La Voce di Trieste

Il caso coperto della “Roma Connection” tra Italia, Slovenia ed oltre

di

Inchiesta del 1997 ed aggiornamenti all’aprile 2011

Premessa di aggiornamento

Nell’agosto del 1997 il giornalista investigativo triestino Paolo G. Parovel, collaboratore agli esteri del maggiore quotidiano della Slovenia, Delo, presentò al giornale un’inchiesta che intitolò Roma Connection. Rivelava il coinvolgimento dei nomi di diplomatici, finanzieri e faccendieri sloveni della rete ex-jugoslava in riciclaggi internazionali per 1.500 miliardi di lire organizzati da settori del SISMI, principale servizio segreto militare italiano, e chiedeva pubbliche spiegazioni. Si trattava di riciclaggi di titoli di credito rubati o falsi, che venivano piazzati all’estero come garanzia (fraudolenta) per ottenere denaro liquido impiegabile fuori controllo per qualsiasi genere di operazioni.

Le attività in indagine, che risultavano in parte collegate a traffici internazionali d’armi e materiale nucleare, erano avvenute nella prima metà degli anni ’90. Cioè durante le guerre dissolutive della R.S.F. di Jugoslavia (1991-95), in cui la Slovenia aveva ruoli chiave e per le quali vi sono notizie di traffici riservati di armi a mediazione slovena, ma anche a mediazione italiana, riservata e di mafia, con più parti in guerra.

In parallelo si erano sviluppati anche traffici analoghi d’armi ed altro verso la Somalia contemporaneamente in guerra civile totale dal 1991, sui quali indagavano la giornalista romana Ilaria Alpi, ed il reporter triestino di nazionalità slovena Miran Hrovatin. I due colleghi vennero assassinati a Mogadiscio il 20 marzo 1994, e da quanto poi emerso sul caso risulterebbe che le indagini della magistratura italiana siano state indirizzate sulla figura e le conoscenze di Ilaria Alpi, piuttosto che su quelle di Miran Hrovatin.

Le indagini erano state affidate al PM di Roma Giuseppe Pititto e gli vennero revocate nel giugno 1997 (v. problemi contestuali anche in relazione alla Slovenia nel dossier “Gladio 2”).

La fonte principale dell’indagine giornalistica sulla “Roma Connection” italo-slovena erano alcuni atti d’indagine giudiziaria resi accessibili al Parlamento italiano sul cosiddetto “caso Kollbrunner”. Da tali atti tuttavìa non risultava che gli inquirenti italiani avessero approfondito le pur documentate piste di contatto operativo tra SISMI ed ambienti sloveni.

I nomi sloveni emersi risultavano già connessi ad altre vicende anomale e di appoggio ad operazioni politiche di Roma su Slovenia e Croazia (su queste v. in particolare il dossier “Gladio 2”).

Ma la pubblicazione sul Delo venne inspiegatamente bloccata. Parovel reagì trasformando indagine e documenti in denuncia alla Procura di Stato della Repubblica di Slovenia. Assieme  ad altri ne diede inoltre notizia e copie ai media, alla Presidenza della Repubblica, al governo ed a tutti i gruppi parlamentari, di maggioranza ed opposizione, con richiesta di indagini ed interventi. Determinando così una situazione in cui l’insabbiamento del caso diveniva così difficile che lo avrebbe confermato ancora più grave di quanto già apparisse.

Lubiana pose infatti il caso sotto copertura quasi totale: la notizia della denuncia venne compressa o censurata, nessun altro organo di stampa fece indagini e nessun politico od istituzione rispose, mentre la collaborazione dell’autore col Delo venne congelata ed i suoi referenti principali al giornale e nelle istituzioni slovene vennero trasferiti; la magistratura slovena insabbiò infine sia il caso, sia una querela di facciata mossa contro Parovel da un diplomatico coinvolto. Il silenzio parallelo della stampa italiana fu assoluto.

Questa copertura bilaterale ha in sostanza protetto completamente sia quelle operazioni italiane di riciclaggio, e quant’altre connesse, sia gli ambienti sloveni coinvolti. Ai quali ha consentito anche di continuare indisturbati nelle loro attività di appoggio attivo o passivo alle politiche di Roma su Slovenia, Croazia ed in genere nell’area ex-jugoslava.

La copertura abnorme del caso è servita a sua volta a completare l’impianto del dossier sulla Roma Connection, del quale pubblichiamo qui la versione per la pubblicazione di fine novembre 1997, con l’occhiello “Un Watergate sloveno?”, che assieme al resto delle documentazioni inerenti si trova da tempo anche agli atti di indagini giudiziarie della magistratura italiana e presso centri d’analisi nazionali ed esteri.

Si tratta inoltre di un ambito di operazioni autonome che Roma non ancora (aprile 2011) abbastanza dismesso, nonostante preoccupazioni strategiche euroatlantiche per la stabilizzazione dell’area ex-jugoslava espresse riservatamente da Washington.

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UN WATERGATE SLOVENO?

Roma Connection

Quattro strane storie fra Italia e Slovenia

indagine giornalistica ed analisi di Paolo G. Parovel per il quotidiano Delo (Ljubljana) – versione aggiornata al 30.11.1997

Dal 1991 si sono sviluppate tra Italia e Slovenia alcune strane storie parallele di ‘poteri trasversali’. Due di esse riguardano traffici internazionali di titoli italiani di provenienza illecita. Un’altra riguarda alcune anomalìe della politica estera slovena. Ed i nomi di alcuni responsabili sono gli stessi.

Da fine agosto di quest’anno abbiamo chiesto pubblicamente che le persone implicate ed i politici al potere diano dei chiarimenti. Invece hanno taciuto e hanno tentato di far calare il  silenzio sui fatti. E questa è la quarta storia.

