Il telefono di Felice – Quarta puntata
Siamo giunti alla quarta puntata del racconto che i lettori de La Voce di Trieste stanno costruendo assieme alla scrittrice Sabrina Gregori (sabrygregori@libero.it). Continuate a scrivere suggerimenti e idee a Sabrina Gregori e scoprite come creare assieme il racconto.
Due giorni dopo il ritrovamento della scatola, mentre Renzo si trovava su un campo da tennis con il suo migliore amico, Adriana preparò una crostata alla frutta e andò a far visita a Sofia, la vicina di casa. Sofia era una vedova sulla settantina, troppo chiacchierona, ma simpatica. Abitava nella casa accanto alla loro dagli anni ’70 e conosceva tutti quelli della zona.
La torta le aprì un sorriso dalla dentatura approssimativa e, ben contenta di avere visite, la signora offrì a Adriana un’aranciata e una bella manciata di chiacchiere. Cominciarono dalle condizioni meteorologiche, per proseguire con i giardini e le fioriture ed infine arrivare ai vicini e ai ricordi, esattamente il posto in cui Adriana voleva andare a parare.
<Eh, Felice era un uomo molto espansivo e divertente, una persona che amava la vita, sempre sorridente e pronto alla battuta>, ricordò Sofia, con un’espressione che lasciava trapelare più di una semplice simpatia per la persona di cui stava parlando.
<E la moglie, invece? Ho trovato delle foto in casa, mi è sembrata una donna molto bella.> Adriana buttò l’esca.
<Vittoria? Sì, sì, era bella. Credo che all’epoca avesse molti corteggiatori, ma Felice l’ha conquistata con la sua carica di simpatia, sicuramente. Lei non era altrettanto estroversa, era una donna avvenente, ma piuttosto chiusa.> Adriana captò nelle sue parole, anche a distanza di tanti anni, quel sottile sentimento di invidia che le donne talvolta provano nei confronti di una bella signora. <Con me aveva legato abbastanza, sa, sempre a stretto contatto, qui vicino. Ma in generale era una persona molto riservata. Era nata in campagna, era una donna forte, anche fisicamente. Aveva voluto lei questa casa a Opicina, le piaceva il Carso. Era lei che conduceva le cose: lavorava il giardino, badava all’orto. Felice aveva il suo lavoro fuori casa, faceva il ragioniere. Anche col marito, pur amandolo da sempre, aveva un atteggiamento un po’ brusco. Come dire, non era una persona dalle grandi manifestazioni d’affetto, ecco. Però Felice non sembrava esserne turbato, almeno: questa è l’impressione che avevo io, s’intende.>
<Insomma, una coppia davvero bene assortita. Mi fa piacere pensare che in casa mia sono vissute due persone unite e felici. Peccato che non abbiano avuto dei bambini, immagino che questo li abbia rattristati.> Adriana non sapeva esattamente dove andare a sbattere, ma voleva indagare sui lati meno evidenti della vita di quei due signori che avevano costruito casa sua.
<Già, è stato davvero un peccato>, rispose Sofia, tra un boccone di crostata e l’altro. <È davvero buona, cara, complimenti. Vittoria non poteva averne, di figli. Questa è una cosa che mi ha confessato un giorno in cui l’ho vista molto abbattuta e triste. È stata una delle rare volte in cui mi ha fatto una confidenza così delicata e personale. Come le dicevo, era una donna riservata.>
<Lei è morta molti anni prima del marito, mi pare, no?>
<È morta in seguito a un ictus, nel 1989, se non mi sbaglio. Doveva avere circa 65 anni. Giovane>, commentò la vicina, scuotendo la testa.
<Che peccato. Chissà per Felice che brutto colpo.>
<Per lui fu molto dura. Erano sempre stati molto uniti e, non avendo figli, ancora più attaccati l’uno all’altra. Erano due persone buone, che si meritavano del bene, ma invece ne hanno avute di disgrazie nella vita>, aggiunse Sofia, accompagnando la sua osservazione con un gesto della mano.
