La Voce di Trieste

Convegno a Milano, un’occasione per confrontarsi

di

Ricomporre Babele: educare al cosmopolitismo”

Essere invitati ad un convegno è sempre un onore, anche perché, diciamocelo, non capita proprio tutti i giorni. Pensare però di lasciare il lavoro, la famiglia, la casa, in una parola, le proprie certezze, non è facile. Ma mettersi in movimento è sempre produttivo, nel senso che si imparano sicuramente cose nuove, si entra in contatto con altre persone, si dialoga, ci si confronta e si cresce. Dire così, in due parole tutto quello che mi ha regalato questo convegno è un po’ difficile, ma ci vorrei provare comunque.

Io non conoscevo Intercultura, se non per interposta persona. Quindi mi sono trovata a questo convegno (Ricomporre Babele: educare al cosmopolitismo, Milano, 7-9 aprile 2011), come un pesce fuor d’acqua, nel senso che io, come prof, non avevo nulla a che spartire con queste persone. E la sorpresa è stata grande. Innanzitutto per la macchina organizzatrice, davvero imponente: 180 persone da sistemare e organizzare non è cosa di poco conto. Ma non c’è stato solo quello; un peso determinante l’ha avuta la simpatia, o meglio l’empatia con cui sono stata trattata. All’inizio, come al solito, volevo starmene per i conti miei, ma poi c’era sempre inevitabilmente qualcuno che mi veniva a cercare, anche semplicemente per sapere da dove venissi. Ma un’altra cosa che mi ha colpito moltissimo è che relatori, volontari, dirigenti, presidenti, erano tutti allo stesso livello, tutti impegnati nel medesimo sforzo collaborativo. All’inizio ho fatto parecchia fatica a starmene seduta ad ascoltare i relatori e ho capito una volta di più, come il dono dell’ascolto vada veramente esercitato e che non è cosa di poco conto. E mentre ero lì che prendevo appunti sul mio inseparabile pc, mi sono venuti in mente i miei studenti, che per quattro, cinque ore al giorno sono inchiodati ad una sedia e mi sono messa nei loro panni. Dovrò fare più attenzione quando ritorno a scuola.

Cosa mi porto in saccoccia? Tante idee, tante sensazioni, tanta energia e non vedo l’ora di rivedere la mia preside per iniziare a bombardarla. Ma lei mi conosce e sa che sono un vulcano in perenne eruzione. Non posso farci nulla e partecipare a questo convegno ha sicuramente rafforzato le mie convinzioni, che vanno nella direzione dell’apertura, dello scambio, della collaborazione reciproca per arrivare al cambiamento.

Avevo un desiderio inconfessato prima di partire: entrare in contatto con qualche insegnante milanese, visto che il convegno si svolgeva in questa città. Prima di partire avevo pure mandato una mail all’organizzazione, per sapere, se qualche prof di qualche scuola avesse aderito al convegno. A fronte di una risposta negativa, da parte di Intercultura, non avevo certo grandi aspettative, anche perché poi ad un convegno di 200 persone non mi sembrava il caso di alzarmi in piedi e di gridare ai quattro venti: “scusate, tra i presenti c’è qualche prof di Milano?”.

Ebbene, quando si dicono i casi della vita, al termine del congresso, a pranzo, mi ritrovo a tavola con la preside del Liceo Classico “Carducci” di Milano e con il preside del Liceo Scientifico “Einstein, con i quali ho avuto modo di scambiare più delle solite quattro chiacchiere. Inutile dire dello scambio di mail, che spero porterà a qualche interessante sviluppo. Perché chi lo dice che gli scambi devono per forza di cose essere fatti con l’estero? Per incontrare l’altro non occorre andare tanto lontano, soprattutto per chi vive, come noi triestini nella regione più orientale dell’Italia.

Perché educare al cosmopolitismo è d’obbligo? Perché il civis, pur appartenendo ad una città e avendo una sua cultura, non può arroccarsi in essa, ma deve prendere e uscire, non per omologarsi o annientarsi, ma per portare le sue peculiarità altrove e arricchire così anche gli altri, oltre che se stesso.

 

Un grazie di cuore a Intercultura e a Repubblica@scuola per avermi offerto questa possibilità

© 12 Aprile 2011

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