1) Due storie di criminalità internazionale

L’Italia è un Paese di scandali politico-finanziari e spionistici continui, analizzati in  innumervoli  indagini giudiziarie e giornalistiche.  Alcune coinvolgono anche la Slovenia e la Croazia, e sono menzionate ad esempio nel libro-inchiesta Traffico d’armi, il crocevia jugoslavo (M. Gambino e L. Grimaldi, Editori Riuniti, Roma 1995). Altre informazioni utili  si trovano nel precedente libro Da Gladio a Cosa Nostra, (L. Grimaldi, ed. Kappavu, Udine 1993) con prefazione del magistrato veneziano Felice Casson che ha condotto alcune celebri inchieste su questi problemi.

Gladio è il nome generico di un gruppo di reti speciali, ed in parte illegali, dei servizi segreti politico-militari italiani che concentrano le propria attività al confine orientale del Paese e verso la Slovenia e la Croazia; Cosa Nostra è la mafia italiana che sta colonizzando i Paesi ex-comunisti, inclusi quelli ex-jugoslavi. Le organizzazioni segrete di questo tipo sono una minaccia gravissima per la libertà e la democrazia poichè manovrano i poteri nascosti dei grandi traffici illegali, e non solo di armi.

I due libri meritano dunque molta attenzione, se non per tutte le tesi certamente per molte notizie. Tra quelle che toccano la Slovenia, ed in misura minore la Croazia, si possono ritenere fondate le informazioni ricavate dagli atti di indagini giudiziarie e parlamentari  italiane su scandali che hanno coinvolto alti esponenti politici, massonerie deviate, settori dei servizi segreti ed i loro contatti e traffici internazionali. E sono scandali che riguardano in particolare il  traffico di titoli obbligazionari di provenienza illecita.

Il traffico internazionale di titoli di provenienza illecita

Il traffico internazionale di titoli bancari o di Stato di provenienza illecita è uno dei sistemi con cui i servizi segreti, o gruppi criminali che riciclano anche capitali non propri, finanziano operazioni politico-economiche e traffici speciali. I titoli vengono depositati come garanzia presso banche e società finanziarie per ottenere forti somme di denaro liquido.

Vengono usati sia titoli autentici che duplicati o falsi. Quelli autentici vengono prelevati illegalmente nei depositi fiduciari dei clienti presso le banche, usati e rimessi a posto, oppure vengono rubati, anche in bianco. Quelli rubati sono utilizzabili finchè il furto non viene denunciato e vengono inseriti sull’apposita Black List internazionale. I titoli duplicati provengono invece direttamente dalle banche o dalle tipografie di Stato, che ne stampano illegalmente due copie autentiche con lo stesso numero: una va sul mercato normale, la seconda su quello illegale.

L’uso di titoli rubati in bianco, duplicati o falsi è preferito perché rappresentano denaro inesistente, che non ha quindi padroni. Ma in ogni caso queste truffe richiedono un altissimo livello di copertura ed organizzazione politico-finanziaria.

Due indagini che coinvolgono la Slovenia

Le indagini sinora note che riguardano anche la Slovenia sono due, con un movimento di denaro complessivo di oltre 1500 miliardi di lire. Ambedue coinvolgono assieme a mafiosi,  pseudomassoni, partiti di governo e servizi segreti italiani, anche diplomatici sloveni.

La più recente è stata aperta nel 1994 su un traffico di certificati di credito (Cct) e buoni (Bot) del Tesoro italiano, in parte duplicati ed in parte rubati. Vi risultano connessi anche traffici internazionali di armi verso più teatri di guerra (inclusi quelli ex-jugoslavo e somalo) e di materiale nucleare, e secondo i magistrati queste operazioni avevano ”alte coperture politiche ed istituzionali ”. Cioè nello Stato e nel Governo italiani.

L’altra indagine riguarda un traffico scoperto nel 1992 di titoli rubati di una banca di Stato italiana. Le documentazioni giudiziarie principali sono in possesso da quattro anni del  Parlamento italiano. Noi ce le siamo procurate,  e possiamo quindi riassumere il caso anche nei dettagli.

800 miliardi di titoli rubati in bianco

Alla fine degli anni `80 una grande banca romana controllata dallo Stato, il Banco di Santo Spirito, subisce una serie di furti di titoli in bianco, prevalentemente certificati di deposito (Cd). Ma non si sa esattamente quanti, perché stranamente la banca non ne tiene registri regolari.

Si sa soltanto che nell’agosto del 1990 viene rubato a Roma un furgone con un forte quantitativo di titoli, ed il 2 novembre un altro con 6.000 assegni bancari e circolari e 294 certificati di deposito, di cui 68 utilizzabili fino ad un miliardo di lire e 229 utilizzabili fino a 95 milioni; i certificati valevano dunque quasi 90 miliardi. Ed a questo punto il valore complessivo dei titoli rubati circolanti risulterà di circa 800 miliardi di lire (valore 1992). Sono titoli al portatore, e quindi facilmente negoziabili.

Ma la banca denuncia il primo di questi due furti soltanto dopo dieci mesi (giugno1991). Per il secondo denuncia subito il furto degli assegni, ma per quello dei certificati aspetta 18 mesi (maggio 1992). E questo consente ai rapinatori ed ai ricettatori di utilizzarli.

Nell’agosto del 1992 il Banco di Santo Spirito viene fuso nella Banca di Roma, ed i  nuovi dirigenti scoprono e denunciano la strana vicenda. Alcuni magistrati italiani capaci e coraggiosi indagano ed individuano sia i rapinatori – che sembra appartengano alla potente banda della Magliana, connessa a mafia e servizi segreti – sia la rete che sta negoziando in Italia ed all’estero i titoli rubati.

