La Voce di Trieste

Diritto di revisione e riapertura del processo italiano per sentenza della Corte Europea e regolazione dei contrasti normativi

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Notizie e commento

Con buona pace dell’attuale maggioranza di governo italiana, assatanata (in ogni senso) a demolire nell’interesse proprio ed a beneficio di mafiosi ed altri delinquenti le parti della giustizia nazionale ancora sane, la salvezza dei cittadini da quelle malate arriva come sempre dalla Corte Costituzionale e dalle norme ed istituzioni giuridiche della giustizia comunitaria europea.

La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato ora con esemplare sentenza n. 113/2011 (qui allegata), su impulso della Corte d’Appello di Bologna, l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che la sentenza od il decreto penale di condanna nazionali debbano essere sottoposti e revisione per riaprire il processo quando una sentenza definitiva della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Strasburgo) abbia accertato che nel procedimento italiano vi sia siata assenza di equità ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

Questa sentenza della Corte Costituzionale assume inoltre valenza ancora più ampia nel diritto italiano, poiché ribadisce pure il principio che ove si profili contrasto fra una norma interna ed una norma di diritto comunitario europeo il giudice comune deve verificare anzitutto l’interpretabilità applicativa della prima in funzione della seconda, ed in caso contrario non può applicare la norma interna contrastante, ma ha il dovere sollevarne la questione di legittimità costituzionale affinché i giudici costituzionali regolino il contrasto.

In pratica, per quanto riguarda il processo penale non equo, se una parte comunque danneggiata ricorre alla Corte Europea di Strasburgo ed ottiene il riconoscimento definitivo della mancanza di equità subita, oltre che all’indennizzo in denaro ha diritto immediato e non più contestabile alla revisione del giudicato italiano ed alla riapertura del processo. Si riapre così la anche la speranza per innumerevoli casi altrimenti irrimediabilmente chiusi.

Con ciò la Corte ha fatto finalmente giustizia su un diritto fondamentale che il legislatore, cioè il Parlamento italiano ? ovvero la sempre disgraziata classe politica di governo del Paese ? aveva vergognosamente omesso di porre in attuazione con i necessari adeguamenti del codice di procedura penale pur avendone l’obbligo dal lontano 1956, quando l’Italia ratificò la Convenzione rendendola esecutiva nel proprio ordinamento.

Cioè da 55 anni: più di mezzo secolo in cui i politici italiani hanno negato così ai propri cittadini la revisione di una quantità sicuramente elevata di processi iniqui, trasformandoli così illegittimamente in tragedie irreversibili per chissà quante vite delle parti e dei loro famigliari.

Tantopiù che il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che riguarda oltre ai procedimenti penali anche quelli civili ed amministrativi, è libero, gratuito e va presentato (tutte le istruzioni si trovano in rete) entro il termine perentorio di sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza nazionale definitiva.

E questo apre anche il problema dei processi italiani non equi per i quali le parti non presentarono ricorso perché il mancato adeguamente legislativo dell’articolo 630 del codice di procedura penale impediva che l’eventuale sentenza positiva europea attivasse il diritto di revisione e riapertura.

 

Un caso triestino su minacce mafiose

Da Trieste la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha appena accolto il ricorso dell’ambientalista triestino Roberto Giurastante, responsabile di Greenaction Transnational e portavoce dell’ONG internazionale AAG (Alpe Adria Green), contro la discussa archiviazione di un procedimento penale d’indagine su minacce di morte di stampo mafioso nei suoi confronti.

Nell’aprile 2010, e nel pieno delle battaglie ambientaliste in sede locale, regionale e con ricorsi alle istituzioni europee in particolare su inquinamenti, impianti industrriali pericolosi ed appalti, e dopo precedenti minacce, Giurastante aveva infatti trovato sulla porta di casa come ‘ammonimento’ una testa di capretto mozzata, semiscuoiata e con la bocca mezza fracassata.

Sul fatto, grave quanto inusuale a Trieste, la Procura aveva chiuso le indagini senza esito in soli 24 giorni e dopo avere distrutto il reperto minaccioso senza sottoporlo ad accertamenti di polizia scientifica. Il procedimento era stato così archiviato definitivamente qualche mese dopo.

Il ricorso ora accolto dalla Corte di Strasburgo contesta la conduzione del procedimento penale in violazione delle norme sull’equo processo, del divieto di discriminazione e del diritto alla sicurezza, richiamando e segnalando anomalìe anche in altri procedimenti giudiziari nei confronti dello stesso ambientalista combattivo su tutti i fronti della legalità.

Roberto Giurastante è infatti anche l’autore del libro- inchiesta sul malaffare a Trieste “Tracce di legalità” (qui le nostre notizie precedenti).

P.G.P.

© 19 Aprile 2011

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