<Davvero?>
<Felice aveva perso un fratello molto giovane, durante la guerra. Vittoria era rimasta orfana molto presto. Come si diceva, non hanno potuto avere figli. Poi, nel ’76, c’è stata quella storia della segretaria scappata con un bel po’ di soldi…>
<Ma va? La segretaria di chi? Di Felice?> Ecco una storia nuova, pensò Adriana.
<Sì, una spagnola sui quarant’anni, non ricordo il nome. Lavorava nello studio di Felice, che, come sai, faceva il ragioniere. A un certo punto aveva preso un’impiegata, perché non ce la faceva più a sbrigare tutto da solo nello studio. Non so da dove fosse arrivata questa tizia. Mi pare che fosse venuta a Trieste in seguito alla morte prematura del marito, perché qui aveva la sorella, che è morta anche lei, qualche anno dopo. Comunque Felice aveva piena fiducia in lei, diceva che era una gran lavoratrice.>
<Ah.> Adriana fece un cenno col capo, esortandola a continuare.
<Fatto sta che un giorno, nell’estate del ’76, credo fosse luglio, Felice ritorna da Milano, dov’era stato per lavoro, e quando rientra nello studio trova la cassaforte aperta e tutti i contanti che aveva dentro spariti. Ed è sparita anche la segretaria. Hai capito?> Sofia batté la mano sul tavolo per enfatizzare il racconto.
<Ah, però!>
<Già. Da quel che ho saputo, Felice aveva lasciato una discreta somma di contanti nella cassaforte, perché aveva incassato dei pagamenti al venerdì pomeriggio, le banche erano chiuse e lui, la sera dello stesso giorno, era partito per Milano. La spagnola, che ovviamente aveva le chiavi dello studio, e doveva averlo visto che apriva la cassaforte, o magari sapeva di suo la combinazione, si è presa i soldi ed è sparita nel nulla. Nessuno ne ha più saputo niente>, concluse Sofia, e sottolineò la fine del suo racconto abbassando la voce e sgranando gli occhi.
<Accipicchia, che storia>, commentò Adriana, un po’ per dar soddisfazione alla vicina e un po’ perché sinceramente colpita.
Rientrata a casa, un’ora più tardi, Adriana rimuginò sulle parole della signora Sofia. Felice e Vittoria, uniti e appagati dal loro matrimonio, nonostante le avversità, fino alla morte di lei, arrivata troppo presto. Era per questo che Vittoria ora le appariva in sogno? Perché era morta senza aver fatto, detto o finito qualcosa di importante? E perché poi proprio a lei? Perché viveva nella sua casa? Era qualcosa collegato alla casa?
Erano queste le domande che le frullavano nella testa, quando concluse che, comunque fosse, i sogni con Vittoria dovevano essere collegati con le strane interferenze nel telefono di Felice e che, nonostante la cosa le mettesse i brividi, bisognava andare a fondo indagando su questo lato della faccenda.
Per questo motivo, Adriana stabilì che doveva utilizzare il vecchio telefono, ma non in una conversazione qualsiasi, bensì in modo da poter ascoltare quanto meglio la voce delle interferenze. Ma come fare per evitare che la strana voce si perdesse nella conversazione con un interlocutore? L’altra persona al telefono sarebbe dovuta stare zitta, ma in questo caso Adriana avrebbe dovuto spiegarle tutto e non le sembrava il caso.
La modalità che escogitò per arrivare a questo fu di telefonare a se stessa, dal suo cellulare al telefono di Felice. L’avrebbe fatto il pomeriggio seguente e l’avrebbe fatto da sola, quando Renzo si fosse trovato fuori casa per andare a vedere la partita di basket.
(continua)
Leggete la prima, la seconda e la terza parte del racconto e scrivete a Sabrina Gregori (sabrygregori@libero.it) i vostri suggerimenti!
© 14 Aprile 2011