La rete e gli arresti

E’una rete internazionale di alta finanza, soprattutto svizzera, collegata anche al corrotto Partito Socialista Italiano (PSI), di Craxi, Martelli e De Michelis, in quel momento ancora al governo. La rete utilizza  agenti dei servizi segreti militari italiani (principalmente il  SISMI, servizio informazioni militare, con competenza estera ) ed ambienti della massoneria irregolare italiana.

I principali agenti coinvolti dei servizi italiani sono Carlo Zappavigna e Maurizio Laguzzi, che dirigono a Roma la società finanziaria ed immobiliare Clipper s.r.l., che attraverso l’ ufficiale del SISMI Gian Getano (Nello) Caso è una propaggine dello studio del commercialista romano Patrizio Pinto.

Lo studio fa da crocevia a colossali affari italiani ed internazionali tramite ambienti massonici deviati e servizi segreti, si occupa anche della ricostituzione di logge pseudomassoniche nelle Repubbliche ex-jugoslave, e tra i suoi partners ci sono molti protagonisti dei maggiori scandali italiani di questi anni.

Nello stesso studio hanno sede anche alcune camere di commercio private con Paesi ex-comunisti, delle quali è presidente e/o promotore Eugenio Carbone, alto dirigente del Ministero per l’Industria, iscritto alla disciolta potentissima e illegale loggia P2 (Propaganda 2) di Licio Gelli, col quale conserva stretti rapporti (i collegamenti di Gelli nell’ ex-Jugoslavia e nell’Est europeo devono essere ancora chiariti).

Carbone è noto come negoziatore italiano di accordi internazionali segreti o riservati. Nell’ex-Jugoslavia ha preparato con Boris Šnuderl anche il Trattato italo-jugoslavo firmato ad Osimo nel 1975. Le sue camere di commercio lavorano con il Kazakistan, la Croazia, ecc. Ma c’è pure una “Camera di Commercio Italo-Slovena”.

Il denaro ottenuto con i titoli rubati dovebbe servire anche a coprire perdite finanziarie del PSI ed operazioni politico-finanziarie nei Paesi ex-comunisti, Slovenia e Croazia comprese.

Caso, ex pilota militare, ha contatti speciali nell’Est europeo (dove ha eseguito rilievi aerofotogrammetrici) e con i titoli rubati tratta anche l’acquisto della Banca Agricola Romena.

Nelle operazioni risultano implicati altri due uomini del SISMI, Lorenzo Di Santo e Giuseppe Criscuolo

I magistrati italiani individuano come  principale contatto svizzero per la negoziazione dei titoli rubati Winifred (Winni,Winnie) Ellen Kollbrunner, dell’omonima famiglia di finanzieri. Oltre a svolgere importanti attività di mediazione a Roma, la Kollbrunner fa anche da corriere “sicuro” per l’esportazione illegale di denaro e titoli in Svizzera per conto di  alcuni leaders politici italiani, in particolare del PSI di Craxi.

Il riciclaggio dei titoli rubati tra gli agenti SISMI, la Kollbrunner ed i loro referenti utilizza i tipici sistemi che impediscono di identificare l’origine ed i beneficiari delle operazioni: KTT (Key Tested Telex), conti bancari ‘transitorî’ (aperti e chiusi in giornata senza lasciare traccia contabile) closing-bank, accordi di segretezza, operazioni nei ‘paradisi fiscali’, ecc.

La magistratura italiana ottiene le prove definitive con intercettazioni telefoniche e perquisizioni. Il 18.9.1992 fa arrestare Laguzzi e Kollbrunner a Ginevra,  grazie ad una trappola cui collabora la polizia inglese (l’agente italiano accetta l’estradizione in Italia, mentre la svizzera preferisce rimanere in patria). Il giorno dopo viene arrestato a Roma Zappavigna. Il 25.9.1992 i magistrati ordinano l’arresto di Criscuolo e di Alessandro De Sanctis, presso cui questi abita, e poi chiedono al Parlamento italiano l’autorizzazione a procedere contro Claudio Martelli, deputato, ministro della giustizia ed ex vicepremier, uno leader dei più potenti del PSI di Craxi.

I contatti sloveni

Criscuolo e De Sanctis vengono arrestati soltanto l’ 1.11.92, al confine di Gorizia, dopo essere stati espulsi dalla Slovenia. Cosa facevano in Slovenia? Qualcuno copriva le loro attività, e chi?

La domanda è legittima, perchè su alcune pagine speciali delle agende sequestrate ai due principali agenti SISMI dell’operazione, Laguzzi e Zappavigna (fotocopiate nella documentazione giudiziaria) assieme a nomi più o meno noti di funzionari dei servizi segreti italiani, di operatori economici dell’ex UDBA centrale jugoslava e ad un solo numero croato,  compaiono anche i nomi ed i numeri dei loro principali contatti sloveni:

(…)

(banca  3221430)

AMBASCIATA SLOVENIA – KOSSIN casa 8559623

BANCA DI TRIESTE SVETINA = 040. 67001

(…)

ufficio

SNUDERL 003861. 214655  Fx 215119 – 221199

(..)

TRIESTE – SVETINA  040 67001 / FAX  365430

Per la Slovenia troviamo trascritti anche altri numeri senza i nomi (comunque individuabili), i prefissi interni della regione costiera della Primorska ed il numero dall’estero del centralino informazioni di Lubiana.

