ha scritto in faccia che, se uno provasse a chieder loro tre titoli della filmografia morettiana, non saprebbero rispondere (o al massimo disquisirebbero sicumerosi della scena di sesso con Isabella Ferrari in Caos Calmo). Ma resta il fatto che, per un motivo o l’altro, siamo tutti insieme a riempire ogni singolo posto in sala 1 per il nuovo film di Nanni Moretti, e qualcosa di positivo ci deve pur essere.
Ad ogni modo si comincia, ed è un gran bel film che diverte e commuove in modo davvero diverso dal solito. Per forma, passione, prove attoriali. Michel Piccoli è semplicemente meraviglioso nell’incarnare un Papa grondante di coloriture umanissime e assai lontane dal grigiore dell’odierna casta clericale. E, più in generale, tutta la schiera dei cardinali riuniti in Conclave è circondato da un alone di umanità e simpatia reso in maniera perfetta: né fintamente retorica o ammicante al mondo cattolico, né finalizzata all’irridente parodizzazione di un microcosmo che vede allargarsi sempre più la forbice tra due espressioni opposte di identiche cecità. Una dicotomia, quella tra il bigottismo dei fedelissimi e la ferocia anticlericalista, che Moretti cerca di superare, riuscendoci appieno; proponendo, in ultima istanza, quella che è la sua Chiesa ideale. Un procedimento non dissimile dalla rilettura umanizzatrice delle sacre figure cristiane attuata da Fabrizio De André ne La Buona Novella.
La Chiesa di Moretti è composta da persone che si pongono anche come esseri umani, soggetti alle incombenze e alle fragilità di chi, prima di essere pastore, era ed è rimasta pecorella smarrita. Una Chiesa in cui anziani cardinali dal goffo, autoironico candore si divertono come bambini in un torneo di pallavolo (“con la pallanuoto li avrei ammazzati” scherzerà poi Moretti), scrutati con partecipazione da una pingue guardia svizzera incaricata di sostituire il Papa nelle sue stanze, tra iperbolici movimenti dietro le finestre e infinite leccornie da consumare (c’è pure l’immancabile Sacher).
Il nuovo Papa, infatti, è scomparso. Entrato in crisi in seguito all’elezione quasi unanime in Conclave, si ritrae dall’annunciazione pubblica ritenendosi inadeguato a ricoprire un ruolo così importante, il cui peso sente di non poter sopportare. Dopo infruttuosi colloqui con il più bravo psichiatra (Moretti) e il secondo miglior psichiatra di Roma (Margherita Buy, fenomenale nella sua capacità di non abbandonare mai l’eterna espressione da casalinga di Voghera), l’una ex – moglie dell’altro, il nuovo Pontefice decide di dileguarsi, uomo in mezzo agli uomini, alla ricerca di se stesso, in un radicale scavo interiore che passerà attraverso un vecchio amore mai sopito per il teatro e il rimpianto per quel Gabbiano di Cechov che avrebbe voluto recitare. Sotto questo aspetto il Papa di Moretti, se da un lato ne ricalca la carica empatica, certo si contrappone, per il suo immobilismo esistenziale e la riluttanza ad assecondare le proprie inclinazioni, alla vitalità di Giovanni Paolo II.
La figura di Wojtyla è un punto di riferimento che aleggia costantemente come un’eredità ingombrante, tornando spesso nelle parole dei protagonisti del film: si ricorda che non mancò mai ai propri doveri pastorali anche nei giorni peggiori dell’agonia, e che prima di ammalarsi gravemente perseguì sempre le proprie passioni sportive, rappresentando quindi ancora oggi il modello di Papa che, prima ancora di essere l’esercente di una funzione universale, dovrebbe continuare a essere innanzitutto se stesso. Un uomo del popolo e vicino al popolo. Ed è proprio questo che il nuovo Pontefice tenta e ottiene di diventare al termine di un travaglio psicologico universalmente condivisibile, messo in primo piano a relegare in seconda fila l’annosa (e noiosa) diatriba tra evoluzionisti e cattolici (emblematico il colloquio tra Moretti e uno dei cardinali durante il torneo di pallavolo, volutamente stereotipato e reso indegno di considerazione).
Insomma, il film non è immortale ma va giù che è un piacere e, per quel che vale, tra Moretti e Sorrentino lo scenario cinematografico italiano a Cannes parrà meno moribondo. Mentre scorrono i titoli di coda, nel buio entra Nanni Moretti e scatta l’applauso a prescindere del popolo, che si sente in dovere di prodigarsi in ruffiani omaggi al Maestro per almeno cinque minuti di fila.
Moretti è lì, fiero, lievemente imbarazzato, senza un rivolo di boria che coli da quel naso monumentale che almeno di mezz’ora da sempre lo precede. Sereno, risponde alle domande del pubblico con un interesse che va apprezzabilmente al di là della semplice cortesia. Si dice contento che più di qualcuno abbia sottolineato l’anticonvenzionalità del film; gli aggrada che si indichi Habemus Papam come qualcosa di totalmente diverso da ciò che siamo abituati a vedere nella rappresentazione del mondo cattolico; si dichiara ormai indifferente ai soloni della critica integralista che puntualmente hanno invitato il pubblico a non guardare il film nonostante non l’abbiano visto e non nascondano, anzi ostentino la propria totale ignoranza in merito (senza nemmeno preoccuparsi di edulcorarla con un minimo di pudore: anche in questo, il berlusconismo ha fatto scuola); promette che cercherà di fare qualcosa in più di un film ogni quattro anni; non nasconde la delusione per i pochi giovani in sala (“i ragazzi vanno a vedere altri film, eh?”).
Tra i molti interventi, preme segnalare la prima domanda, la più ovvia ma d’indubbia importanza: “come mai, nonostante il film proponga un’immagine tutto sommato positiva del mondo ecclesiastico, le sono giunte scomuniche da alcuni esponenti della Chiesa?”. Qui Moretti racconta un aneddoto, che lo vede rimproverato da uno dei suddetti esponenti per aver mostrato una Chiesa che “non è la vera Chiesa”; nella sua risposta, di un’icasticità fulminante, c’è il Mondo intero: “appunto. Dovreste ringraziarmi”.
E invece, in pochi lo ringrazieranno. In un simile degrado culturale, i diamanti risultano pericolosi. Meglio impegnarli per permettersi vagonate di rassicurante bigiotteria. Ma questo Moretti se lo aspettava, come sapeva che il suo ardimentoso impegno ad andare Oltre sarebbe stato meschinamente scambiato per cerchiobottismo, pratica invisa a menti libere come la sua.
Dopo più di un’ora trascorsa con il pubblico, è tempo di uscire. Applausi. Ancora applausi. Strette di mano. Autografi. Foto di gruppo. Sorrisi più o meno spenti, più o meno sinceri. Alcuni ti pestano i piedi temendo tu possa defraudarli delle ultime gocce di sincera disponibilità giacenti sul fondo del serbatoio della star. Moretti resiste altri cinque minuti, poi, comprensibilmente, si defila.
E allora, Nanni Moretti è come sembra? L’unica risposta è che Moretti sembra, e certamente è, un’anima salva. Una delle ultime a camminare ancora a testa alta sulla sterile via dell’inferno in cui stiamo sprofondando per nostra stessa mano.
{youtube}G_rblImlFWA{/youtube}
© 25 Aprile 2011