Dall’analisi di tutti questi elementi, e delle centinaia di altri nomi e/o numeri italiani ed esteri (Svizzera, Romania, Bulgaria, ecc.) si ricavano ovviamente molte altre informazioni. Qui ci limiteremo a chiarire chi sono i contatti sloveni annotati sopra ed alcuni loro collegamenti.

Chi sono?

I nomi sono evidentemente quelli di Marko Kosin, Vito Svetina e Boris Šnuderl. Tre uomini-chiave delle operazioni politico-economiche jugoslave controllate anche dopo il 1991 dai servizi segreti centrali di Belgrado.

Marko Kosin, risulta essere stato giovane collaboratore del capo della prima polizia segreta jugoslava, Rankovič, e caduto in disgrazia assieme a lui sarebbe stato protetto dal Comitato Centrale sloveno. Entrato nella diplomazia jugoslava, divenne ambasciatore a Roma dal 1981 al 1985, con delega anche per Cipro e Malta. Erano gli anni in cui il corrotto PSI di Craxi conquistava il potere in Italia con enormi finanziamenti illegali, provenienti anche dal gruppo finanziario Berlusconi.

Come ambasciatore Kosin divenne il principale referente di un gruppo di funzionari sloveni addetti alle relazioni jugoslave con l’Italia in posizioni strettamente controllate dal servizio segreto (UDBA) federale.

Dal 1991-92 questo stesso gruppo di vecchi diplomatici ed analisti jugoslavi ha assunto il controllo delle relazioni della Slovenia indipendente con l’Italia. Benché già pensionato, Kosin è diventato ambasciatore sloveno a Roma (per l’Italia, Cipro e Malta) dal 1992 al 1995. Attualmente presiede una Camera di Commercio Italiana in Slovenia – Italijanska zbornica v Sloveniji.

Vito Svetina è stato dal 1981 al 1996 direttore della Banca di Credito di Trieste -Tržaška kreditna banka (BCT-Tkb: v. dossier d’inchiesta sul crack della banca), provenendo dal Credito Italiano.

Assieme ad una rete di attività finanziarie (gruppo SAFTI e collegate), la banca era stata creata ed alimentata o per aiutare gli Sloveni in Italia da Belgrado, che la utilizzava anche per traffici internazionali con Roma. In questo genere di traffici i servizi segreti federali jugoslavi (UDBA centrale) collaboravano con i servizi segreti militari italiani (SIFAR, poi SID, ora SISMI).

Il capitale jugoslavo (finanziario ed immobiliare) adoperato dal gruppo SAFTI-Tkb era affidato ad una complessa rete di prestanome (persone e società), a fronte di controdichiarazioni, che dopo il crollo della Jugoslavia sono scomparse in danno allo Stato successore sloveno.

Dagli anni ‘80, dopo la morte di Tito, la banca ed il sistema economico collegato vivevano sotto le ali dei due servizi e sotto la protezione politica del PSI di Craxi. Fornivano anche grossi finanziamenti senza garanzie ad alcuni faccendieri italiani e ad ambienti nazionalisti antisloveni, ed avevano contatti ancora da chiarire con ambienti siciliani (in particolare di Palermo, Caltanissetta e Mazara del Vallo).

Dal 1988 circolava nella banca la notizia che il contatto principale con i servizi italiani fosse un faccendiere di Brescia. In Slovenia uno dei maggiori amici di Svetina era notoriamente Milan Kučan, divenuto presidente della Repubblica, che ne aveva ricevuti anche favori personali.

In quegli anni la Jugoslavia iniziava ad indebolirsi, la sua rete internazionale si era messa a fare anche affari in proprio ed i servizi italiani avevano incominciato a comprometterla, infiltrarla e reclutarla. E dopo il 1991 la Tkb è stata messa in difficoltà crescenti sino a provocarne il crack nel 1996, per un accumulo di insolvenze abnormi inspiegatamente coperto sino a quel momento anche dalla Banca d’Italia nonostante ispezioni. La magistratura ha arrestato come corresponsabili Svetina ed altri, compreso un uomo d’affari bresciano collegato, Danilo Ervas. Ma li ha anche dovuti rilasciare molto presto.

Le indagini giudiziarie sulle perdite dirette ed indotte della Tkb, circa 500 miliardi di lire, sono tuttora (novembre 1997) in corso sia a Trieste che a Milano, dove si intrecciano con altre indagini su truffe e fallimenti in cui compaiono anche uomini vicini o collegati ai servizi segreti. Secondo informazioni che non abbiamo potuto ancora controllare, le indagini su Ervas e Svetina sarebbero ostacolate da ambienti di Stato italiani. Svetina risulta tuttora operativo come consulente di banche e società finanziarie in Slovenia, Croazia ed oltre.

I capitali dispersi e quelli rimasti (complessivamente oltre 1000 miliardi di lire) del gruppo SAFTI – Tkb erano in gran parte denaro di Stato jugoslavo su cui la Slovenia aveva diritti di successione, ed il crack ha danneggiato anche banche ed imprese slovene. Ma stranamente il Governo sloveno non ha mai voluto agire né per recuperare i capitali dalla sinistra della minoranza slovena, né per ridestinarli democraticamente a tutta la minoranza, né per individuare i responsabili del crack.

Messa in liquidazione, la Tkb è stata acquistata dall’italiana Banca Antoniana Popolare Veneta, che la sta rilanciando come Nuova Banca di Credito di Trieste – Nova Tržaška kreditna banka (NBCT-NTkb) per espandere i propri affari in Slovenia e Croazia.

Secondo i due libri sopra citati, l’amministratore delegato della Ntkb, Silvano Pontello, sarebbe l’ex addetto alla presidenza della Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona: v.”Da Gladio a Cosa nostra“, che ha ricavato l’ informazione dagli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta su Sindona. Potente banchiere siciliano della massoneria deviata, della mafia e dei servizi segreti, che fu arrestato ed avvelenato in carcere nel 1986.

Il suo caso è collegato direttamente a quello del banchiere Guido Calvi del Banco Ambrosiano, che nel 1982 venne “aiutato” a fuggire dall’Italia attraverso Trieste e la Slovenia ed assassinato a Londra; anche Calvi e Sindona erano collaboratori di Gelli ed iscritti alla sua Loggia P2.

Quasi tutte queste banche italiane, compresa quella dei titoli rubati, appartengono ad ambienti finanziari statali e “cattolici” italiani cui é collegato anche un settore omologo del neoirredentismo italiano contro la Slovenia e la Croazia il quale si avvale contemporaneamente di importanti contatti siciliani d’ambito pseudomassonico e P2 (v. anche il dossier “Gladio 2).

Nel 1993 le attività dei dirigenti della Tkb con capitali di provenienza italiana si era estesa in Croazia anche con la formazione della Kvarner Bank (Rijeka), nel cui consiglio d’amministrazione erano entrati Svetina ed un altro uomo chiave del medesimo ambiente,  arrestato anche lui per il crack TkbSuadam Kapić.

Svetina risulta tuttora (1997) rimasto nel Consiglio della Kvarner Bank, mentre Kapić è stato sostituito dal sindaco di Rijeka Slavko Linić, amico anche di ambienti neoirredentisti e neofascisti italiani (Claudio Schwarzenberg ed altri) e si è trasferito in Africa come rappresentante commerciale (società farmochimica Krka) e finanziario sloveno.

Boris Šnuderl come alto funzionario jugoslavo del governo federale e del partito comunista ha gestito a lungo il commercio estero jugoslavo ed i contatti politico-economici con gli altri partiti comunisti. Cioè due settori esteri direttamente e strettamente controllati dall’UDBA federale. Collaborava con Eugenio Carbone già prima dei negoziati per il trattato di Osimo, operava in affari con Danilo Ervas e lo presentava in ambienti sloveni anche dopo l’indipendenza. È insignito dal 1969 del cavalierato di Gran Croce al Merito della Repubblica Italiana.

2) Una storia di politica estera

L’opinione pubblica slovena e le diplomazie occidentali, ad iniziare da Washington, sono preoccupate da tempo per l’inspiegabile debolezza della politica estera della Slovenia verso le pressioni e le rivendicazioni infondate della politica italiana. Sei anni di inerzie e cedimenti sloveni hanno infatti consentito a Roma di compiere in Slovenia ed in  Croazia operazioni  di tensione e penetrazione che hanno implicazioni dirette sugli equilibri dell’intero settore strategico danubiano-balcanico.

Roma non nasconde più, infatti, che intende svincolarsi dalla tutela strategica americana e contrapporsi all’influenza economica tedesca per sviluppare una propria politica d’influenza nel settore danubiano-balcanico e nella regione mediterranea. Ed a questo scopo sabota più o meno apertamente da tempo le strategie politiche, economiche e di sicurezza euroatlantiche – con ingerenze in Romania ed Albania, appoggi alla Serbia, avances all’Ungheria, contatti in Turchia, ecc. –  avvicinandosi anche ad interessi russi.

La piccola Slovenia ha un ruolo strategico primario per queste ambizioni nazionali italiane, che vorrebbero utilizzarla sia come proprio corridoio verso Est che per isolare dall’area mitteleuropea la Croazia ed il resto dei Balcani, e per imporre anche a Zagabria un modello di “riconciliazione storica” tendenzioso ed opposto a quello ceco-tedesco definitivo della Dichiarazione di Praga del gennaio di quest’anno.

Poiché la Slovenia indipendente ha solo due milioni di abitanti e le idee ancora abbastanza confuse, prenderne il controllo politico ed economico è facile e poco costoso per un Paese di 56 milioni di abitanti che ha purtroppo la classe politica più corrotta e corruttrice dell’Europa occidentale. E questa politica d’influenza e penetrazione italiana è diventata ancor più infiltrante ed aggressiva con il governo degli ex-comunisti, che l’hanna innestata sui propri vecchi contatti internazionali ecredibilità di partito.

Per impedire queste manovre era ed è sufficiente che Lubiana si comporti verso l’Italia con normale, intelligente e moderata fermezza. Ma nessun governo e nessun ministro degli esteri della Slovenia ha saputo sinora farlo. Anzi, hanno insistito ad appoggiarsi a Roma anche dopo che proprio per questo motivo la Slovenia era stata tenuta fuori dalla NATO assieme alla Romania, e si sono lasciati incoraggiare a politiche anticroate.

Per capire il perché di questa politica assurda e suicida non bisogna dimenticare quattro fatti fondamentali:

primo, che la Jugoslavia degli ultimi anni (1983-1991) dimostrava la stessa debolezza;

secondo, che la buona o cattiva politica estera di un governo dipende anche dalla qualità delle sue fonti di informazione ed analisi;

– terzo, che per i rapporti con Roma le fonti dei governi della Slovenia indipendente sono rimaste in misura determinante le stesse della Jugoslavia, e certo non le migliori: un gruppo particolare di ex-diplomatici jugoslavi ed il vecchio gruppo dirigente politico-economico-giornalistico ex-jugoslavo della minoranza slovena in Italia;

quarto, che questi due gruppi hanno lavorato e lavorano assieme per far fare a Lubiana quello che vuole Roma.

Minoranze e “ponti”

L’affermazione che le minoranze nazionali devono servire da “ponte” tra Paesi confinanti  è più che corretta, ma viene usata anche come pretesto per impedire che vengano controllati i traffici che passano sul ponte. Chi controllava nel periodo jugoslavo i traffici che passavano attraverso la minoranza slovena in Italia?

Non è un segreto che i vertici triestini delle strutture economiche, politiche e massmediali (Primorski dnevnik) della minoranza ed i suoi contatti diplomatici in Italia (Trieste, Milano, Roma). non erano sotto il controllo di Lubiana, ma di particolari centri riservati di Belgrado.

È documentato che dal 1983-84 questi vertici hanno incominciato a lavorare sempre più apertamente anche con gli ambienti nazionalisti italiani di sinistra e di destra (in particolare con il PSI di Bettino Craxi e con il gruppo finanziario-massmediale di Silvio Berlusconi, iscritto alla loggia P2, ed al quale i vertici della minoranza slovena hanno procurato anche l’accesso a TeleCapodistria (di cui gli è stata anche svenduta la preziosa rete di ripetitori in Italia).

Collaboravano ciòe con le stesse forze che discriminavano la minoranza, dichiaravano ufficialmente “ingiusti” i confini (B.Craxi a Trieste il 26.10.84, quale capo del Governo) e cominciavano ad infiltrarsi nell’Istria approfittando del graduale indebolimento politico ed economico della Jugoslavia.

E sono proprio queste relazioni così anomale che hanno portato al sopra ricodrato crack della Tkb (v. anche analisi su DEL0 19.10.1996, Sob. priloga) e con essa dell’intero sistema economico della minoranza.

Contemporaneamente lo stesso gruppo dirigente sloveno di Trieste e gli stessi diplomatici  jugoslavi sabotavano, in nome degli interessi economici e del “buon vicinato”, ogni seria  lotta politica per i diritti fondamentali che l’Italia negadel tutto od in parte alla minoranza slovena, ed affiancavano i poteri italiani in pesanti  pressioni politiche ed economiche contro i pochi sloveni ed italiani democratici che denunciavano questi intrighi e questi cedimenti. Li  accusavano di “rovinare i buoni rapporti italo-jugoslavi” ed italo-sloveni, di essere essi provocatori dei servizi italiani o jugoslavi, e quant’altro.

Politica doppia e di penetrazione

Negli anni 1990-91 Roma ha sdoppiato la propria politica verso la Jugoslavia (esattamente come aveva fatto allora verso la Romania, e poi verso l’Albania). Il Governo italiano appoggiava ufficialmente Belgrado (in particolare con il ministro socialista De Michelis), conservando le simpatie dei comunisti ed unitaristi jugoslavi. Mentro lo Stato italiano (il Presidente della Repubblica Cossiga, i servizi segreti militari) e le organizzazioni revansciste italiane più o meno coperte che esso finanzia appoggiavano l’indipendenza slovena e croata, conquistandosi la simpatia degli anticomunisti ed indipendentisti delle due repubbliche.

Ma appena la Slovenia e la Croazia hanno ottenuto l’indipendenza, e con l’inizio delle guerre jugoslave 1991-95, Roma ha scatenato contro di esse un’aggressione politico-diplomatica e massmediale senza precedenti in Europa, sviluppandola in crescendo durante e dopo i conflitti.

Ha infatti accusato falsamente le due Repubbliche ex jugoslave di aver ottenuto la sovranità sui territori adriatici orientali con un genocidio degli italiani (“foibe” ecc.) durante e dopo la seconda guerra mondiale; ha preteso riparazioni; ha rimesso in discussione i trattati internazionali; ha tentato di imporre alle due repubbliche la firma di accordi per esse rovinosi; ha ricattato la Slovenia sull’ingresso nell’UE (sbloccato solo per intervento di Washington nel 1996); ha incominciato a “restituire” unilateralmente la cittadinanza italiana a cittadini sloveni e croati dei territori ex-italiani; ha esteso un protettorato politico sull’autonomismo istriano; ha intensificato i contatti politici con i Serbi contro la Croazia, e così via.

Queste operazioni risultavano inoltre ideate ed avviate già dal 1984-85, col governo Craxi, ed incrementate dai governi successivi in proporzione all’indebolimento progressivo della Jugoslavia: v. Paolo G. Parovel: Italia-Slovenia-Croazia: il problema delle relazioni storiche e politiche al confine orientale (1995, analisi per il gruppo PDS al Senato italiano), Velika prevara na slovenski zahodni meji – Dosje Italija (Kamnik, 1996), e dossier “Gladio 2”.

Dal 1991 Roma ha iniziato anche una penetrazione diretta, politica e massmediale, in Slovenia tramite la sinistra della minoranza slovena ed i referenti di essa a Lubiana, in particolare attraverso l’iniziativa editoriale Primorski dnevnik/Republika. L’iniziativa era coordinata dall’esponente sloveno del PSI, ex direttore dell’agenzia Alpe-Adria (che lavorava per Tele Capodistria) e del Primorski dnevnik, Bogumil (Bogo) Samsa, ed era  diretta dal suo successore giornalistico e politico, Bojan Brezigar.

Lo scopo politico dichiarato del nuovo quotidiano – fatto per la Slovenia, ma stampato in Italia con denaro italiano – era quello di appoggiare la sinistra “liberale” ex-comunista e personalmente Milan Kučan (per il quale stamparono in Italia anche materiali di propaganda elettorale).

Prima dell’indipendenza Samsa aveva curato anche strette relazioni dei dirigenti comunisti sloveni con il PSI e con il “Partito Radicale Transnazionale” italiano, cui si era iscritto il gruppo dirigente della Lega della gioventù socialista ZSMS (Skolc, Thaler, Franco Juri, ecc.) che ha poi formato parte importante dei vertici politici della Slovenia e del suo partito liberaldemocratico LDS.

Contemporaneamente lo stesso gruppo dirigente di sinistra della minoranza slovena in Italia ha acquistato mass media nell’Istria croata, dove ha costituito anche la già menzionata Kvarner Bank, mentre Roma finanziava direttamente la penetrazione nell’Istria slovena e croata del quotidiano nazionalista italiano di Trieste, Il Piccolo.

Dopo la caduta dei governi italiani del PSI e poi di Berlusconi, i dirigenti ex-jugoslavi della minoranza si sono messi al servizio di quello degli ex-comunisti del PDS che ha continuato le stesse operazioni su Slovenia e Croazia.

Mentre Samsa, emarginato ad un certo punto da Kučan, è entrato nell’entourage del capo del governo Drnovšek, e come referente suo e della LDS ha riallacciato i contatti con gli ex dirigenti del PSI di Craxi e con il partito Forza Italia di Berlusconi. Dal quale ha inoltre avuto – tramite il Presidente del Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia, Antonione – l’incarico di coordinare un nuovo progetto di penetrazione massmediale in Slovenia: quello di una televisione transfrontaliera italo-sloveno-croata fra la RAI italiana e Tele Capodistria; ne dovrebbe diventare direttore Bojan Brezigar.

Attraverso lo stesso “ponte” della sinistra della minoranza, ed attraverso i rapporti tra partiti comunisti e tra ambienti istriani residenti e fuorusciti, sono state fatte entrare in Slovenia sin dal 1988-89 anche le tesi propagandistiche del revanscismo italiano (“foibe”, ecc.), rilanciate in da alcuni esponenti particolari dell’ex PCI, il Partito Comunista Italiano divenuto PDS (Partito Democratico della Sinistra): Stelio Spadaro, Miloš Budin, Piero Fassino (Viceministro agli Esteri ed ex responsabile della Sezione esteri del PCI), Luciano Violante ed altri.

Contemporaneamente Roma sta tentando di approfittare delle privatizzazioni in Slovenia per assumere il controllo economico indiretto di settori-chiave dell’economia del Paese (reti energetiche, ferrovie, autostrade, assicurazioni, banche, porto di Capodistria) con forti investimenti che passano attraverso ambienti sloveni, e tentando di appoggiarsi a partiti  sloveni.

Il “gruppo Kosin”

La Croazia, travolta da una guerra lunga e spaventosa, poteva dare poca attenzione alle manovre italiane. Sarebbe stato però normale che almeno la Slovenia, dal 1992 in pace e democrazia, reagisse difendendo con pacatezza ma con energia le proprie ragioni, la verità storica, la propria sovranità e la propria immagine internazionale.

Ma Lubiana aveva riaffidato le relazioni con l’Italia al vecchio gruppo di ‘esperti’ diplomatici ex-jugoslavi che facevano capo, come già detto, a Marko Kosin, legati ai vertici ex-jugoslavi della minoranza slovena e rinforzati con qualche nuovo elemento. È quello che per semplificare chiameremo qui il “gruppo Kosin”, formato oltre a lui da Ignac Golob, Stefan Cigoj, Jozef Šusmelj, Franco Juri ed altri personaggi minori, con l’appoggio di alcuni giornalisti sloveni ed italiani.

Non è difficile dimostrare, anche attraverso una semplice rassegna stampa, che questa combine ex-jugoslava ha paralizzato dal 1991-92 ad oggi le difese diplomatiche della Slovenia verso Roma, con il vecchio sistema, semplice ed efficace, di fornire al proprio governo informazioni ed analisi fuorvianti, e di accusare falsamente coloro che le contraddicevano di essere agenti di servizi segreti o di gruppi estremisti interessati a turbare le “buone relazioni” italo-slovene.

Le documentazioni, informazioni  ed analisi  disponibili – con le quali si potrebbe riempire un feuilleton per mesi – dimostrano che il “gruppo Kosin” è stato attivissimo nel teorizzare ed attuare i cedimenti a Roma, nel rovinare i rapporti con la Croazia e raffreddare quelli con la Germania  e gli USA. Tra l’altro, infatti:

– nel 1992 ha influito sul ministro degli Esteri Rupel tentando di fargli firmare l’accordo-trappola ‘trilaterale’ italo-sloveno-croato sulle minoranze;

– assieme ad ambienti italiani dell’Opus Dei ed al pressing dei media italiani ha poi indotto il ministro degli esteri Peterle a cadere nella trappola della dichiarazione bilaterale di Aquileia;

– con informazioni tendenziose a Drnovšek ha impedito la nomina già annunciata di un nuovo ministro degli esteri finalmente esperto e immediatamente operativo, Mojca Drčar-Murko, perciò sgradita a Roma, ed ha favorito la nomina del giovane ed inesperto Thaler;

– ha approfittato dell’inesperienza di Thaler accettando a Roma (Cigoj) un documento analogo alla dichiarazione di Aquileia, che il negoziatore ufficiale Jančar ha poi fortunatamente annullato;

– ha impedito ogni reazione diplomatica slovena alla violazione di diritto internazionale senza precedenti con cui Roma ha incominciato a “restituire” unilateralmente la cittadinanza italiana a cittadini sloveni dei territori  del Litorale annessi alla Slovenia in forza dei Trattati del 1947 e 1975;

– ha impedito la creazione di un ufficio governativo specializzato sui problemi dei  rapporti con l’ Italia;

– ha sconsigliato al Governo ed al Ministero degli Esteri una controffensiva massmediale  alle propagande nazionaliste di Roma;

– ha fatto allontanare dagli affari italiani i diplomatici e funzionari più competenti ed imparziali, e quelli che volevano chiarire e democratizzare la situazione dei finanziamenti alla minoranza slovena in Italia;

– ha monopolizzato le relazioni con l’Italia e le analisi relative (Šušmelj), ha tentato di riconquistare l’ambasciata di Roma (Cigoj, Šušmelj), ed ha neutralizzato il già compromesso consolato generale di Trieste (Valenčič);

– ha fatto arenare ripetutamente la soluzione già concordata dei problemi di confine con la Croazia;

– ha collaborato ad imporre a Lubiana l’anticostituzionale “compromesso spagnolo” (redatto in particolare da F.Juri con Fassino);

– ha impedito (Golob) l’ingresso della Slovenia nel Gruppo di Višegrad dei Paesi Mitteleuropei (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria);

– ha raffreddato i rapporti con la Germania (dov’era ambasciatore l’attuale ministro Boris Frlec), creando anche incidenti diplomatici  (Jaša Zlobec a Bruxelles, Jelko Kacin col ministro Rühe);

– agisce (tuttora) in collegamento diretto con la cosiddetta “Ostpolitik” degli ex-comunisti italiani guidata da Fassino;

– nell’azione politico-diplomatica verso l’Italia “dimentica” di richiamarsi ai trattati multilaterali e bilaterali vigenti, accettandone la violazione sistematica;

– ha favorito la sostituzione di Thaler, quando aveva acquisito esperienza, con l’inesperto Kračun, e le dimissioni mai chiarite di Thaler dal secondo incarico;

– ha fatto firmare a Thaler con il ministro degli Esteri  italiano Dini, , una lettera congiunta (contro l’esclusione della Slovenia dalla  NATO) che non ha precedenti diplomatici tra Paesi indipendenti e sovrani;

– emargina, non consulta e non ascolta gli specialisti storico-politici sloveni di cose italiane;

– continua ad influire sui consiglieri di Kučan e su Drnovšek;

– continua ad appoggiare i dirigenti ex-jugoslavi della minoranza slovena in Italia anche dopo il crack Tkb, e discrimina le organizzazioni indipendenti e gli esponenti più combattivi della minoranza, come il prof. Samo Pahor;

– attacca e tenta di  far tacere i giornalisti della stampa slovena che analizzano le manovre italiane, mentre accredita e protegge giornalisti italiani legati  al Ministero degli Esteri di Roma, che fanno continua disinformazione contro la Slovenia (e contro la  Croazia).

3) Roma Connection

Le storie diverse e parallele così tracciate hanno molte cose in comune: alcuni protagonisti, i maneggi politici e finanziari tra Italia, Slovenia e Croazia, e la minaccia alla sicurezza dello Stato sloveno.

Questi protagonisti ed i loro collaboratori sloveni e italiani si comportano da tempo come se fossero parte della più vasta “Roma Connection” che sta appoggiando l’invadente, assurda e pericolosa influenza di un’Italia politica anomala in tutta l’area danubiano-balcanica, da Lubiana a Budapest, a Bucarest, a Tirana e Sarajevo.

Naturalmente le nostre analisi (e quelle dei magistrati italiani del 1992) potrebbero essere sbagliate. Anzi, speriamo che vengano smentite. Ma per smentire i fatti ed i documenti in nostro possesso non bastano più le affermazioni o le controaccuse generiche. Occorre dimostrare il contrario con altri fatti, altri documenti, e con spiegazioni chiare e complete.

Queste spiegazioni possono fornirle all’opinione pubblica slovena soltanto le persone coinvolte, oppure coloro che hanno i mezzi istituzionali per indagare a fondo ed il dovere della trasparenza verso l’opinione pubblica: il Presidente della Repubblica, il Presidente del Governo, il Parlamento della Repubblica di Slovenia. E per questo li abbiamo interpellati  sulla stampa e poi direttamente dal maggio scorso.

In una democrazia occidentale normale (non dunque quella italiana, mentre si pensa che la Slovenia los sia) le spiegazioni, le smentite o le conferme sarebbero arrivate nel giro di pochi giorni, ed il resto della stampa si sarebbe mosso per esigerle ed indagare in proprio.

4) Un Watergate sloveno?

In Slovenia è accaduto invece l’esatto contrario. Non solo nessuna autorità ha dato spiegazioni all’opinione pubblica, ma sul caso Roma Connection è stato imposto un silenzio stampa e politico quasi totale, chi aveva scoperto i documenti e analizzato i fatti è stato emarginato, ed i diplomatici coinvolti non sono stati posti sotto inchiesta, ma riaccreditati sulla stampa e addirittura promossi (F. Juri, Cigoj, Sušmelj) ad occupare le posizioni di controllo della politica estera slovena verso l’Italia e l’area danubiano-balcanica.

Con questo incredibile sviluppo il caso Roma Connection ha assunto tutte le caratteristiche di un Watergate. Cioè di uno dei casi in cui il giornalismo indipendente scopre e denuncia intrighi politici pericolosi per la sicurezza dello Stato, ma chi governa impone una censura che priva l’opinione pubblica del diritto di sapere e discutere, che è l’essenza stessa  della democrazia. Una democrazia che in Slovenia si dimostra evidentemente incompleta.

Di fronte a questo silenzio politico e massmediale, era evidente che per fare chiarezza non restava altra via che chiedere formalmente al Procuratore di Stato della Repubblica di Slovenia di aprire un’indagine, fornendogli le documentazioni e le analisi necessarie.

Ed é quello che ho fatto: per dovere di giornalista, di cittadino italiano e d’Europa, e di amico della Slovenia.

PAOLO G. PAROVEL

(30.11.1997)

© 15 Aprile 2011

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